Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 gennaio 2017, n. 1013

Tributi - Avviso di accertamento IRES, IVA, IRAP - Mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000

 

Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis, cod. proc. civ. è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:

« Con sentenza in data 18 marzo 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 2947/18/14 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso della N. Hardware & Software spa contro l’avviso di accertamento IRES, IVA, IRAP 2003. La CTR osservava in particolare che la sentenza appellata andava confermata poiché attuativa dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in ordine al mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, L. 212/2000.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Con l’unico mezzo dedotto —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000, allegando in questo senso plurimi profili di erroneità giuridica della sentenza impugnata.

La censura si palesa infondata.

La sentenza impugnata risulta infatti aver pienamente e correttamente applicato il principio di diritto consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio» (Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474).  Tale principio è stato altresì ribadito e precisato nel senso che «In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, le ragioni di urgenza che, ove sussistenti e provate dall'Amministrazione finanziaria, consentono l'inosservanza del termine dilatorio di cui alla legge n. 212 del 2000, devono consistere in elementi di fatto che esulano dalla sfera dell'ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità, sicché non possono in alcun modo essere individuate nell'imminente scadenza del termine decadenziale dell'azione accertativa» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 22786 del 09/11/2015, Rv. 637204).

Orbene, la ricorrente allega che la "ragione sostanziale" giustificante il mancato rispetto del termine dilatorio de quo consiste nel fatto che la GdF abbia chiuso le operazioni di verifica soltanto l’11 dicembre 2012, con il termine decadenziale scadente il successivo 31 dicembre 2012, precisando altresì che la durata delle indagini ispettive fiscali erano dipese dalla loro complessità anche in quanto intersecanti quelle penali e che comunque tale durata non le era imputabile, appunto perché riferibile all’attività istruttoria di un diverso organo dell’amministrazione finanziaria.

Correttamente la CTR ha svalorizzato tali argomenti, poiché riguardano "fatti interni" all’amministrazione finanziaria stessa, dovendosi anche tenere conto del fatto che nel caso di specie il termine decadenziale è raddoppiato trattandosi di illeciti fiscali anche penalmente rilevanti.

Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375, cod. proc. civ. per la trattazione del ricorso in camera di consiglio e se ne propone il rigetto».

Il Collegio condivide la relazione depositata.

Il ricorso va dunque rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio secondo generale principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese del presente giudizio che liquida in euro 8.000, oltre spese borsuali euro 200, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.