Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2017, n. 6687

Accertamento - Tributi - IVA - Riscossione

 

Fatti di causa

 

C.B., quale titolare della ditta individuale T.C. di C.B., ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, che aveva confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bologna, con la quale fu rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro avviso di accertamento con il quale, con riferimento a operazioni che l'Amministrazione finanziaria aveva ritenuto soggettivamente inesistenti, si recuperavano a tassazione l'Iva e i costi afferenti a tali operazioni, assumendone l'indebita detrazione della prima e l'indebita deduzione dei secondi. Il ricorso è affidato a sette motivi, illustrati con memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4 e 5, la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa e delle norme sul contraddittorio, in relazione a quanto avvenuto all'udienza del 20 febbraio 2012, allorquando fu prodotto, da parte dell'Agenzia dell'entrate un documento, alla cui acquisizione il contribuente si oppose, chiedendo, in ipotesi la produzione fosse stata accolta, che si ordinasse all'ufficio la produzione di documenti ulteriori. Si denuncia che la Commissione tributaria regionale, senza assumere alcuna decisione sull'eccezione e sulle richieste del contribuente, trattenne la causa per la decisione.

Il motivo è infondato, perché la supposta violazione in cui sarebbe incorsa la Commissione tributaria regionale è rimasta priva di conseguenze, posto che il documento, la cui irrituale produzione è censurata con il motivo in esame, non fu utilizzato ai fini della decisione.

2. Il secondo di ricorso denuncia contraddittorietà ed illogicità della motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia, nonché erronea a falsa applicazione dell'art. 2967 cc e 115 cpc.

L'aspetto oggetto di censura riguarda la valutazione operata nella sentenza impugnata in ordine alla inesistenza della società dalla risultavano operati gli acquisti oggetto della fatture che l'Agenzia dell'Entrate ha ritenuto emesse per operazioni soggettivamente inesistenti (la società K.R. Informatica s.a.s. di P.C. & C.).

Il motivo è inammissibile. Nella presente causa, poiché la sentenza è stata pubblicata il 28 marzo 2013, è applicabile l'art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ, nel testo sostituito dall'art. 54, comma 2, lett. b), convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134.

Attualmente la norma prevede quale motivo di ricorso in cassazione ex art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ, l'«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti». Le SU di questa Suprema corte hanno chiarito che il controllo attualmente previsto da tale disposizione concerne «l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti [...].La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 cod. proc. civ, comma 1, n. 6), e art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ.), - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso».

Nulla di tutto questo nel motivo così come articolato dal ricorrente, nel quale è denunciata nella sostanza la valutazione compiuta dalla Commissione tributaria regionale, senza una vera e propria indicazioni di fatti il cui esame sarebbe stato omesso nel senso sopra indicato; e anche laddove la censura appaia rivolta a denunciare un vizio di omissione, il medesimo è riferito a elementi istruttori rispetto ai quali - nel complesso degli elementi che la Commissione tributaria regionale ha valutato per giungere a ravvisare tutti i presupposti perché la KR potesse essere qualificata "cartiera" - è palese il difetto di decisività.

Gli elementi considerati dalla Commissione tributaria regionale furono: «nessun capitale sociale minimo, nessuna consistenza patrimoniale, nessuna organizzazione o struttura commerciale, assenza di personale dipendente, assenza della documentazione contabile o amministrativa obbligatoriamente prevista per legge, omissione dei versamenti Iva incassati e di ogni altro adempimento fiscale previsto dalla legge, amministratore che esercita altre attività per brevi periodi di tempo e senza presentare alcuna dichiarazione».

Ora, rispetto al complesso di tali elementi, il ricorrente ha opposto che la Commissione tributaria regionale non avrebbe tenuto conto che presso la sede della KR vi era un ufficio arredato con tre computer, erano recapitate bollette per utenze e ivi fu visto diverse volte il rappresentante della KR quasi sempre con un furgone. Tuttavia ciò non basa a integrare il vizio ex art. 360, comma primo n. 5 cod. proc. civ, perché le conclusioni cui è pervenuta la Commissione tributaria regionale conservano intatta la loro plausibilità e coerenza pur in presenza della (supposta) omessa valutazione infondatamente denunciata con il motivo, mentre «il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092)».

3. Con il terzo motivo deduce che la Commissione tributaria regionale non si era pronunciata sulla doglianza con cui aveva censurato la sentenza del primo giudice per omessa pronuncia sull'eccezione di difetto di motivazione dell'avviso di accertamento, difetto riscontrato nella mancata allegazione del processo verbale di constatazione relativo alle verifiche effettuate dalla guardia di finanza di Crotone, nonché degli atti promossi dall'Agenzia delle Entrate di Crotone nei confronti della KR. Al riguardo la sentenza dopo avere identificato la censura mossa dall'appellante nei termini di cui al motivo, ha ritenuto la censura frutto di una confusione fra il procedimento sottoposto al suo giudizio e un diverso procedimento, in cui discuteva della inesistenza di diversi soggetti economici. Si legge nella sentenza: «la ricorrente lamenta la illegittimità dell'avviso di accertamento perché non sono stati prodotti i documenti attestanti l'inesistenza si soggetti economici greci, ma nel giudizio di cui si discute non è presente alcun operatore greco».

Secondo il ricorrente la Commissione tributaria regionale avrebbe preso a pretesto un refuso per eludere il proprio dovere di motivare sul motivo di censura.

Il motivo è inammissibile, perché non sono trascritti testualmente i passi dell'atto di appello dal quale avrebbe dovuto trarsi la conferma che, realmente la decisione della Commissione tributaria regionale non si giustificava altrimenti se non per non avere colto il refuso in cui era incorso il ricorrente nel riferimento a soggetti diversi (refuso ammesso dal ricorrente nella sua materialità).

4. Con il quarto motivo si solleva, sotto il profilo della violazione di legge, la questione della detraibilità dell'Iva e dei costi inerenti alle fatture che l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto soggettivamente inesistenti. Il motivo è fondato riguardo alla deduzione dei costi, infondato invece per l'Iva. Quanto ai costi, il principio di diritto di cui occorre fare applicazione è il seguente: «In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale jus superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem deducibili costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una "frode carosello"), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. 2014/26461)».

Ciò posto si comprende l'errore in cui è incorsa, con riguardo a questo aspetto, la Commissione tributaria regionale, che ha negato la detraibilità, tanto ai fini Iva quanto ai fini dell'imposte sui redditi, sulla base del semplice rilievo della inesistenza soggettiva delle operazioni, laddove tale dato è invece insufficiente a giustificare, per ciò solo, la indetraibilità dei costi ai fini delle imposte sul reddito, posto il principio sopra richiamato, che imponeva al giudice tributario di verificare, se di là dalla inesistenza soggettiva delle operazioni, ricorressero i requisiti di «effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità del costo».

Con riferimento alla detrazione dell'Iva la tesi del contribuente è che seppure la fattura fu emessa da un soggetto inesistente, l'esborso e l'acquisto furono reali ed effettivi.

Al riguardo deve replicarsi che la Corte di giustizia (Corte giust. 13 febbraio 2014, causa C-18/13, Maks Pen EOOD) riconosce che la direttiva 2006/112/CE, che ha rifuso la sesta direttiva, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell'imposta sul valore aggiunto riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi, qualora risulti che il servizio è stato sì fornito, ma non da tale prestatore o dal suo subappaltatore, purché sia dimostrato, alla luce degli elementi oggettivi forniti dalle autorità fiscali, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s'iscriveva in un'evasione (cfr. Cass. 24490 del 2015).

E' esattamente questa l'ipotesi sostenuta dall'Amministrazione finanziaria nel caso di specie, positivamente riscontrata dalla Commissione tributaria regionale attraverso l'esame complessivo degli elementi di indagine. In verità alcuni di tali elementi valorizzati dalla sentenza, in particolare quello che analizzano i legami fra la KR e una diversa società «a capo di un meccanismo di frode Iva, e di cui anche la stessa T. è sia cliente che fornitore» sembrano alludere a un coinvolgimento della contribuente che sembra andare oltre la semplice conoscibilità della frode.

E' proprio in rapporto a tale molteplicità e complessità di elementi che il ricorrente avrebbe dovuto misurarsi nel formulare la propria censura, che viene svolta in astratto e in linea di principio, in assenza della indicazioni di fatti, dedotti e non esaminati, idonei a inficiare la  valutazione positiva data dalla Commissione tributaria regionale sul complesso degli elementi posti a fondamento dell'accertamento anche riguardo a tale aspetto.

5. Il quinto motivo è inammissibile. Ed invero, relativamente alla censura secondo cui ci fu una illegittima trasposizione degli atti di verifica compiuti nei confronti della T.C..r.l a carico della T. computer ditta individuale, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la censura introducesse un'eccezione nuova in quanto non proposta nel giudizio di primo grado. Al riguardo il ricorrente assume che la questione fu rilevata dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, ma non dice in quale atto processuale e in che termini essa fu dedotta, il che rende, appunto, la censura inammissibile per difetto di autosufficienza.

6. Con il sesto motivo la sentenza è censurata per avere ritenuto che l'ufficio avesse fornito validi elementi di prova per ritenere dimostrata l'insussistenza delle operazioni di cui alle fatture contestate. In questo senso il motivo, dedotto sotto il profilo della violazione dell'art. 2697 cod. civ., è inammissibile. Infatti «violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell'ipotesi che il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064). Il principio è perfettamente applicabile al caso in esame, posto che la sentenza è censurata non già non per avere imposto al contribuente un onere probatorio che non gli competeva sulla base della norma, ma, appunto, per avere operato «un'erronea ricognizione della fattispecie concreta sulla base delle risultanze di causa, il che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110).

7. Il settimo motivo censura la sentenza, là dove questa ha ritenuta congrua la misura delle sanzioni irrogate dall'Ufficio. Il motivo, dedotto sotto il profilo della violazione di legge, è inammissibile. E' vero che la disposizione contenuta nel d. Igs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4 - che consente di ridurre la sanzione fino alla metà del minimo, quando concorrono eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione stessa - si applica, in mancanza di specifiche eccezioni, ad ogni genere di sanzioni, e dunque, anche al caso qui in rilievo di operazioni inesistenti, non ostandovi disposizioni comunitarie. Tuttavia, come questa Corte ha già precisato, la valutazione delle circostanze eccezionali che rendono manifesta l'anzidetta sproporzione e consentono la riduzione della sanzione costituisce un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. n. 25376 del 2008; Cass. 8722 del 2013, citata anche nel ricorso).

In conclusione, fra i motivi del ricorso, va accolto solamente il quarto e limitatamente alla questione riguardante la deduzione dei costi, con rigetto per tutto il resto.

Con riferimento a questo solo aspetto, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione, perché provveda al riesame attenendosi al principio di diritto indicato supra n. 4.

Alla commissione tributaria regionale si demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; rigetta tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia l’esame alla Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.