Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 marzo 2018, n. 7716

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo - Soppressione del posto di lavoro - Criteri di scelta dei lavoratori da licenziare - Idoneità della documentazione di prova prodotta dal datore di lavoro - Violazione - Onere di deduzione dal primo grado di giudizio - Pronuncia affetta da ultrapetizione - Mancata impugnazione - Formazione giudicato interno

 

Rilevato

 

che, con la sentenza n. 8655/2015, la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del 13.2.2014 del Tribunale di Frosinone, ha respinto le domande proposte da G.L. nei confronti della R. srl di R.M. volte alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli il 10.7.2010 con richiesta di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, oltre al pagamento della somma di euro 7.712,12 a titolo di differenze retributive;

che avverso la decisione di II grado G.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; che la R. srl di R.M. ha resistito con controricorso; che il PG non ha formulato richieste scritte.

 

Considerato

 

che, con il ricorso per cassazione, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604/1966 in relazione all'art. 5 della legge n. 223/1991 e agli articoli 1175 e 1375 cc, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc, per non avere considerato la Corte territoriale che il mancato deposito, da parte della società, della documentazione relativa ai carichi di famiglia di tutti i dipendenti rappresentava una palese violazione dell'onere della prova che grava sul datore di lavoro in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo obiettivo, ex artt. 3 e 5 legge n. 604/1966, essendo inidonea quella prodotta ed essendo infondata l'argomentazione che il L. non avesse contestato le modalità applicative dei criteri ex art. 5 legge n. 223/91 perché non era stato in grado di esaminare appunto tutti i documenti relativi ai lavoratori rimasti alle dipendenze della società; 2) l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, per non avere la Corte territoriale adeguatamente valutato il materiale fotografico acquisito agli atti di causa da cui si sarebbe rilevata la non soppressione del suo posto di lavoro perché altri autisti avevano coperto le corse in precedenza assegnate al L. e per non avere considerato la mancata produzione, da parte della società, dei fogli di corsa dell'anno 2011; 3) l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, per avere la Corte di merito omesso totalmente una valutazione complessiva degli elementi probatori idonei a fornire una esatta rappresentazione del fatto costituito dalla richiesta di retrodatazione del rapporto di lavoro dall'ottobre 2006 rispetto alla regolarizzazione effettuata nel maggio 2007;

che il primo motivo è inammissibile: invero, la sentenza impugnata risulta ancorata a due distinte rationes decidendi, autonome l'una dall'altra e ciascuna da sola sufficiente a sorreggerne il dictum: in base alla prima ragione la Corte di appello ha affermato che la pronuncia di primo grado era in sostanza affetta da ultrapetizione perché la causa petendi del ricorso di primo grado era limitata all'assenza della soppressione del posto di lavoro; per altro verso, la stessa Corte ha ritenuto che non vi fosse stata violazione dei criteri di scelta da parte della società non avendo il lavoratore tempestivamente replicato alle modalità di applicazione dei criteri stessi, né alle circostanze di essere uno degli ultimi assunti e senza carichi familiari a differenza di altri colleghi anche impiegati successivamente ed essendo la documentazione prodotta idonea a dimostrare i carichi di famiglia; orbene, con il motivo viene censurata soltanto la seconda ratio di talché l'omessa impugnazione della prima rende inammissibile per difetto di interesse la doglianza relativa all'altra la quale, essendo divenuta definita l'autonoma motivazione non impugnata (sul vizio di ultrapetizione), non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (Cass. 3.11.2011 n. 22753; Cass. n. 3886/2011); che il secondo e terzo motivo, oltre a quanto sopra detto in punto di inammissibilità, sono comunque infondati: si deduce con essi, infatti, un cattivo esercizio nella valutazione delle prove ma non l'omissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia il carattere della decisività, come richiesto dall'art. 360 n. 5 cpc, riformulato dall'art. 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83 conv. in legge 7.8.2012 n. 134 (cfr. per tutte Cass. Sez. Un. n. 8053/2014) applicabile nel caso in esame ratione temporis (sentenza impugnata depositata il 23.1.2015): ciò che si contesta con i motivi è la ricostruzione della vicenda che, però, ai sensi della sopra citata disposizione, è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi o obiettivamente incomprensibili (cfr. Cass. 9.6.2014 n. 12298): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso di specie; che, pertanto, sia in ordine alla non soppressione del posto che alla retrodatazione del rapporto di lavoro, si lamenta in sostanza una lettura delle risultanze istruttorie, che hanno portato alla scelta da parte della Corte territoriale, di una determinata opzione interpretativa, e si chiede un riesame del merito delle emergenze probatorie non consentito in sede di legittimità; che alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato; che, al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo; ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.