Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE PUGLIA - Sentenza 23 maggio 2017, n. 1853

Processo - Atti impugnabili - Diniego di disapplicazione - Art. 37-bis, c. 8, d.p.r. n. 600/73 (vigente sino al 1.1.16) - Istanza di disapplicazione delle norme antielusive - Società di comodo - Obbligatorietà - Impugnabilità - Sussiste

 

Fatto

 

L’Agenzia delle Entrate - Ufficio legale - Direzione Regionale di Bari, ha proposto appello, depositato il 13 gennaio 2016, avverso la sentenza n. 1949/01/2015 pronunciata il 22 maggio 2015 e depositata il 08 giugno 2015, dalla Commissione Tributaria Provinciale - Sezione 1 - di Bari.

L’adita Commissione, con l’impugnata sentenza, ha accolto, con compensazione delle spese di giudizio, il ricorso proposto dalla S.r.l. "Villa T. Q.", esercente attività di sala ricevimenti, avverso il provvedimento, n. 917- 348229/2013 del Direttore Regionale per la Puglia dell’Agenzia delle Entrate, di rigetto dell’istanza di disapplicazione per l’anno 2012, ex art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/73, della normativa antielusiva sulle società non operative di cui all’art. 30 -comma 4-bis- della legge n. 724/1994.

L’appellata Società, con la rigettata istanza, aveva chiesto la disapplicazione della richiamata normativa antielusive sull’assunto che la mancata produzione di reddito, per il triennio 2010, 2011, 2012 non avrebbe avuto finalità elusiva, in quanto determinata dal carattere oggettivo conseguente al notevole calo del fatturato, fermo restando le immobilizzazioni e i costi fissi, come desumibile dai dati economici già in possesso dell’Ufficio che, comunque, escluderebbero l’inattività imprenditoriale e la finalizzazione ad utilizzo personale da parte dei soci; da ciò l’impossibilità di conseguire il ricavo presunto per l’anno 2012 di € 258.238,00, né l’adeguamento ad un reddito presunto imponibile di € 202.891,00, pur se, al fine di evitare un inutile contenzioso, era stato valutato opportuno l’adeguamento al risultato degli studi di settore che avevano evidenziato una non congruità per € 2.925,00.

L’appellante Agenzia, con il contestato provvedimento, ha ritenuto inammissibile l’istanza perché "la generica affermazione adottata dalla società, relativa al calo di fatturato, non è da sola, sufficiente a giustificare la sussistenza di situazioni oggettive ai sensi della disciplina antielusiva in argomento, poiché l’andamento del mercato costituisce uno degli elementi che integrano l’alea dell’attività imprenditoriale".

Il Collegio di prima istanza, con l’impugnata sentenza, ha considerato impugnabile il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate e, nel merito, ha accolto il ricorso ritenendo che la ricorrente Società rientrasse nella condizione di cui all’art. 30, comma 4-ter, della legge n. 724/94, in virtù della quale le società che risultano congrue e coerenti, anche per effetto di adeguamento, ai fini degli studi settore sono escluse dalla disciplina delle società non operative.

L’Agenzia, con l’odierno appello, propone gravame per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 19 - comma 1, lett. i) - del D. Lgs. n. 546/1992 contestando, con richiamo a numerosa giurisprudenza, la dichiarata autonoma impugnabilità del provvedimento di rigetto dell’istanza della Società, attesa la tassatività dell’elencazione degli atti impugnabili prescritta dal richiamato art. 19 che non include il provvedimento in questione;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. per mancanza di interesse della controparte ad ottenere la richiesta declaratoria di nullità ed inefficacia dell’opposto atto;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 30 -comma 1, lett. c), n. 6-sexies della legge n. 724 del 1994 per insussistenza dei requisiti di congruità ed inerenza e perché tali condizioni non potevano essere valutati atteso che la dichiarazione dei redditi era stata presentata successivamente.

L’Ufficio conclude:

a) in via principale, per l’inammissibilità del ricorso introduttivo;

b) in subordine, per la dichiarazione di legittimità e fondatezza dell’opposto provvedimento;

c) per la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite, ex art. 15 del D. Lgs n. 546/92, come da nota spesa depositata.

La Società, in persona dell’amministratore unico Carbonara Angelo, rappresentata e difesa dal dott. M. N. come da mandato in atti, in data 03 aprile 2017 si è costituita nel presente grado per eccepire l’irritualità dell’impugnazione, non notificata all’attuale difensore, e l’irregolarità della relata di notifica priva del riferimento dell’Ente rappresentato dal firmatario, nonché insistere, con richiamo a numerosa giurisprudenza, sull’autonoma impugnabilità del contestato provvedimento del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, e sui motivi del ricorso introduttivo; infine, contrasta ogni ex adverso dedotto e conclude per l'inammissibilità e l'infondatezza dell'appello e, in ogni caso, chiede:

a) in via pregiudiziale:

1. dichiarare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 30 della legge n. 724 del 1994 per contrasto con gli articoli 24, 41 53 della Costituzione;

2. disapplicare l'articolo 30 della legge n. 724 del 1994 ai sensi articolo 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992;

3. dichiarare la nullità dell'atto impugnato quale conseguenza della mancanza del presupposto di legittimità;

b) in via principale, dichiarare l'illegittimità dell'atto impugnato e per l'effetto la nullità e/o annullabilità per quanto dedotto;

c) in via principale e nel merito, dichiarare la nullità e/o annullabilità dell'atto impugnato per l'infondatezza della pretesa, anche in forza delle ragioni giustificatrici riportate, ed in coerenza con la veridicità e la congruità dei redditi ritualmente dichiarati ed in coerenza dichiarare nullo l'atto impugnato e, per l'effetto, dichiarare la disapplicazione della norma come richiesto nell'istanza;

con condanna alla rifusione delle spese di giudizio da liquidarsi in favore del difensore anticipatario.

All’odierna udienza pubblica, ritualmente chiesta, previamente ascoltato il relatore sui fatti di causa e di diritto, il rappresentante dell’Agenzia, dott. G. Di C., produce giurisprudenza di inerito e ribadisce i motivi di gravame, mentre il difensore della Società insiste sui vizi di notifica dell’appello e sulle proprie controdeduzioni concludendo per il rigetto del gravame.

 

Diritto

 

Innanzitutto va dichiarata l’ammissibilità dell’atto di appello sotto il triplice profilo della:

a) conformità al dettato di cui all’art. 53 del D. Lgs. n. 546/92 perché contenente tutti i requisiti prescritti;

b) regolarità della relata di notifica in quanto essa è parte integrante dell’atto notificato per cui il riferimento al nominativo che l’ha richiesta non necessita di ulteriore specificazione del ruolo e dell’indicazione dell’Ente rappresentato, atteso che detti elementi sono contenuti nello stesso atto e specificatamente in sede di sottoscrizione dell’atto notificato;

c) regolarità della notifica in quanto ritualmente effettuata, in conformità alle dichiarazioni rese in sede di costituzione in giudizio, nei confronti della Società appellata, a mani del rappresentante legale Carbonara Angelo, nonché nei confronti del difensore costituito, avv. L. C., come da delega ed elezione di domicilio contenuta nel ricorso introduttivo, ed effettuata a mani proprie. Per questo è infondato il vizio paventato dal contribuente per mancata notifica al difensore costituito in appello, atteso che la parte interessata non ha provveduto, ex art. 17 del D.Lgs. n. 546/92, alle prescritte comunicazioni riguardo alla variazione dell’elezione di domicilio, alla nomina di un diverso difensore e/o revoca del mandato conferito, con estensione ai successivi gradi, al patrocinante in sede di ricorso introduttivo.

Passando al merito, l’appello è infondato.

Riguardo al primo motivo di gravame, occorre, in via preliminare, chiarire che la domanda avanzata, in data 27 giugno 2012, dalla Società al Direttore dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 37-bis -comma 8- D.P.R. n. 600/73, ha natura tipica di "istanza" volta a conseguire la non operatività di norme limitative di vantaggi fiscali di regola spettanti.

La natura di istanza, come espressamente prevista del predetto comma 8, nel testo vigente ratione temporis, presupponeva il doveroso riscontro per l’accoglimento o il rigetto della stessa.

E ciò diversamente dall’istituto dell’interpello che presuppone domanda facoltativa del contribuente e riscontro a valenza di parere vincolante per l’Ufficio, ma non per l’interpellante, mentre, nella fattispecie, l’istanza era obbligatoria per conseguire il richiesto riconoscimento il cui esito, pur se sulla base degli atti acquisiti, era definitivo (cfr. art. 6 - D.M. 19/06/1998 n. 259) con la conseguenza che, in caso di diniego, non era data la possibilità di fruire della disapplicazione delle norme antielusive o di richiedere un riesame da parte del Direttore regionale dell’Agenzia, cui era rimesso in esclusiva il potere della decisione.

Per questo, in virtù del richiamato disposto del comma 8 dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73, nel testo vigente ratione temporis, la possibilità per ottenere l’autorizzazione a disapplicare le norme tributarie antielusive era rimessa, esclusivamente, ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate che accertasse la sussistenza di situazioni oggettive di impedimento al conseguimento di componenti positive di reddito sufficienti a superare il test di operatività".

Tale la ratio della disposizione in questione perché diversamente non trovava giustificazione la specificità della previsione legislativa, solo di recente abrogata con D.Lgs. 05 agosto 2015, n. 128.

Peraltro, la novella legislativa, decorrente dal 01 gennaio 2016, contestualmente all’abrogazione del richiamato art. 37-bis, ha ridisciplinato la materia prevedendo al comma 2 dell’art. 1 che "Le disposizioni che richiamano tale articolo si intendono riferite all’art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 in quanto compatibili" e al successivo comma 3 la possibilità di disapplicazione delle norme antielusive qualora il contribuente, a mezzo d’interpello ex art. 11 -comma 2- della legge n. 212/200, dimostri che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi non possono verificarsi, fermo restando la possibilità di fornire tale dimostrazione in sede amministrativa e contenziosa.

Tale possibilità è rafforzata dal comma 5 dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 (al cui articolo è rinviato ogni riferimento all’abrogato art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73) che dispone "Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto".

Con la nuova disciplina, resta ferma la procedura, seguita dall’appellata Società, rappresentata dal vigente disposto dell’art. 30 della legge n. 724/1994 per il quale, in virtù del comma 4-bis, è fatto onere al contribuente di fare ricorso alla disciplina di cui all’art. 11 -comma 1, lett. b)- della legge n. 212/2000, ovvero all’unica alternativa della separata indicazione nella dichiarazione dei redditi di non aver presentato istanza di interpello o, se presentata, di aver ottenuto risposta negativa, prevista dal comma 4-quater del richiamato articolo 30.

Orbene, attenendosi al testo vigente all’epoca della presentazione dell’istanza di disapplicazione (27/06/2012), si desume, dal combinato disposto di cui agli art. 37-bis -comma 8- del D.P.R. n. 600/73 e 30 -commi 4-bis e 4-quater- della legge n. 724/94, che la possibilità per il contribuente di "chiedere" non attribuisce una facoltà di scelta, bensì esprime un obbligo nella circostanza in cui lo stesso ritenga di chiedere la disapplicazione delle norme in questione atteso che, in caso contrario, sarebbe assoggettato alla normativa antielusiva.

Per questo, ai fini della disapplicazione delle norme antielusive, in assenza della preventiva istanza del contribuente non sarebbe dato prendere in considerazione i motivi che avrebbero impedito il conseguimento dei ricavi, ferma la possibilità di fornire la dimostrazione della sussistenza delle condizioni impeditive dei ricavi ai fini del successivo accertamento, ma non per il diverso scopo finalizzato alla fruizione delle agevolazioni fiscali consentite dalla disapplicazione delle norme antielusive.

Ne discende, quindi, che la determinazione del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate riguardo all’istanza del contribuente costituisce presupposto necessario ed imprescindibile per potersi avvalere dell’agevolazione fiscale.

Ora, è pur vero che la norma richiamata non prevede l’impugnabilità della determinazione del Direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, ma è altrettanto vero che la consolidata giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione ha fissato il principio per il quale l’elencazione degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D. Lgs. n. 546/92 è suscettibile di interpretazione estensiva.

In particolare, viene riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, comunque, portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, sin dal momento della ricezione della notizia, sorgendo in capo ad esso l’interesse, ex art. 100 c.p.c., ad invocare la tutela giurisdizionale onde conseguire una pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, (cfr. Cass. n. 17010/2012).

E’ il caso che ci occupa atteso che, con il contestato diniego a carattere definitivo, l’Amministrazione finanziaria, con la dichiarata inammissibilità dell’istanza, ha portato a conoscenza del contribuente di non ritenere di disapplicare le norme antilusive e, in definitiva, di non riconoscere la sussistenza delle invocate situazioni soggettive previste dall’art. 30 della legge n. 724/94, con ogni diretto riflesso sul piano tributario quale l’impossibilità di fruire delle agevolazioni previste dalle invocate disposizioni.

Inoltre, la dichiarazione d’inammissibilità in questione, diversamente dall’ipotesi di rigetto, rende l’istanza "tamquam non esser con la conseguenza che il contribuente risulterebbe esposto ai conseguenti effetti.

Di qui, con riferimento al secondo motivo di appello, l’indubbia sussistenza di un interesse, ex art. 100 c.p.c., del contribuente ad agire per invocare la tutela giurisdizionale.

Pertanto, il giudice di primo grado ha correttamente valutato l’ammissibilità del ricorso introduttivo in quanto coerente con il richiamato principio.

Il terzo motivo di gravame è parzialmente fondato limitatamente all’applicazione al caso in esame del disposto di cui al comma 4-ter dell’art. 4 della legge n. 244/2007 perché, in effetti, l’Ufficio non poteva tenere conto dell’adeguamento della società agli studi di settore in quanto la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2012 non era stata ancora presentata.

Per contro, va rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Agenzia, la Società ha dimostrato in modo appropriato le condizioni oggettive che hanno determinato l’impossibilità di conseguire i ricavi presunti nella misura di € 258.238,00 (a fronte del conseguito in € 214.271,00 e del reddito minimo presunto di € 202.891,00 cui si era successivamente adeguata), avendo provato, a mezzo della documentazione prodotta già in primo grado, che pur rimanendo operativa aveva dovuto affrontare le conseguenze della nota crisi economica di carattere generale che aveva comportato, per l’anno in esame, una riduzione dell’attività imprenditoriale tanto da essere costretto a fare ricorso alla cassa integrazione per il personale dipendente.

D’altra parte non si vede, in assenza di contestazioni specifiche riguardo ai risultati del bilancio di esercizio, come la Società avrebbe potuto dimostrare ulteriormente, così come pretenderebbe l’Ufficio, le conseguenze negative di una situazione oggettiva determinata, non da scelte imprenditoriali, ma dall’andamento sfavorevole della congiuntura economica, peraltro ampiamente noto, pretendendo viceversa una prova che così si qualificherebbe "diabolica". Pertanto, la sentenza di primo grado va conferma e, quanto alle spese del presente grado di giudizio, ex art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992 come novellato dall’art. 9 - comma 1, lett. f) - del D. Lgs. n. 156/2015, ne va disposta la compensazione in considerazione del riconoscimento di alcune ragioni dell’appellante Agenzia.

 

P.Q.M.

 

Definitivamente pronunciando, respinge l’appello proposto dall’Agenzia e, per l’effetto, conferma pur se con diversa motivazione l’impugnata sentenza. Spese compensate.