Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2018, n. 8892

Tributi - Avviso di accertamento a seguito di verifica della G.d.F. - Dichiarazione di fallimento della società - Emissione dell’avviso senza l'osservanza del termine dilatorio - Legittimità - Motivazione d’urgenza - Necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare

 

Fatti di causa

 

1. La Curatela Fallimentare della s.r.l. A. C. ha proposto ricorso per cassazione contro l'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano del 18 settembre 2012, con la quale, all'esito della riunione dei relativi ricorsi sono stati rigettati gli appelli separatamente proposti dalla Curatela avverso tre sentenze rese in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia.

2. Quel giudice era stato adito dalla Curatela con tre distinti giudizi aventi ad oggetto l'impugnazione di tre distinti avvisi di accertamento, notificati in data 6 novembre 2009 - sulla base di un processo verbale di constatazione del 20 ottobre 2009, seguito ad una verifica avviata dalla Guardia di Finanza il 30 aprile 2009 - ed aventi ad oggetto, rispettivamente per gli anni 2005, 2006 e 2007, l'accertamento di somme dovute a titolo di IVA, IRES e IRAP, in relazione ad operazioni di cessione di immobili con sottofatturazione ed al costo di lavori di ristrutturazione, eseguiti su immobili di proprietà di due soci e fatturati a carico della società.

Avverso ciascuno degli accertamenti la Curatela proponeva ricorso ed all'esito della loro separata trattazione la CTP pronunciava distinte sentenze nel 2010, con le quali respingeva i ricorsi e compensava le spese.

3. Al ricorso per cassazione, che propone dieci motivi, ha resistito con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

4. La ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta "violazione e falsa applicazione dell'art. 12 comma 7, della Legge n. 212/2000, degli artt. 3 e 21-septies della Legge n. 241/1990, dell'art. 7 della Legge n. 212/2000 e degli artt. 3 e 97 della Costituzione in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 del c.p.c.".

Il motivo censura la motivazione della sentenza quanto alla valutazione con cui ha disatteso il motivo di impugnazione degli avvisi di accertamento prospettato per essere stati gli stessi notificati senza l'osservanza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000.

Detta motivazione si è articolata innanzitutto con l'affermazione che nella specie trovava applicazione il principio - che si è detto affermato da questa Corte - secondo cui l'avviso di accertamento deve ritenersi valido qualora rechi un'adeguata motivazione della particolare urgenza che giustifichi l'inosservanza del detto termine. La CTR ha, quindi, soggiunto che: <<con riguardo al caso specifico, si deve tenere presente che, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale aderisce la Commissione, una volta che l'amministrazione finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi attribuiti dalla legge per l'espletamento di tali incombenze (Cass. 21189/11; 20910/11); per i crediti tributari l'iscrizione a ruolo determina il sorgere dell'obbligazione tributaria ai sensi dell'art. 88 d.lgs. n. 46/1999 (Cass. 12019/11). Ne discende che, in considerazione dei tempi tecnici richiesti dalla complessa procedura, che implica il coinvolgimento di vari soggetti (notifica degli avv. di accert., iscrizione a ruolo) configura motivo idoneo a giustificare l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni, l'urgenza di notificare al più presto l'atto impositivo per poter procedere al più presto all'iscrizione a ruolo legittimante l'insinuazione tempestiva al passivo fallimentare.>>.

1.1. La critica a tale motivazione viene svolta adducendo che l'urgenza non sussisteva tenuto conto in primo luogo dei seguenti dati concernenti la procedura fallimentare:

a) la sentenza dichiarativa di fallimento di A. C. S.r.l., pronunciata il 14 maggio 2009, aveva disposto la fissazione dell'udienza per l'esame dello stato passivo in data 29 ottobre 2009;

b) con il verbale di adunanza del 12 novembre 2009 si era reso esecutivo lo stato passivo, era stata fissata l'udienza del 4 marzo 2010 per la verifica delle insinuazioni tardive;

c) l'atto di insinuazione al passivo di Equitalia era stato depositato in data 20 febbraio 2010, là dove il termine finale risultava quello del 12 novembre 2010.

1.1.1. Sulla base di questa sequenza si sostiene che l'Erario, in forza del processo verbale di contestazione del 20 ottobre 2009, non avrebbe potuto proporre una insinuazione tempestiva al passivo fallimentare, giacché essa si sarebbe potuta proporre soltanto prima del 29 settembre 2009, cioè trenta giorni prima dell'udienza per l'esame dello stato passivo. In secondo luogo, si rileva che l'Agenzia delle Entrate aveva emesso gli avvisi di accertamento in data 30 ottobre 2009, cioè dopo solo dieci giorni dalla notifica del processo verbale di contestazione, pur avendo tempo per insinuarsi al passivo ormai tardivamente fino al 12 settembre 2010.

1.1.2. In ragione di tale consecuzione degli accadimenti si sostiene che con la sopra ricordata motivazione la CTR avrebbe, in definitiva, ritenuto che la sola dichiarazione di fallimento fosse giustificativa della inosservanza del termine di sessanta giorni di cui all'articolo 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, ma questo non sarebbe consentito dal significato del disposto della norma e ciò in primo luogo perché la disposizione è stata ideata per favorire le necessaria collaborazione che deve essere presente tra l'amministrazione ed il contribuente, prevedendosi così la possibilità di quest'ultimo di poter fornire delle osservazioni in merito alla verifica cui è stato sottoposto ed in tal modo ricollegandosi l'intervento del contribuente ai principi di collaborazione e trasparenza che stanno alla base del procedimento amministrativo regolato dalla I. n. 241 del 1990 e dell'esigenza di assicurare i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione in conformità al disposto dell'articolo 97 della Costituzione.

In relazione alla ratio della previsione normativa, si assume che la circostanza che la ricorrente si sarebbe potuta insinuare nel passivo fallimentare soltanto in via tardiva e che il termine in proposito veniva a scadere ben dopo la scadenza del termine di sessanta giorni di cui all'art. 12, comma 7, dovrebbe evidenziare insussistenza delle ragioni di urgenza per cui quel termine non si è rispettato.

1.1.3. Si argomenta ulteriormente che la tesi accolta dalla CTR comporterebbe una evidente lesione del principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, perché discriminerebbe la posizione del contribuente in bonis da quella del contribuente fallito.

1.2. Il motivo non è fondato, ma è necessario correggere la motivazione della sentenza impugnata là dove ha individuato la giustificazione dell'urgenza nella sola deduzione negli avvisi di accertamento della situazione di fallimento della contribuente.

1.3. Si rileva, in primo luogo che questa Corte ha recentemente statuito che: <<In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'intervenuta dichiarazione di fallimento di quest'ultimo giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, a prescindere dalla sua esternazione all'interno dell'atto impositivo, non richiesta dallo Statuto del contribuente, né da altra specifica disposizione, discendendo l'urgenza dalla necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare.>> (Cass. n. 13294 del 2016).

In motivazione la decisione ha osservato quanto segue: <<I. Con il primo e secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro intrinseca connessione, la società ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione della legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, anche in combinato disposto dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 42, per avere la CTR ritenuto valido l'avviso d'accertamento ancorché notificato prima dello scadere del termine di sessanta giorni previsto dallo Statuto del contribuente, senza che nel medesimo atto fossero esplicitati i motivi dell'urgenza e nonostante l'insussistenza di questi. La ricorrente sostiene, con riferimento al primo motivo, che la mancata specificazione, nel corpo dell'atto impositivo, dei motivi dell'urgenza, comporta la nullità di tale atto e, con riferimento al secondo motivo, che quelle addotte dall'Ufficio nelle controdeduzioni depositate in primo grado — con riferimento alla necessità, a fronte dell'intervenuta dichiarazione di fallimento della società, di emettere immediatamente l'atto impositivo per procurarsi il titolo necessario per partecipare alla liquidazione dell'attivo fallimentare, costituito dal ricavato dalla vendita, già fissata, dell'unico cespite immobiliare acquisito alla massa fallimentare — non integrano un caso di particolare urgenza. 2. I motivi sono entrambi infondati. 3. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che <la legge 2012 del 2000, art. 12, nel prevedere che l'avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvi i casi "di particolare e motivata urgenza" impone un termine per l'esercizio dell'azione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell'urgenza nell'emissione, anticipata, dell'atto impositivo, (cfr. Cass. n. 11944 del 2012, cui hanno fatto seguito Cass. S.U., n. 18184 del 2013; Sez. V, n. 24316 del 2014) . Quindi, in presenza di casi di urgenza, l'effetto derogatorio opera a prescindere dalla sua esternazione all'interno dell'atto impositivo, che non è richiesto né dallo Statuto dei diritti del contribuente (posto che l'art. 7 della legge n. 212 del 2000 prescrive che l'atto deve contenere soltanto i "presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione"), né da altre specifiche disposizioni (quali l'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e l'art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972) che disciplinano il contenuto degli atti impositivi e non i tempi della loro emanazione. Ovviamente, in presenza di contestazione da parte del contribuente, è onere dell'Ufficio allegare e provare la sussistenza in concreto delle ragioni dell'urgenza, in particolare che l'inosservanza del termine dilatorio non sia dovuta a inerzia o negligenza, ma ad altre circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l'accertamento ovvero abbiano reso difficoltoso con il passare del tempo il pagamento del tributo e necessario procedere senza il rispetto del termine> (Cass. n. 24316/14 citata), come si verifica nell'ipotesi in cui il contribuente versi in grave stato di insolvenza (cfr. Cass. n. 9424 del 2014). Deve, quindi, ritenersi ampiamente giustificata l'emissione "ante tempus" dell'avviso di accertamento nel caso, come quello in esame, di società contribuente sottoposta a procedura fallimentare, discendendo l'urgenza dalla necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo (rappresentato dal predetto atto impositivo) utile per insinuarsi, peraltro già tardivamente (ai sensi della legge n. 267 del 1942, art. 101), nel passivo fallimentare, non potendosi condividere il giudizio di prognosi postuma formulato dalla ricorrente sulla base delle tempistiche della procedura liquidatoria successive all'emissione dell'atto impositivo.>>.

1.4. Il Collegio, con specifico riferimento alla fattispecie che si giudica e, dunque, in relazione alla possibilità di una insinuazione soltanto tardiva nel passivo fallimentare, ritiene che l'assunto che, in presenza di procedura fallimentare a carico della contribuente, automaticamente si possa configurare la ragione di urgenza che rende legittimo per l'Erario non osservare il termine dilatorio per l'emissione dell'avviso di accertamento si debba giustificare per le seguenti ragioni, che rendono del tutto irrilevante che l'ammissione al passivo dell'Erario non possa ormai essere tempestiva al momento in cui l'avviso viene emesso in via d'urgenza con l'allegazione come giustificazione dell'esistenza del fallimento.

1.4.1. La prima ragione si coglie riflettendo che l'esistenza del fallimento del contribuente allorquando viene effettuata la contestazione, all'esito della chiusura dell'attività accertativa, evidenziando una situazione in cui il credito erariale accertato avrà necessariamente la prospettiva di doversi soddisfare coattivamente in sede concorsuale e, dunque, in una procedura satisfattiva in corso, si presta a giustificare che l'attività di realizzazione del presupposto della soddisfazione, cioè l'inserimento nel passivo fallimentare si connoti come urgente, in quanto l'Erario, quale futuro creditore concorsuale ha un evidente interesse ad inserirsi al più presto nella procedura fallimentare.

Tale interesse sussiste a prescindere dal se l'inserimento possa avvenire tramite insinuazione in via tempestiva oppure tardiva e ciò per la ragione che, entrando nella procedura concorsuale, il creditore, in questo caso l'Erario, può esercitare le facoltà ed i poteri che la veste di intervenuto gli assegna, il che può riguardare oltre che l'operato degli organi fallimentari, eventuali opposizioni dirette a contestare le posizioni di altri creditori.

Questa peculiarità esclude che possa valere la suggestione prospettata da parte ricorrente circa una discriminazione fra la posizione del contribuente fallito e quello del contribuente in bonis, atteso che la diversità delle due posizioni, emergente da quanto rilevato, giustifica la diversità del loro trattamento.

1.4.2. La ragione indicata, che già di per sé si presenta di rilevante portata, è completata fino ad assurgere efficacia decisiva, da una seconda ragione: il contribuente che versi in stato di fallimento sì viene a trovare in una situazione in cui le modalità di esercizio delle sue capacità non paiono compatibili con l'attesa da parte dell'Erario della scadenza del termine dilatorio, giacché detta capacità passa, quoad gestione del patrimonio, in capo al curatore, il quale, però, esercita l'attività di gestione sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori ai sensi del primo comma dell'art. 31 della legge fallimentare e, tra l'altro secondo scansioni che prevedono relazioni (art. 33 legge fallimentare).

Ne deriva che, poiché la vigilanza suppone il previo adempimento di un onere di informazione, risulta palese che la normale facoltà attribuita al contribuente con l'inciso <<può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori>> si presenta di difficile immediata realizzazione, sì da risultare dunque incompatibile con il termine di sessanta giorni.

1.4.2. In definitiva, dunque, la particolarità della condizione del contribuente in stato fallimentare giustifica senza dubbio, ancorché l'insinuazione del Fisco nel passivo, in ragione della tempistica dell'accertamento, possa avvenire solo tardivamente, che l'attività accertativa possa oggettivamente qualificarsi urgente e ciò senza che si verifichi, proprio per le peculiarità segnalate della situazione, la lesione del principio di eguaglianza paventata dalla ricorrente.

2. Con il secondo motivo si prospetta "motivazione omessa circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all'art. 360 comma 1, n. 5, cinque c.p.c.", adducendo che la motivazione resa dalla sentenza impugnata avrebbe giustificato l'urgenza assumendo che si trattava di provvedere ad una insinuazione tempestiva nel passivo fallimentare, ancorché emergesse dai documenti in atti che l'insinuazione avrebbe potuto ormai essere solo tardiva.

2.1. Il motivo, pur evidenziando una erronea supposizione della possibilità di una insinuazione tempestiva, rimane assorbito dall'esito del precedente (in ragione del carattere oggettivo della rilevazione della urgenza, avallata dal ricordato precedente con il rimarcare che essa non deve necessariamente indicarsi nell'atto impositivo) e dalla disposta correzione della motivazione, non senza che debba adombrarsi che rivestiva carattere anche revocatorio e come tale sarebbe stato inammissibile.

3. Con il terzo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 5-bis del D. Lgs. 218/1997, degli artt. 7, 10 e 12, comma 7 della Legge n. 212/2000 e degli artt. 3 e 97 della Costituzione in relazione all'art. 360 comma 1. n. 3 del c.p.c.".

Ci si duole che alla ricorrente sia stata preclusa, nonostante il PVC lo prevedesse, di avvalersi della facoltà di presentare le osservazioni e le richieste di cui al detto art. 5-bis. Erronea sarebbe la motivazione con cui la CTR ha escluso la rilevanza della norma rilevando che essa troverebbe applicazione solo in caso di successivo accertamento parzile ai sensi dell'art. 41 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, mentre nella specie il PVC costituiva la premessa per avvisi di accertamento ai sensi dell'art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973.

Secondo la ricorrente, invece, ciò che sarebbe stato rilevante per l'applicazione della norma sarebbe stata in realtà la possibilità che al PVC potesse seguire l'emissione di un avviso ai sensi del citato art. 41-

3.1. Il motivo è privo di fondamento per una ragione che appare dirimente e che rende priva di decisività la questione esegetica posta dal motivo.

Essa risiede nella rilevanza del seguente principio di diritto: <<In tema di accertamento con adesione, l'instaurazione del contraddittorio preventivo da parte del Fisco, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, è facoltativa e non obbligatoria, in quanto assolve alla sola funzione di garantire la necessaria trasparenza dell'azione amministrativa e di consentire al contribuente un'immediata cognizione circa la vertenza, tanto più che quest'ultimo può sempre, ai sensi dell'art. 6, comma 2, del medesimo d.lgs., attivare il procedimento di definizione con adesione ove abbia ricevuto un avviso di accertamento o di rettifica in assenza di preventivo contraddittorio.>> (Cass. n. 444 del 2015).

La motivazione della sentenza impugnata va anche qui corretta con l'applicazione del principio di diritto di cui sopra e ciò in conformità a quanto deduce parte resistente.

4. Con il quarto motivo si prospetta motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo della regione Lazio dall'articolo 360 comma uno numero cinque c.p.c., così ponendo la stessa questione di cui al precedente motivo.

La sorte di questo motivo non può che seguire quella del precedente.

5. Con il quinto motivo si deduce "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 14, comma 4, della Legge n. 537/1993 e dell'art. 39, comma 1, del d.p.r. n. 600/1973 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.".

Il motivo pone due censure.

La prima vorrebbe attribuire ai soci la responsabilità, sull'assunto che i maggiori proventi provenissero da illecito.

La seconda si duole, subordinatamente, che non siano stati attinti anche i medesimi.

5.1. Entrambe le censure presentano riferimenti a risultanze degli atti delle quali non fornisce l'indicazione specifica ai sensi dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ. sia sotto il profilo della riproduzione diretta od almeno indiretta con precisazione della parte dell'atto o documento in cui essa troverebbe corrispondenza, sia sotto il profilo della c.d. localizzazione in questo giudizio di legittimità. Indicazioni necessarie secondo consolidata giurisprudenza sull'esegesi della citata norma (a partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass. Sez. Un., n. 28547 del 2008), che costituisce il c.d. precipitato normativo del principio di autosufficienza dell'esposizione del motivo di ricorso per cassazione (Cass. n. 7455 del 2013, ex multis).

5.2. In ogni caso nel motivo non si spiega nemmeno in iure il fondamento delle due censure, sicché esso pone anche in astratto una questione la cui pregnanza individuatrice di un motivo ai sensi del n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ. resta indimostrata.

6. Con il sesto motivo si deduce ancora "motivazione omessa circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all'articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c." e si argomenta sulla stessa questione prospettata in iure con il motivo precedente.

Il motivo merita la stessa considerazione di quello precedente sul versante dell'art. 366 n. 6 citato e, comunque, pur combinato con quello precedente, si pone al di fuori della logica del nuovo n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. (applicabile al ricorso, attesa la data della pubblicazione della decisione impugnata), siccome individuata da Cass., Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014).

7. Il settimo motivo deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 1, 2 e 3 del d.p.r. n. 600/1973, dell'art. 8 del d.p.r. n. 633/1972 e dell'art. 37 e 39 del d.p.r. n. 600/1973 in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 del c.p.c.".

Con l'ottavo motivo si prospetta "motivazione omessa circa un fatto controverso e deciso del giudizio in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.

Entrambi i motivi concernono la contestazione dell'uffici relativa alla mancata rifatturazione da parte della ricorrente di costi riferibili a beni dei soci amministratori ed a loro parenti a suo tempo commissionati alla società Arcadia.

Il settimo motivo, pur essendo dedotto in iure si risolve in argomentazioni concernenti la ricostruzione della quaestio facti che sarebbe stata rilevante per dimostrare l'erroneità dell'operato del Fisco.

Senonché, a prescindere dalla carenza anche qui di osservanza dell'art. 366 n. 6 che sarebbe già decisiva (atteso che si evocano elementi di fatto e atti al di là della indicazione del solo PVC), la sostanza del motivo (pur apprezzata come tale alla stregua di Cass. Sez. Un. n. 17931 del 2013) si colloca al di fuori dei limiti del controllo sulla motivazione concernente la ricostruzione della quaestio facti alla stregua delle ditte sentenze dei 2014. Tanto evidenzia anche che l'ottavo motivo risulta inammissibile perché dedotto secondo il vecchio paradigma dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.

8. Con il nono motivo si deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 1, 5 e 6 del d.lgs. n. 471/1997 e dell'art. 2, 5 e 27 del d.lgs. n. 472/1997 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 del c.p.c.".

Il decimo motivo prospetta "motivazione omessa circa un fatto controverso e deciso del giudizio in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c."

I due motivi si dolgono che il giudice di merito abbia disatteso la prospettazione della ricorrente nel senso che l'autorità delle violazioni sarebbe stata ascrivibile ai soci, in ragione del carattere illecito del loro comportamento.

Entrambi i motivi presentano i profili di inammissibilità indicati per la coppia di motivi precedenti ed inoltre sono stati opportunamente replicati dalla resistente, senza che nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. la ricorrente abbia preso posizione.

Inoltre, la prospettazione giuridica svolta nei due motivi, secondo cui dell'agre formale della società dovrebbero rispondere sul piano tributario i soci e non la società resta nell'illustrazione del tutto immotivata.

9. Il ricorso è rigettato.

Le disposte correzioni della motivazione e l'esame per la prima volta dello specifico profilo dedotto con il primo motivo con riferimento alla possibilità soltanto di una insinuazione tardiva ed alla sua auspicata rilevanza sul punto dell'urgenza, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.