Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 settembre 2016, n. 18309

Apprendistato - Disdetta - Termine di preavviso contrattuale - Violazione - Conversione in rapporto a tempo indeterminato

 

Svolgimento del processo

 

T.D. esponeva al Tribunale di Fermo di aver lavorato come apprendista per la S. S.p.a; deduceva che il contratto si era trasformato in rapporto a tempo indeterminato non essendo stata comunicata la disdetta entro il termine di preavviso. Pertanto Impugnava l'intimato licenziamento e comunque allegava anche l'inadempimento dell'obbligo formativo. La società convenuta contestava la fondatezza della domanda; il Tribunale rigettava il ricorso. La Corte di appello di Ancona con sentenza del 23.6.2013 in parziale accoglimento dell'appello principale e con assorbimento di quello incidentale annullava il licenziamento (così qualificata la disdetta tardiva) e condannava la società appellata al pagamento in favore della parte appellante del risarcimento del danno commisurato a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto nonché a 15 mesi in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, detratto quanto versato per indennità sostitutiva del preavviso oltre accessori e condanna la società al pagamento della somma di euro 156,79 per lavoro straordinario. La Corte territoriale osservava che la prova espletata aveva dimostrato l'adempimento da parte della S. agli obblighi formativi posto che gli apprendisti avevano effettivamente partecipato ai corsi di formazione professionale seguiti dal tutor aziendale. Il mancato svolgimento di corsi da parte della Provincia di Ascoli Piceno, oltre a non poter essere ascritto alla società, non aveva determinato una lesione significativa al programma formativo. Il contratto di apprendistato doveva tuttavia considerarsi ormai convertito In un rapporto a tempo indeterminato in quanto non era stato disdettato ex artt. 2118 c.c. e art. 55 I. n. 25/1955 (ndr: art. 19 I. n. 25/1955) nel termine previsto dalle norme collettive posto che la disdetta era intervenuta un giorno prima della scadenza, mentre il termine contrattuale di preavviso era di un mese e mezzo. Spettava quindi il risarcimento del danno nella misura minima e l’indennità sostitutiva della reintegrazione. Provato era anche lo svolgimento del lavoro straordinario nella misura di cui alla sentenza alla stregua della documentazione prodotta e delle dichiarazioni del teste R., mentre non spettava l'inquadramento superiore dedotto.

Per la cassazione di tale decisione la società propone ricorso con un motivo corredato da memoria; resiste controparte con controricorso che ha proposto anche ricorso incidentale con un motivo.

 

Motivi della decisione

 

Con il motivo del ricorso principale si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 L. n. 25/1955, dell'art. 49 D. Lgs n. 276/2003 e dell'art. 2118 c.c.; nessuna delle norme indicate espressamente prevedeva che la disdetta del contratto di apprendistato dovesse rispettare il periodo di preavviso contrattuale; il legislatore solo con la norma di cui all'art. 7 del d.lgs n. 167/2011 ha inteso correlare la disdetta al periodo di preavviso, ma tale previsione è inapplicabile alla fattispecie perché successiva. Era comunque applicabile il capoverso dell'art. 2118 c.c. che stabilisce solo l'obbligo di pagare una indennità in caso di mancato rispetto del periodo di preavviso: la disdetta risultava comunicata prima della scadenza del contratto di apprendistato e, quindi, il rapporto non si era trasformato in contratto a tempo indeterminato.

Il motivo appare infondato. Lo stessa parte ricorrente deduce che l'art. 55 legge n. 25/1995  (ndr: art. 19 I. n. 25/1955) è stato abrogato solo dall'art. 7 d Igs n. 167/2011 e quindi dopo la conclusione del rapporto di apprendistato, cosi come era applicabile al momento della disdetta l'art. 49 d. Igs. n. 276/2003: entrambe le norme prevedono per il datore di lavoro la possibilità di recedere al termine del rapporto di apprendistato alla stregua di quanto disposto dall'art. 2118 c.c. il quale a sua volta stabilisce al suo primo comma che il recesso deve essere manifestato nel rispetto del termine e nel modi stabiliti dalle norme collettive, dagli usi o secondo equità, il che non è pacificamente avvenuto in quanto non è stato rispettato il termine previsto dal contratto collettivo essendo stata la disdetta esercitata il giorno prima la conclusione del rapporto di apprendistato (quindi senza il rispetto del termine di preavviso contrattuale). Appare ovvio che il riferimento compiuto dalle norme sull'apprendistato sia al solo primo comma dell'art. 2118 c.c. posto che si vuole stabilire le modalità del recesso da un contratto di apprendistato per relationem ad una disciplina codicistica, mentre il secondo comma regola l'Istituto del preavviso in un rapporto di durata a tempo indeterminato, irrilevante per regolare il diverso istituto dell'apprendistato. Pertanto appare corretto il precedente di questa Corte, per quanto risalente, di cui a Cass. n. 6034/1983. L'argomento per cui solo nel 2011 si sarebbe chiarito il rapporto tra cessazione del rapporto di apprendistato e rispetto del termine di preavviso è chiaramente ambivalente potendosi ritenere che il legislatore nel 2011 abbia inteso chiarire un punto sul quale la giurisprudenza di legittimità era intervenuta solo saltuariamente conferendo maggiore certezza ai diritti dell'apprendista. Pertanto essendo chiare le norme applicabili ed univoco il riferimento all'art. 2118 c.c. (primo comma) non sussistono ragioni per discostarsi dal detto precedente cui, pertanto, deve darsi continuità.

Con il motivo del ricorso incidentale si allega il vizio di omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in relazione alla presunta prova dell'adempimento da parte della società datrice di lavoro degli obblighi formativi e delle regole dell'apprendistato professionalizzante, nonché la violazione dell'art. 49 D. Lgs. n. 276/2003.

Il motivo appare inammissibile in quanto solleva censure di merito prospettando una carenza o contraddittorietà della motivazione, doglianze non più prospettabili alla luce della nuova formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile ratione temporis. Va ricordato sul punto l'orientamento di questa Corte che si condivide e cui si Intende dare continuità secondo il quale "l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciatile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie" (Cass. SSUU n. 8053/2014 ). Il "fatto" di cui si discute è già stato ampiamente esaminato dai Giudici di appello che hanno ritenuto che, nonostante alcune attività formative non fossero state svolte, nel suo complesso l'obbligo formativo fosse stato adempiuto nella sua sostanza. La violazione prospettata di diritto nell'ultima parte del motivo in realtà reitera le censure di fatto alla motivazione della sentenza impugnata.

Stante la soccombenza reciproca devono compensarsi tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale e del ricorrente in via incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale e del ricorrente in via incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e del ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.