Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2018, n. 8909

Tributi locali - TARSU - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Sistema tariffario

Fatti di causa

La R. s.r.l. ricorre con due motivi, illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza n. 134/5/09, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, confermando la decisione di primo grado, ha disatteso la domanda di annullamento della cartella esattoriale emessa per il pagamento della TARSU per l'anno 2005, sul rilievo che "l'esclusione del regime di privativa Comunale non può trovare concreta applicazione fino alla reale entrata in vigore del sistema tariffario previsto dal Decreto Ronchi", e che la contribuente non poteva conseguentemente sottrarsi al pagamento della TARSU per i rifiuti smaltiti a proprie spese "a mezzo rapporto diretto con aziende specializzate".

Il Comune di Cinisello Balsamo resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.pc., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, nonché 7, D.P.R. n. 158 del 1999, giacché la CTR non ha considerato che la società R. aveva provveduto direttamente all'avvio al recupero dei rifiuti dalla stessa prodotti in quanto il Comune, a decorrere dal 1 gennaio 2003, per effetto del Decreto Ronchi, aveva perso la privativa dello smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati, non essendo contestata nel giudizio la circostanza che nel caso di specie si trattasse proprio di "rifiuti speciali assimilati agli urbani", come peraltro dimostrato dalla attestazione, datata 28/2/2006, degli smaltitori F.lli P..

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia in ordine al lamentato mancato svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati, come comprovato dalla corrispondenza intercorsa con l'ente impositore, non essendo contestabile che il dovere del contribuente di corrispondere la tassa presuppone la possibilità di utilizzo del servizio comunale, in quanto effettivamente attivato.

I suesposti motivi vanno accolti per le ragioni e nei termini di seguito precisati.

Giova premettere che il ricorso per cassazione n. 26316/08, del quale è stata sollecitata dall'intimato la riunione, risulta definito da questa Corte, con la sentenza n. 627/2012, che ha cassato con rinvio la sentenza della CTR della Lombardia che aveva rigettato l'appello della contribuente R. s.r.l. e confermato la legittimità dell'avviso di accertamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani alla stessa notificato dal Comune di Cinisello Balsamo in relazione, tra gli altri, all'anno (2005) del quale qui si discute.

La ricorrente contesta anzitutto l'affermazione, contenuta nella sentenza di appello, secondo cui la disciplina prevista dall'art. 21, comma 7, D.Lgs. n. 22 del 1997, non poteva ritenersi operante "sino alla reale entrata in vigore del sistema tariffario previsto dal Decreto Ronchi", per cui la contribuente non poteva sottrarsi al pagamento della TARSU per il solo fatto che lo smaltimento dei rifiuti era effettuato mediante azienda specializzata e non mediante conferimento al servizio pubblico.

Sostiene, pertanto, che nell'anno (2005) cui si riferisce il tributo contenuto nella cartella di pagamento impugnata era venuta meno la privativa comunale dello smaltimento dei rifiuti urbani, e assimilati agli urbani, essi potevano essere legittimamente avviati dall'utente al recupero, e tuttavia la contribuente non considera l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui "il recepimento delle direttive comunitarie 75/442/CEE, 91/156/CEE e 94/62/CEE da parte del D.Lgs. n. 22 del 1997 con l'istituzione della tariffa (ispirata al principio chi inquina paga) in sostituzione della tassa, non ha fatto venir meno, per tutta la durata del periodo transitorio (la cui scadenza era prima fissata al 1 gennaio 2000, ai sensi della L. n. 488 del 1999, art. 33, comma 1, ed ora, secondo una serie gradata di termini che, giusta il D.P.R. n. 158 del 1999, art.11, comma 1, e successive modifiche, vanno dal 1 gennaio 2004 al 1 gennaio 2007), il potere regolamentare dei Comuni di assimilare i rifiuti speciali ai rifiuti urbani, secondo le indicazioni di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lettera g). Sicché, ... ove il Comune abbia approvato una deliberazione che assimila i rifiuti speciali ai rifiuti urbani..., tale deliberazione costituisce - nel periodo transitorio (...) - titolo per la riscossione della tassa nei confronti dei soggetti che tali rifiuti producono nel territorio comunale, a prescindere dal fatto che il contribuente ne affidi a terzi lo smaltimento (...)." (Cass. n. 20646/2007, n. 27057/2005, n. 18030/2006, n. 18382/2004).

In base al quadro normativo di riferimento, il Comune di Cinisello Balsamo, che non aveva introdotto la "tariffa" di cui al c.d. Decreto Ronchi, ben poteva assimilare ai rifiuti urbani quelli speciali, e poiché nella specie detto potere è stato concretamente esercitato, mediante l'adozione di apposita delibera consiliare (All. F. n. 10), l'ente locale poteva anche pretendere la TARSU con riferimento ai rifiuti speciali assimilati (per qualità e quantità) a quelli urbani, la cui produzione comporta l'assoggettamento al tributo dei locali e delle aree interessate, a prescindere dal fatto che l'utente avesse o meno dimostrato di averli smaltiti a propria cura e spese, non ricorrendo alcuna ipotesi di esclusione dal pagamento della tassa (art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 507 del 1993).

Se non che, com'è pacifico tra le parti, la società R., gestendo un ipermercato, sulla superficie dichiarata ai fini della tassa in questione produceva rifiuti urbani, e rifiuti speciali assimilati agli urbani, consistenti in materiali di vario genere (la ditta F.lli P. attesta di aver avviato al recupero imballaggi in carta e cartone per Kg. 625.880, imballaggi in materiali misti per Kg. 1.246.680).

Orbene, i rifiuti di imballaggio sono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro "gestione", termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento (art. 38 D.Lgs. n. 22 del 1997), e ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari (quelli concepiti "in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli"), per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale, mentre per gli imballaggi secondari (o multipli, quelli costituiti dal "raggruppamento di un certo numero di unità di vendita") (art. 35, comma 1, D.Lgs. citato), è ammessa solo la raccolta differenziata da parte dei commercianti al dettaglio che non li abbiano restituiti agli utilizzatori (art. 43, D.Lgs. citato).

Ne deriva che i rifiuti degli imballaggi terziari, nonché quelli degli imballaggi secondari ove non sia attivata la raccolta differenziata, come appunto nel caso di specie, non possono essere assimilati dai comuni ai rifiuti urbani, nell'esercizio del potere ad essi restituito dall'art. 21 del Decreto Ronchi e dalla successiva abrogazione della L. n. 146 del 1994, art. 39, e i regolamenti che una tale assimilazione abbiano previsto vanno perciò disapplicati in parte qua dal giudice tributario.

Ciò non comporta, come pure evidenziato dalla richiamata sentenza n. 627/2012 di questa Corte, che tali categorie di rifiuti siano, di per sé, esenti dalla TARSU, ma che ad esse si applica la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal D.Lgs. n.507 del 1993, art. 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell'ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinali (come certamente nella fattispecie, trattandosi di un centro commerciale comprendente locali di varia destinazione), l'esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali.

Incombe, inoltre, all'impresa contribuente l'onere di fornire all'amministrazione comunale i dati relativi all'esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, atteso che pur operando anche nella materia in esame - per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale - il principio secondo il quale l'onere della prova dei fatti costituenti fonte dell'obbligazione tributaria spetta all'amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell'interessato (oltre all'obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l'esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. n. 4766/2004, n. 17703/2004, n. 13086/2006, n. 17599/2009, n. 775/2011).

La sentenza impugnata si è palesemente discostata dai principi che precedono, non avendo operato alcuna distinzione tra le diverse tipologie e quantità di rifiuti, con consequenziali erronee ricadute sulla misura della tassa dovuta dalla società R..

La seconda censura, che investe l'omessa pronuncia, da parte dei giudici di appello, in ordine alla questione concernente la mancata attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti, circostanza che escluderebbe in radice la debenza del tributo, merita accoglimento, alla luce di quanto osservato da questa Corte con la sentenza n. 627/2012 più volte richiamata.

Decidendo sui contrapposti ricorsi del Comune di Cinisello Balsamo e della società R., la Corte ha osservato, per un verso, che appariva del tutto inverosimile che in un comune di notevoli dimensioni tale servizio non fosse stato istituito e, per altro verso, che l'istituzione ed attivazione del servizio è cosa diversa dalla effettività dello stesso, cioè il suo concreto svolgimento nella zona di ubicazione dei locali e delle aree del contribuente, per cui ha demandato al giudice di rinvio di effettuare tale accertamento in fatto, tenendo conto del principio secondo il quale, se il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non viene svolto nella zona ove è ubicato l'immobile (ovvero lo svolgimento è effettuato in modo irregolare, in grave violazione delle prescrizioni del regolamento comunale), ciò comporta non già l'esenzione dalla tassa, bensì, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 2 e 4, che il tributo è dovuto nella misura ridotta ivi stabilita, sempre che l'utente abbia la concreta possibilità di utilizzazione del servizio.

Vero è, infatti, la decisione della CTR sembra operare una sorta di equiparazione fra mancata istituzione e attivazione del servizio, che consentono di individuare i potenziali utenti, e mancata prestazione in concreto del servizio nell'area di residenza o operatività dell'utente, che per poter essere considerato soggetto al pagamento della tassa deve essere posto nelle condizioni di poter utilizzare in concreto il servizio, come a dire che poiché la società R. non ha fruito del servizio di raccolta e smaltimento disposto dal Comune per i rifiuti speciali assimilati agli urbani, non è tenuta neppure al pagamento della tassa.

Questa Corte, tuttavia, ha avuto occasione di chiarire che - in generale - la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire prestazioni riferibili a singoli utenti, secondo una logica commutativa che la normativa di riferimento (art. 59, D.Lgs. n. 507 del 1993) applicabile ratione temporis non contempla, tant'è che la non effettuazione del servizio di raccolta in una certa zona comporta non già l'esenzione della tassa, ma che il tributo è dovuto in misura ridotta (Cass. n. 21508/2005).

Orbene, siffatti accertamenti, nella esaminata fattispecie, sono del tutto mancati, per cui la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla medesima CTR, in diversa composizione, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.