Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 giugno 2017, n. 14868

Contratto a tempo determinato - Nullità del termine - Dipendente postale - Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

Rilevato

che la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 3 marzo 2010, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra R.F. e Poste Italiane S.p.A., accertando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 1°/7/2000;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. sulla base di due motivi;

che la lavoratrice ha resistito con controricorso;

che l'udienza originariamente fissata, in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulle ordinanze di rimessione n. 14340/2015 e 15705/2015, è stata rinviata all'odierna adunanza, per la quale la ricorrente ha prodotto memoria illustrativa;

 

Considerato

 

che con il primo motivo di ricorso è stata dedotta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099, 2697 c.c., rilevando che la sentenza avrebbe disatteso i principi evincibili dalle indicate norme, secondo cui anche nel caso di conferma della nullità del termine apposto al contratto il lavoratore avrebbe diritto a titolo risarcitorio alle retribuzioni solo dal momento dell'effettiva ripresa del servizio;

che con il secondo motivo è stata invocata l'efficacia dello ius superveniens, costituito dall'art. 32 della I. 4 novembre 2010 n. 183, in relazione alla determinazione della misura del risarcimento del danno in caso di conversione del rapporto;

considerato che il primo motivo è inammissibile, poiché con esso la ricorrente deduce una questione che non risulta essere stata trattata nella sentenza impugnata, senza, tuttavia, allegare il fondamento documentale, né fornire indicazioni per il reperimento nel fascicolo dei documenti (primi tra tutti gli atti di parte del giudizio di primo grado), dai quali evincere la prospettazione della medesima nelle fasi di merito (così Cass. 18/10/2013 n. 23675: «qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione"».

che l'ultimo motivo, attinente alle conseguenze risarcitorie dell'illegittimità del termine, è fondato in ragione della previsione contenuta nell'art. 32 comma 5 della I. 4 novembre 2010 n. 183 e del suo carattere retroattivo, ai sensi del comma 7, ancorché trattasi di norma emanata dopo la sentenza d'appello («In tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l'operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all'ordinamento giuridico» Cass. Sez. U. del 27/10/2016 n. 21691);

che, pertanto, la sentenza va cassata limitatamente al suddetto motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l'indennità spettante all'odierna parte ricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10/07/2015 n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. 17/02/2016 n. 3062);

 

P.Q.M.

 

Accoglie il motivo concernente l'applicazione dell'art. 32 I. 4/11/2010 n. 183, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.