Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 febbraio 2018, n. 2837

Pensione d'anzianità - Riliquidazione - Calcolo sulla base delle retribuzioni effettivamente corrisposte in Svizzera - Applicazione del sistema retributivo vigente in Italia - Non fondato - Presenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale - Trasferimento presso l'AGO dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza depositata il 23 giugno 2009, la Corte d'appello di Lecce ha riformato la statuizione di primo grado e, in applicazione dell'art. 1, comma 777, legge n. 296 del 2006, ha rigettato la domanda proposta dall'attuale ricorrente, volta alla riliquidazione della pensione di vecchiaia sulla scorta delle retribuzioni effettivamente percepite durante i periodi di lavoro effettuati in Svizzera, in luogo di quelle virtuali ricalcolate dall'INPS in rapporto alla diversa incidenza degli oneri contributivi.

2. Contro tale statuizione ricorre P. A., con cinque motivi di censura, ulteriormente illustrati con memoria.

3. L'INPS resiste con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. Oggetto del contendere è la legittimità o meno delle modalità di liquidazione della pensione spettante ai cittadini italiani che hanno prestato attività lavorativa in Svizzera: i pensionati, infatti, si dolgono del fatto che l'INPS abbia liquidato loro la pensione assumendo come base di calcolo non già la retribuzione effettivamente percepita in tale Paese (come a loro avviso avrebbe dovuto fare in virtù del disposto dell'art. 1, I. n. 283/1973, che, nel ratificare la Convenzione stipulata tra l'Italia e la Svizzera in materia di sicurezza sociale del 4 luglio 1969, aveva fissato il principio secondo cui il calcolo della loro pensione sarebbe stato effettuato come se l'assicurato avesse lavorato in Italia), bensì una retribuzione teorica, ottenuta rapportando la retribuzione effettiva al maggior importo dei contributi previdenziali che sarebbero stati dovuti qualora essi avessero effettivamente lavorato in Italia, secondo modalità poi consacrate dall'art. 1, comma 777, legge 27 dicembre 2006, n. 296 che, nel dettare l'interpretazione autentica dell'art. 5, comma 2°, d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, ha previsto che esso s'interpreti nel senso che «in caso di trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l'importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l'aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono», facendo salvi «i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge».

5. Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente eccepisce la tardività dell'appello dell'INPS, per decorso del termine breve di impugnazione, e con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 342 e 434 cod.proc.civ., per non essere stata dichiarata la nullità dell'appello, in difetto di specificità dei motivi di gravame.

6. Entrambi i motivi sono inammissibili, perché carenti del quesito di diritto, ex art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile ratione temporis, trattandosi di impugnazione avverso sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione, introdotte dal decreto legislativo n. 40 del 2006 e in vigore fino al 4 luglio 2009 (artt. 47, co.1, lett. d) e 58, comma 5, L. n. 69 del 2009; cfr., ex multis, Cass. 20323/2010).

7. In ogni caso va ribadita l'inidoneità della notifica eseguita direttamente all'Istituto presso la sede provinciale - e non al difensore costituito - a far decorrere il termine breve per l'impugnazione della sentenza, ai sensi degli artt. 325 e 326 cod.proc.civ., in relazione agli artt. 285 e 170 del codice di rito, considerato che la sola identità del luogo della notifica, in assenza del riferimento nominativo al difensore costituito o al rappresentante processuale, non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale, unico qualificato a vagliare l'opportunità di proporre gravame.

8. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 51 del Trattato istitutivo CEE del 1957 (divenuto art. 42 CEE) e dell'art. 23 comma 1 del Regolamento comunitario n. 1408/1971, nonché dell'art. 1 comma 777 della legge n. 296 del 2006 e denuncia omessa motivazione sulla questione relativa al contrasto esistente tra l'art. 51 del Trattato CEE, il Regolamento Comunitario n. 14081/1981 e l'art. 1 comma 777 della legge n. 296/2006.

9. Il motivo è inammissibile perché risolvendosi l'illustrazione del mezzo nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato omette di riferire, con la necessaria specificità, i motivi d'appello sui quali si sarebbe omesso di giudicare.

10. Questa Corte di legittimità ha affermato il principio secondo cui il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedita l'adeguata contezza, senza necessità di compulsare atti diversi dal ricorso, della materia devoluta al giudice di appello e delle ragioni fatte valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte; con la deduzione dell'omessa pronuncia su una o più domande avanzate in primo grado è, invece, necessaria, al fine dell'ammissibilità del ricorso per cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello (Cass. n. 14561/2012; 17049/2015).

11. In ogni caso questa Corte già chiarito che la vicenda per cui è causa, concernendo il trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, e non già la totalizzazione dei contributi prevista dal Regolamento CE n. 1408/1971, quale unica misura rilevante ai fini pensionistici, inerisce ad una disciplina normativa peculiare ai rapporti fra Italia e Confederazione Svizzera, estranea all'ambito previsionale della legislazione comunitaria in tema di sicurezza sociale (Cass. nn. 11406 e 22877 del 2013).

12. Contrari argomenti non possono desumersi da quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 15.1.2002, C-55/00, Gottardo, secondo la quale, «nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri [...] devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario»: come già rilevato da questa Corte nelle pronunce dianzi cit., trattasi infatti di decisione adottata in una vicenda in cui oggetto del contendere era precisamente il diritto della pensionata ad ottenere la totalizzazione dei contributi rivenienti dal lavoro svolto in Italia, in Francia e nella Confederazione Svizzera, negatole dall'INPS sul (solo) presupposto che non avesse cittadinanza italiana, e dunque in fattispecie affatto differente da quella per cui è causa, nella quale, ripetesi, si controverte circa le modalità della ricongiunzione dei contributi e non della loro totalizzazione.

13. Anche il terzo e quarto motivo, concernenti la dedotta inapplicabilità dell'art. 1, comma 777 della legge n. 296 cit. alla stregua dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e la violazione dell'ultimo capoverso della medesima disposizione recante la clausola di salvaguardia, sono infondati.

14. Invero occorre premettere che, come già affermato da questa Corte in numerosi precedenti, la liquidazione a cui fa riferimento la norma richiamata deve essere intesa come l'atto conclusivo del procedimento amministrativo con il quale l'Istituto previdenziale accerta la sussistenza del diritto alla prestazione e la misura della stessa e non già con riferimento a quegli ulteriori (eventuali) provvedimenti di ricalcolo attuati a seguito di una pronuncia giudiziale, provvisoriamente esecutiva, ma non ancora definitiva, siccome impugnata; in altri termini la legge ha ritenuto di non dover incidere soltanto su quei trattamenti pensionistici già riconosciuti all'esito del procedimento amministrativo di liquidazione che fossero risultati, in concreto, più favorevoli all'assicurato rispetto a quelli derivanti dall'applicazione della disposizione interpretativa (cfr, per tutte, Cass. 13 gennaio 2014, n. 485).

15. La Corte costituzionale, dopo aver affermato che, nel bilanciamento tra la tutela dell'interesse sotteso all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, e la tutela degli altri interessi costituzionalmente protetti complessivamente coinvolti nella disciplina recata dall'art. 1, comma 777, legge n. 296 del 2006, sussistevano quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva, trattandosi in specie di assicurare che il sistema previdenziale risponda a criteri di corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni  erogate e di impedire alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà che occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali, ha dapprima rilevato come l'art. 1, comma 777, legge cit., sia ispirato ai principi di uguaglianza e di proporzionalità, in quanto, tenendo conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera sono notevolmente inferiori a quelli versati in Italia, si limita ad operare una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, in modo da livellare i trattamenti per evitare sperequazioni e rendere sostenibile l'equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni (sentenza n. 264 del 2012), e da ultimo ha dichiarato inammissibile l'ulteriore questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, sollevata da questa Corte, con ordinanza n. 4881 del 2015, per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6, par. 1, e all'art. 1, Protocollo n. 1 allegato alla CEDU, per come interpretato dalla Corte EDU nella sentenza 15.5.2014 (Stefanetti ed altri c/ Italia): ha osservato, infatti, il giudice delle leggi che la citata sentenza della Corte EDU non evidenzia «un profilo di incompatibilità, con l'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che sia riferito, o comunque riferibile, alla disposizione nazionale in esame, in termini che ne comportino, per interposizione, il contrasto - nella sua interezza - con l'art. 117, primo comma, Cost.», quanto piuttosto «l'esistenza di una più circoscritta area di situazioni in riferimento alle quali la riparametrazione delle retribuzioni percepite in Svizzera, in applicazione della censurata norma nazionale retroattiva, può entrare in collisione con gli evocati parametri convenzionali e, corrispondentemente, con i precetti di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione», e - dato atto che tale area non è stata delineata in termini generali nella sentenza della Corte EDU, il cui giudizio tiene invece conto, «quali "elementi pertinenti", dei lunghi periodi da quei soggetti trascorsi in Svizzera, della entità dei contributi ivi versati, della loro categoria lavorativa di appartenenza e della qualità dei rispettivi stili di vita» - ha concluso nel senso che «l'indicazione di una soglia (fissa o proporzionale) e di un non superabile limite di riducibilità delle "pensioni svizzere" [...] come pure l'individuazione del rimedio, congruo e sostenibile, atto a salvaguardare il nucleo essenziale del diritto leso, [...] presuppongono, evidentemente, la scelta tra una pluralità di soluzioni rimessa, come tale, alla discrezionalità del legislatore» (così Corte cost. n. 166/2017).

16. Il ricorso, conclusivamente, va rigettato.

17. In considerazione della novità e straordinaria complessità della questione trattata, per il cui esito ultimo è stato necessario attendere il citato pronunciamento del giudice delle leggi, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.