Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 settembre 2016, n. 19133

Tributi - Avviso di accertamento - Corrispettivo cessione del complesso industriale - Non dichiarata ai fini IRPEF - Mancato versamento dell’IVA

 

Svolgimento del processo

 

Nei confronti di A.V. venne emesso per l'anno d'imposta 2005 avviso di accertamento per l'importo di € 681.643,00 quale corrispettivo della cessione del complesso industriale effettuata in data 22 dicembre 2005, non dichiarata ai fini IRPEF, mentre si accertava ai fini IVA il mancato versamento della relativa imposta, avendo il contribuente dichiarato ai fini IVA l'importo della predetta vendita. Propose ricorso il contribuente deducendo che l'Ufficio non aveva tenuto conto sia della rivalutazione del cespite ai sensi dell'art. 10 I. n. 342/2000, sia del valore attribuito allo stesso nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, ove era stato indicato come valore delle immobilizzazioni l'importo di € 411.141,74. La CTP accolse parzialmente il ricorso, dichiarando tassabile ai fini IRPEF il solo importo corrispondente alla differenza fra € 681.643,00 e € 411.141,74. Propose appello il contribuente, deducendo fra l'altro che gli era stata notificata cartella di pagamento per l'importo di € 34.358,58, quale seconda rata dell’imposta sostitutiva che avrebbe dovuto versare ai fini della cennata rivalutazione. Propose appello incidentale l'Ufficio, deducendo fra l'altro che, oltre alla cartella di pagamento citata dall'appellante, ne era stata notificata nel 2007 una precedente per l'importo di € 46.005,00, e che tutte le somme eventualmente pagate potevano essere considerate a scomputo di quelle dovute in forza dell'avviso di accertamento. La Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettò l'appello incidentale ed accolse quello principale, annullando l'avviso di accertamento, sulla base della seguente motivazione.

L'iscrizione a ruolo dell'importo di € 34.358,58 delle somme indicate nella dichiarazione Unico 2004 è stata disposta per recuperare l'indebito utilizzo del credito conseguente al mancato versamento delle somme dovute a titolo di imposta sostitutiva per la rivalutazione del cespite. Da ciò consegue "la validità ai fini fiscali della rivalutazione operata ai sensi della legge 342/2000 e quella dei valori dei cespiti così come emergenti dalle scritture contabili aggiornati con la rivalutazione dichiarata ai fini del calcolo della eventuale plusvalenza conseguita dal contribuente. Che la procedura seguita dall'Ufficio per il recupero dell'imposta sostitutiva dovuta sia corretta emerge dal suo stesso atto di appello incidentale allorquando viene fatto rilevare che già nel 2007 era stata notificata una cartella di pagamento al fine di recuperare sempre l'imposta sostitutiva scaturente dalla operata rivalutazione. Ulteriore conferma che al mancato versamento dell'imposta sostitutiva non corrisponda la sua invalidità ai fini fiscali risiede nella formulazione letterale della norma che all'art. 12 della legge 342/2000 non stabilisce alcuna specifica previsione di invalidità così come invece sostenuto dall'appellante incidentale".

Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il contribuente.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. e con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2697, 2709 e 2729 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che l'importo di € 411.141,74 evidenziato in bilancio è privo di fondamento sia perché non è stata fornita documentazione idonea a dimostrare l'effettivo valore non ancora ammortizzato ai fini del calcolo della plusvalenza, sia perché, essendo stato il complesso industriale costruito con concessioni del 1983 e del 1990, i relativi costi dovevano ritenersi interamente ammortizzati, e che la plusvalenza, essendo la cessione avvenuta nel 2005, andava calcolata come differenza tra il corrispettivo della cessione e l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto del cespite trasferito, ossia quello risultante dal bilancio chiuso al 31 dicembre 2004, pari a zero per essere stato completamente ammortizzato. Precisa che il bilancio, in mancanza di ulteriore idonea documentazione, ed in presenza della presunzione, munita dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c., di totale ammortamento dei cespiti al momento della loro vendita non poteva assurgere a prova stanti i limiti fissati dall'art. 2709 c.c. (le scritture ed i libri contabili possono costituire solo un mero indizio se a favore dell'imprenditore).

I due motivi sono inammissibili. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l'esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall'art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443). Ai fini dell'ammissibilità del ricorso è necessario che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 6 maggio 2015, n. 9100).

Nel ricorso in esame, in relazione ai due motivi in questione, trattati in modo unitario, non è data la possibilità di distinguere nettamente la doglianza relativa alla questione di diritto da quella relativa al denunciato vizio motivazionale.

La denuncia della violazione delle norme sulla prova coincide con quella relativa alla quaestio facti. L’art. 2709 c.c.sarebbe stato violato in quanto la CTR avrebbe del tutto trascurato la presunzione di ammortamento totale dedotta dall'Ufficio e l'art. 2729 c.c. sarebbe stato violato per la mancata considerazione della detta presunzione di ammortamento totale (impingendo peraltro la censura nella valutazione riservata al giudice di merito in ordine all'esistenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza - fra le tante Cass. 6 agosto 2003, n. 11906). Resta quindi la sovrapposizione e mescolanza di censure.

Aggiungasi che le censure, così sovrapposte, non colgono la ratio decidendi. Fondamento della decisione impugnata è il perfezionamento della fattispecie di rivalutazione del bene ai sensi dell'art. 10 ss. I. n. 342/2000. Le censure non toccano il profilo del perfezionamento della fattispecie legale, ma restano sul piano della confutazione del valore della plusvalenza.

Con il terzo motivo si denuncia insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha ritenuto assolto l'obbligo fiscale sulla base delle due cartelle di pagamento, senza considerare che il relativo importo era da ritenere a scomputo delle ulteriori imposte dovute per effetto dell'avviso di accertamento.

Il motivo è inammissibile. Anche tale motivo non coglie la ratio decidendi. La censura non coglie che fondamento della decisione impugnata è il perfezionamento della fattispecie di rivalutazione del bene ai sensi dell'art. 10 ss. I. n. 342/2000.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali, che liquida in euro 5.090,00 per compenso, oltre le spese nella misura forfettaria del 15% e gli oneri di legge.