Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2018, n. 8973

Società Cooperativa - Appalto per il servizio di pulizia - Contratto part time a tempo indeterminato - Recesso per giustificato motivo oggettivo

 

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma della pronuncia del giudice di prima istanza, rigettava la domanda proposta da M.F. nei confronti di O.S.L. società cooperativa a r.l. volta a conseguire declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato in data 26/10/2011 e la reintegra nel posto di lavoro con gli effetti risarcitori sanciti dall'art. 18 l. 300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.

La Corte distrettuale, in via di premessa, deduceva che la ricorrente era stata assunta con contratto part time a tempo indeterminato dalla società Cooperativa, aggiudicataria dell'appalto per il servizio di pulizia presso il Comune di Locri, ed era stata successivamente licenziata all'esito della cessazione di detto contratto di appalto.

Proseguiva, quindi, argomentando che, nello specifico, la tematica del licenziamento di personale conseguente alla cessazione di un appalto era da inquadrare nella categoria del giustificato motivo oggettivo, insindacabile dovendo reputarsi la scelta imprenditoriale di riduzione del personale ove accertata la serietà e non pretestuosità della decisione di parte datoriale. Prospettava altresì come incontroversa fra le parti la circostanza dell'esistenza di altri cantieri presso i quali la società impiegava i propri dipendenti; deduceva, tuttavia, che la società (tardivamente costituitasi in primo grado), aveva adeguatamente allegato - e documentato mediante il prospetto degli orari di lavoro - che i servizi di pulizia affidatile presso tali cantieri, riguardavano un monte ore attualmente diminuito con la precisazione che tali dati non erano stati, poi, oggetto di contestazione da parte della lavoratrice la quale, neanche in sede di gravame, aveva indicato in quali cantieri la reintegra sarebbe stata possibile.

In definitiva, ritenuto che, ai fini dello scrutinio di una possibilità di reimpiego non poteva ritenersi rilevante la riassunzione della lavoratrice presso altra struttura a seguito dell'ordine di reintegra emesso dal primo giudice, la Corte perveniva alla conclusione che il recesso era da reputarsi legittimo, risultando indimostrata la possibilità di repechage.

Avverso tale pronuncia interpone ricorso per cassazione M.F. affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Cooperativa O.S.L. che propone ricorso incidentale sostenuto da due motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L. 604/1966, degli artt. 1175, 1375, 2697 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c..

Ci si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto non violato l'obbligo di repechage da parte datoriale, sul rilievo della allegazione di fatti positivi in ordine alla insussistenza di residui posti per mansioni equivalenti a quelle svolte dalla lavoratrice, e del mancato apporto collaborativo, da parte di quest'ultima, in ordine alla indicazione di ulteriori posti di lavoro nei quali poter essere utilmente ricollocata. Richiama al riguardo il più recente orientamento di legittimità secondo cui in materia di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di repechage del lavoratore licenziato in quanto requisito costitutivo della legittimità del recesso con esclusione di un onere di allegazione da parte di quest'ultimo.

2. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 L. 604/1966, degli artt. 1175, 1375, 2697, 2729 c.c. e degli artt. 112, 115 c.p.c.in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. nonché vizio di motivazione ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c..

Si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibili le richieste istruttorie formulate dalla società, tardivamente costituitasi in primo grado nel contempo inserendo nella dinamica processuale, le allegazioni della resistente in ordine all'impossibilità di "ripescaggio", per mancanza di assunzioni successive al licenziamento e saturazione di personale nei diversi cantieri, così incorrendo in evidente contraddizione logico-giuridica.

Inoltre si deduce che la circostanza che la lavoratrice fosse in soprannumero nel cantiere della reintegra d'urgenza, non sia stata provata dalla società, avendo i giudici del gravame errato nel ritenerla comprovata a mezzo di produzione documentale relativa agli orari di lavoro, considerandola incontestata.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di fondamento.

Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che, come questa Corte non ha mai smesso di insegnare (ex plurimis, vedi Cass. 3/5/2017 n. 10699), "al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore", restando "saldo il controllo sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall'imprenditore a giustificazione del recesso", affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito.

Così, una volta necessariamente esplicitata la ragione organizzativa o produttiva posta a giustificazione causale della risoluzione del rapporto, anche ove il licenziamento sia motivato dall'esistenza di una crisi aziendale o di un calo del fatturato, "ed in giudizio si accerta invece che la ragione indicata non sussiste, il recesso può essere dichiarato illegittimo dal giudice del merito non per un sindacato su di un presupposto in astratto estraneo alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, bensì per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dall'imprenditore. Ovverosia l'inesistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento così come giudizialmente verificata rende in concreto il recesso privo di effettiva giustificazione".

Parimenti "deve sempre essere verificato il nesso causale tra l'accertata ragione inerente l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro come dichiarata dall'imprenditore e l'intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all'operata ristrutturazione", perché "ove il nesso manchi, anche al fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l'uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l'effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento".

E' dunque sempre necessario: che la riorganizzazione sia effettiva; che la stessa si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall'imprenditore; che il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all'operata ristrutturazione.

4. Nello specifico il descritto controllo sulla veridicità e sulla non pretestuosità della ragione addotta dall'imprenditore a giustificazione del motivo oggettivo di licenziamento, demandato al giudice del merito, è stato correttamente elaborato dal giudice del gravame il quale ha dato atto che la società, cui era stato riconosciuto il diritto di svolgere in appalto il servizio di pulizia per il Comune di Locri, subentrando alla precedente appaltatrice, aveva successivamente esaurito il rapporto con l'ente locale. Effettiva e non pretestuosa era, pertanto, a ritenersi la contrazione della attività produttiva e la correlativa esigenza di riduzione del personale.

Vagliato, poi, il materiale probatorio, la Corte distrettuale ha espresso l'argomentato convincimento circa l'insussistenza di una possibilità di reimpiego della lavoratrice, per essere risultati i residui posti concernenti mansioni equivalenti, stabilmente occupati al tempo del recesso.

Era emerso infatti che anche "i servizi di pulizia affidatile presso i cantieri BCC di Cittanova e Ospedale di Locri riguardavano un monte ore...semmai diminuito" come desumibile dagli orari di lavoro prodotti, che attestavano un impiego della ricorrente "in sovrannumero".

Di tali dati documentali la Corte aveva congruamente tenuto conto, non vulnerando il principio del divieto di nova in appello per aver scrutinato il materiale prodotto dalla società, tardivamente costituitasi in prime cure.

Ed infatti, secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, costituisce prova nuova indispensabile, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (vedi Cass. S.U. 4/5/2017 n. 10790).

Già con le sentenze gemelle delle Sezioni Unite nn. 8202-8203 del 2005, il pregresso indirizzo maggioritario sui "nova" secondo cui il divieto alla produzione di nuovi mezzi di prova in sede di gravame non riguardava le prove costituite come quelle documentali, era stato ribaltato, di guisa che, per quanto attiene al rito del lavoro, la loro acquisizione al processo era stata ritenuta ammissibile se giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al deposito del ricorso e della memoria difensiva. Tale rigoroso sistema di preclusioni trovava, peraltro, secondo la Corte di legittimità, un ulteriore contemperamento - ispirato alla esigenza della ricerca della "verità materiale", cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d'ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, nonostante il verificarsi di decadenze o preclusioni, perché la regola della irreversibilità dell'estinzione del diritto alla produzione subisce un'eccezione in considerazione della specifica natura dei diritti tutelati. Sulla scia di detto orientamento che, come accennato, ha rinvenuto recente conferma nella pronuncia di questa Corte n. 10790 del 2017, si colloca la sentenza oggetto di scrutinio nella presente sede che si sottrae sotto tale profilo, per quanto sinora detto, alle censure all'esame.

5. In coerenza col ricordato insegnamento, la Corte di merito ha recepito i dati contenuti nella richiamata documentazione pervenendo al convincimento della impossibilità di utile collocazione della lavoratrice licenziata, nel più ampio assetto organizzativo aziendale, in tal senso correttamente stigmatizzando l'argomentare del giudice di prima istanza il quale aveva desunto la possibilità di reimpiego della ricorrente dalla assegnazione al cantiere BCC Cittanova e Ospedale di Locri, all'esito dell'ordine impartito in sede cautelare, la prova positiva di un reimpiego della ricorrente.

Premesso che in linea generale la sussistenza dei requisiti costitutivi del significato motivo di licenziamento, e della impossibilita di diversa collocazione del lavoratore, devono essere vagliati con riferimento all'epoca del recesso, secondo i principi affermati da costante e condivisa giurisprudenza di legittimità (vedi ex plurimis, Cass. 20/8/2003 n. 12261, Cass. 22/4/2000 n. 5301), va rimarcato come la tesi accreditata da parte ricorrente soffra, sotto il profilo logico, di una contraddizione bene evidenziata dalla Corte di merito: non può infatti scrutinarsi il comportamento assunto dal datore di lavoro, di doverosa esecuzione di un ordine impartito in sede giudiziale, traendo da tale comportamento la dimostrazione della sussistenza di una possibilità di collocazione della lavoratrice nel complessivo assetto organizzativo aziendale, in un quadro probatorio da cui emergeva che il reimpiego della F. era avvenuto in situazione di "sovrannumero".

6. Nell'ottica descritta, la critica formulata da parte ricorrente con riferimento alla prospettata violazione dei principi di recente affermati da questa Corte, secondo cui spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di "repechage" del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, non appare decisiva, giacché la Corte ha proceduto ad un accertamento in concreto che investe pienamente la quaestio facti, rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, che non consente una diversa ricostruzione della vicenda storica.

In definitiva al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso principale deve essere respinto.

7. Quanto al controricorso recante ricorso incidentale, deve osservarsi che lo stesso risulta predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata. Detta notifica, peraltro, risulta priva di attestazione di conformità corredata da sottoscrizione autografa del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, I. n. 53 del 1994.

La questione in questa sede delibata, è stato oggetto di scrutinio - con riferimento al deposito del ricorso per cassazione - da questa Corte di legittimità che ha avuto modo di affermare il principio alla cui stregua il deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, con attestazione di conformità priva di sottoscrizione autografa del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, I. n. 53 del 1994, ne comporta l'improcedibilità rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 369 c.p.c. (vedi ex plurimis, Cass. 22/12/2017 n. 30918).

Detti principi appaiono applicabili sia alla ipotesi del controricorso (come desumibile da Cass. 17/05/2010 n. 12028) che, a fortiori, del controricorso con il quale si proponga, come nella specie, ricorso incidentale, e per il quale rinvengono applicazione le prescrizioni dettate dall’art. 369 c.p.c., in virtù di esplicito richiamo ex art. 371 c.p.c. con consequenziale applicazione della sanzione di improcedibilità.

In definitiva, il ricorso incidentale deve essere dichiarato improcedibile.

8. La situazione di reciproca soccombenza, giustifica, infine, l'integrale compensazione fra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

Si dà atto che non ricorrono, quanto alla ricorrente principale, i presupposti per il versamento, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, in quanto ammessa al gratuito patrocinio (vedi sul punto Cass. cit. n. 30918/2017, Cass. n. 1395/2017 e numerose altre), laddove detti presupposti ricorrono quanto alla ricorrente incidentale, essendo stato il presente giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale, dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.