Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 febbraio 2018, n. 3457

Agenzia Ippica - Addetta al ricevimento al pagamento delle giocate - Natura subordinata del rapporto - Differenze retributive e t.f.r.

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Massa condannava la S.n.c. S.C.M.C. di U. e P. al pagamento in favore di D.D. della somma di euro 39.504 oltre accessori a titolo di differenze retributive e t.f.r. in relazione al rapporto di lavoro ritenuto di natura subordinata, intervenuto tra le parti, dal gennaio 1991 ad ottobre 2004, nel corso del quale l'attrice aveva svolto attività di addetta al ricevimento al pagamento delle giocate.

Tale pronuncia veniva impugnata dalla Agenzia Ippica di Massa di R. U., F. e C. S.a.s., ma la Corte di Appello di Genova con sentenza n. 866 in data 28 settembre - 4 novembre 2011 rigettava l'interposto gravame, condannando l'appellante al pagamento delle relative spese, richiamando a sostegno della decisione alcune pronunce di questa Corte circa l'impiego di lavoratori nell'ambito di agenzia ippiche. Osservava che in base all'attività istruttoria espletata il rapporto di lavoro in questione risultava essersi svolto proprio in base le modalità indicate dalla citata giurisprudenza, ovverosia mediante la chiamata a seconda della necessità con facoltà di aderire da parte della lavoratrice. A completamento del ragionamento, la Corte distrettuale rilevava come l'attività svolta fosse priva di autonomia organizzativa, nel senso che si inseriva in un lavoro preordinato, nelle modalità e funzioni, dalla strutturazione stessa dell’impresa dell'appellante, nel cui ambito la D., come altri, semplicemente si occupava, quando chiamata, di raccogliere le giocate e di pagare le vincite all'interno dell'agenzia ippica. Insomma, vi era stabile inserimento nell'organizzazione altrui e assolvimento di compiti essenziali, senza i quali essa non poteva funzionare, con appunto alienità di questa e ad un tempo alienità dei risultati della prestazione (aspetti decisivi e sufficienti, questi ultimi due secondo Corte cost. 5 feb. 1996 n. 30, seguita da Cass. lav. n. 820/07, per qualificare come subordinata un'attività lavorativa).

Anche il pagamento del compenso avveniva ad ore e non in base alle scommesse raccolte o agli introiti netti ricavati, ad ulteriore riprova del fatto che si trattava di pura prestazione di manodopera. La prestazione ovviamente comportava la responsabilità per la cassa gestita, ciò che non mutava la qualificazione del rapporto ed era irrilevante il fatto che nel corso dello stesso la D. avesse rifiutato ogni regolarizzazione o stabilizzazione, in quanto comunque i diritti azionati in causa attenevano ad una tutela inderogabile del rapporto di lavoro, sicché essi erano insuscettibili di validi patti di rinuncia ex ante (citando Cass. lav. n. 4529 - 08/07/1988: le norme inderogabili statuenti un diritto a favore del lavoratore possono essere violate sia da un atto dispositivo del diritto già acquisito dal titolare, nel qual caso la rinuncia o transazione è colpita dall'invalidità -configurabile come annullabilità- comminata dal primo comma dell'art. 2113 cod. civ. ed è impugnabile con le modalità e nei termini previsti dallo stesso articolo, sia da un atto che impedisca al lavoratore la acquisizione del diritto, nel qual caso l'atto - incidente sul cosiddetto momento genetico del diritto stesso - è viziato da nullità assoluta ed è sottratto alla disciplina posta dalla norma suddetta. Pertanto, la transazione con la quale il lavoratore riconosca il carattere autonomo, anziché subordinato, del rapporto di lavoro intercorso con la controparte fino ad una certa data, dalla quale la controparte stessa si obbliga ad assumerlo, resta soggetta alla disciplina dell'art. 2113 cod. civ. solo per la parte risolventesi nella rinuncia del lavoratore a diritti già acquisiti e non anche per la parte risolventesi nella rinuncia a diritti non ancora maturati, riguardo ai quali, perciò, la transazione - colpita da nullità per contrarietà a norme imperative più che per frode alla legge - non preclude l'indagine sull'effettiva natura del rapporto intercorso fra le parti nel periodo precedente l'accordo). Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la S.C.M.C. s.a.s. di L. F. & C. (già S.C.M.C. S.n.c. di U. & P.), mediante atto in data 31 ottobre / 7 novembre 2012, affidato a due motivi.

D.D. è rimasta intimata.

Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente della Corte in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 2094 e 2697 del codice civile, del d.P.R. 22 luglio 1986 numero 1006, dell'accordo sindacale 25 marzo 1991 stipulato tra il sindacato nazionale delle agenzie ippiche SNAI e la federazione nazionale di categoria di Cgil, Cisl e UIL - tanto in relazione all'articolo 360, co. I, n. 3 c.p.c. - Si contesta la ritenuta natura subordinata del rapporto di lavoro in questione alla luce in particolare del suddetto d.P.R. numero 1006 del 1986, dell'accordo sindacale 25 marzo 1991, dei quali tuttavia non vi è traccia nella motivazione della sentenza qui impugnata, quanto ai motivi di appello ivi esaminati. In particolare, non risulta come, quando e dove sarebbe stato allegato ritualmente l'accordo del 25 marzo 1991, poiché si deduce unicamente la sua produzione come doc. 5 nel giudizio di primo grado. Né risulta specificamente applicato nel corso del rapporto in questione tale accordo, sicché non può dirsi neanche provata l'adesione allo stesso da parte della D., della quale si ignora anche se iscritta ad una delle organizzazioni sindacali stipulanti.

Come secondo motivo è stata censurata la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, tanto ai sensi dell'articolo 360, comma 1° n. 5 c.p.c., perché nell'iter logico-giuridico seguito dalla Corte di Appello al fine di qualificare i rapporti di lavoro intercorsi con la parte attrice non era stata alcuna menzione del suddetto accordo sindacale; né tantomeno la valutazione effettuata risultava conforme ai principi richiamati con il 1° motivo.

Per giunta, non era stata debitamente considerata la volontà delle parti, laddove nel caso di specie non soltanto non vi era stata alcuna prova di una diversa volontà delle parti rispetto alla qualificazione in termini di autonomia, ma risultava accertato che tale qualificazione rispondeva pienamente alla stessa volontà della lavoratrice, visto che le testimonianze rese in giudizio avevano concordemente affermato che la D. aveva sempre rifiutato di essere assunta come dipendente dalla sala corse, per non essere sottoposto a vincoli che da tale assunzione sarebbero derivati. L'assetto dato dalle parti del rapporto, in termini di autonomia dello stesso, corrispondeva pertanto ad una precisa e deliberata volontà della lavoratrice, che poi, terminato il rapporto, aveva inteso far valere una configurazione del medesimo dalla stessa per sempre rifiutato. Non si trattava dunque, come erroneamente affermato dal giudice del gravame, di una rinuncia ex ante della lavoratrice ad asseriti diritti derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, insuscettibili di tale rinuncia, ma della scelta della stessa di dare un assetto del rapporto di lavoro conforme al proprio interesse. Né le circostanze di fatto emerse in giudizio valevano in alcun modo a smentire una qualificazione del rapporto pienamente conforme all'autoregolamentazione degli interessi delle parti e agli stessi elementi fattuali, enucleati dal citato d.P.R. numero 1006 del 1986 e dall'accordo sindacale del 25 marzo 1991, che tipicamente connotavano la prestazione autonoma resa dagli addetti alla ricezione delle scommesse. ... La Corte di Appello avrebbe dovuto offrire argomenti che comprovassero tale qualificazione in termini di subordinazione, e non limitarsi ad affermare che determinate modalità di svolgimento della prestazione avrebbero potuto ritenersi compatibili con l'esistenza di tale qualificazione.

Sostenere che l'attività dell'addetto alla ricezione delle scommesse, essendo questa predeterminata nelle sue fasi di svolgimento, perciò stesso era da considerarsi subordinata, significava negare l'assunto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ogni attività umana economicamente rilevante può formare oggetto tanto di un rapporto di lavoro subordinato, tanto più rapporto di lavoro autonomo. Significava, inoltre, violare i criteri dettati dal suddetto accordo sindacale, in virtù del quale le parti stipulanti avevano qualificato come autonoma la prestazione resa, con le modalità ivi descritte, dell'addetto alla ricezione delle scommesse.

Né risultava corretta l'affermazione della Corte di merito, secondo cui vi sarebbe stato uno stabile inserimento della D. nell'organizzazione della sala corse, quando era comprovato che ella aveva reso la propria prestazione di lavoro soltanto per un certo numero di giorni, peraltro variabili di anno in anno, in modo discontinuo e con piena libertà da parte sua di rifiutare l'invito a svolgere tale prestazione e persino di non presentarsi quando aveva già comunicato la propria disponibilità. E tanto meno, sulla base di tali circostanze, poteva meritare credito l'asserzione della Corte di appello circa la pretesa essenzialità della prestazione, visto che la lavoratrice poteva a sua piena ed assoluta discrezione decidere di renderla o meno. Anche l'accento posto sulla alienità del risultato della prestazione resa non coglieva in alcun modo nel segno e contrastava, anche sotto questo profilo, con il principio costantemente affermato, secondo cui costituisce elemento decisivo ai fini della subordinazione l'esistenza di un potere direttivo, che si estrinsechi in ordini specifici vincolanti, nonché di un potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro, considerando invece l'elemento fattuale invocato dal giudice di appello come meramente secondario e privo di rilevanza decisiva al fine della estinzione tra rapporto di lavoro subordinato e prestazione di lavoro autonomo.

La Corte di appello, inoltre, aveva errato anche laddove aveva ravvisato un preteso indice di subordinazione nel fatto che il pagamento del compenso della prestazione di lavoro avveniva ad ore e non in base alle scommesse raccolte e agli introiti netti ricavati, risultando del tutto secondarie, ai fini della decisione sulla qualificazione del rapporto, le modalità di corresponsione dei compensi.

Parimenti errato era il ragionamento, secondo cui la responsabilità in ordine ad eventuali ammanchi di cassa non escludeva l'asserita natura subordinata del rapporto, trattandosi di argomento che non poteva essere addotto come argomento di prova per ritenere la natura subordinata delle prestazioni, atteso che l'eventuale refusione di somme mancanti era senz'altro compatibile anche con il lavoro autonomo.

Non vi era dunque alcun argomento probante che potesse essere addotto a fondamento dell'asserita natura subordinata del rapporto e che potesse pertanto fa ritenere assolto l'onere della prova gravante sull'attrice in ordine alla pretesa qualificazione del rapporto di lavoro in questione. Nella specie inoltre non vi era stata alcuna specifica allegazione da parte della lavoratrice e tanto meno la prova di circostanze idonee a ritenere dimostrata l'esistenza di un'attività di direzione costante e cogente, non era stato dimostrato uno specifico inserimento dell'interessata nell'organizzazione aziendale.

Tanto premesso, entrambe le censure -peraltro tra loro alquanto connesse e perciò esaminabili congiuntamente, visto che in effetti con il secondo motivo, ancorché rubricato ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., si riprendono in effetti questioni in buona parte già sollevate in punto di diritto con il primo motivo- vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, va ribadita, come già in precedenza accennato, la carenza di autosufficienza (artt. 366 e 369 c.p.c.) del ricorso circa il richiamato accordo sindacale 25-03-1991, che non risulta debitamente depositato in occasione del ricorso di cui è processo. Né dello stesso si fa alcuna menzione, al pari del d.P.R. n. 1006/86, nella sentenza d'appello, sicché, a parte la produzione dell'accordo (necessariamente in forma integrale, come da rito in sede di legittimità), le questioni al riguardo poste da parte ricorrente si appalesano del tutto nuove, tanto più che non sono state specificate le relative rituali allegazioni in occasione del primo e del secondo grado del giudizio di merito, sicché pure la loro eventuale materiale produzione all'epoca si appalesa processualmente del tutto irrilevante.

D'altro canto, va rilevato come la sentenza de qua abbia richiamato esplicitamente anche il precedente giurisprudenziale di Cass. lav. n. 6761 del 1°/07/1999 (ud. pubblica e camera di consiglio 9 dicembre 1998), secondo cui in materia di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro di personale addetto alla ricezione di scommesse in sala corse, non sono ravvisabili contraddizioni o vizi giuridici nella motivazione con cui il giudice di merito, accertata una serie di elementi indicativi di un vincolo di subordinazione (localizzazione e natura delle prestazioni; presenza di vigilanza e controllo per quanto necessario; turni e orari di lavoro; struttura e disciplina dei compensi), ritenga la natura subordinata del rapporto (il cui accertamento nella specie era rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo del pagamento all'INPS dei contributi di malattia) non solo riguardo ai lavoratori a tempo pieno e a quelli stabilmente occupati a tempo parziale, ma anche rispetto a quelli cui era riconosciuta la facoltà ogni volta di accettare o meno il turno predisposto e, in caso di impossibilità sopravvenuta, di avvertire il datore di lavoro o di attivarsi per cercare un sostituto nell'ambito del gruppo dei lavoratori a disposizione, in quanto non viene meno, in quest'ultimo caso, la personalità della prestazione - essendo la retribuzione corrisposta all'effettivo erogatore della prestazione lavorativa - e comunque è richiamabile l'ipotesi del lavoro a tempo parziale ad orario flessibile (sempreché non si come alternativamente considerato dal giudice di merito, per la sussistenza di una pluralità di rapporti di brevissima durata). D'altra parte, data la natura delle mansioni, non può ritenersi che l'eventuale instaurazione contemporanea, in orari compatibili, di più rapporti di lavoro a tempo parziale presso diverse agenzie ippiche comporterebbe la violazione dell'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ. (nella motivazione della sentenza n. 6761/99 - per cui veniva rigettato il ricorso di A.I.C. di U. P. & C. SNC, U. P. e F.M., contro l'I.N.P.S. - si dava atto, tra l'altro, che il giudice d'appello ha ritenuto che le prestazioni degli addetti alla ricezione scommesse sono riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato piuttosto che autonomo, osservando altresì che, quanto al D.P.R. 22 luglio 1986 n. 1006, che aveva sostituito il punto 21 del D.L.vo C.P.S. 16 luglio 1947 n. 708, stabilendo l'obbligo dell'iscrizione all'ENPALS dei "... prestatori d'opera addetti ai totalizzatori, o alla ricezione delle scommesse, presso gli ippodromi e cinodromi, nonché presso le sale da corsa e le agenzie ippiche", il Tribunale aveva ritenuto trattarsi di norma volta ad estendere la tutela pensionistica ENPALS anche ai lavoratori sopra menzionati, in nome dell'art. 35 Cost., secondo il carattere di quella forma previdenziale, che comprende sia lavoratori autonomi che lavoratori subordinati; e che non ha certo inteso qualificare il rapporto, atteso che al legislatore non era, peraltro, consentito negare la qualificazione di rapporto di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente avessero tale natura, ove da ciò derivasse l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento a tutela del lavoro subordinato, all'uopo richiamando pure le pronunce della Corte Cost. nn. 121 del 1993 e 115 del 1994.

Dunque, la sentenza impugnata aveva correttamente applicato l'art. 2094 c.c. e liberamente valutato, nel suo istituzionale potere di apprezzamento delle prove, sia le prove documentali che quelle testimoniali, giungendo ad affermare la ricordata natura subordinata dei rapporti dedotti in causa attraverso un corretto procedimento logico-giuridico. Al riguardo andava ribadito che la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice del merito, non tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, dovendo egli solo fornire un'esauriente e convincente motivazione adottata sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti. Alla luce di tali premesse le argomentazioni dei ricorrenti, che cercavano di dare una diversa lettura ad alcune affermazioni dei testi, risultano infondate e ai limiti della inammissibilità in relazione alla natura del giudizio di legittimità).

Per il resto, vanno richiamate le precedenti e condivisibili statuizioni in materia da parte di questa Corte di legittimità, cui il collegio intende dare continuità, non ravvisandosi giustificati nuovi elementi o argomenti di segno contrario, tali da poter comportare un discostamento dalla ormai stabilizzata giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. lav. n. 17009 del 05/04 - 10/07/2017, che confermava analoga pronuncia della Corte di Appello di Genova, n. 0428/28-06-2011, rigettando il ricorso della A.I.M. di L. F. & C. S.a.s., avverso la decisione di merito di accoglimento della domanda intesa a conseguire il pagamento di differenze retributive spettanti in relazione al rapporto di lavoro intercorso fra le parti dal febbraio 2002 al gennaio 2005 nel corso del quale aveva svolto attività di addetta al ricevimento ed al pagamento delle scommesse. Applicando i consolidati principi in tema di ricorso ex art. 360 n. 5 c.p.c. alla fattispecie scrutinata, non poteva prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura la parte ricorrente sollecitava un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un'interpretazione a sé più favorevole, però non consentita in sede di legittimità. La Corte di merito aveva infatti acclarato come il rapporto di lavoro inter partes si fosse svolto mediante chiamata, a seconda della necessità, con facoltà di aderire della lavoratrice, la quale era inserita nell'assetto organizzativo aziendale secondo modalità e funzioni predeterminate dalla impresa, svolgendo mansioni di raccolta scommesse, alle quali era associata una responsabilità di cassa, e percependo un compenso commisurato non agli introiti o alle scommesse raccolte, bensì alle ore di attività di lavoro prestate.

Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata risultava formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituivano la struttura argomentativa, onde resisteva alla censura all'esame.

Gli approdi ai quali era pervenuto il giudice del gravame, oltre che sostenuti da iter motivazionale esente da censure, apparivano conformi a diritto, perché coerenti con l'elaborazione giurisprudenziale delineata in tema. Era stato, infatti, affermata con riferimento specifico agli sportellisti presso un'agenzia ippica - da Cass. 5/5/2005 n. 9343 - l'irrilevanza, fini della subordinazione, del fatto che il singolo lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta, di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso del datore di lavoro, di farsi sostituire da altri, atteso che il singolo rapporto può anche instaurarsi volta per volta, anche giorno per giorno, sulla base dell'accettazione della prestazione data dal lavoratore ed in funzione del suo effettivo svolgimento, e la preventiva sostituibilità incide sull'individuazione del lavoratore quale parte del singolo specifico contingente rapporto, restando la subordinazione riferita a colui che del rapporto è effettivamente soggetto, svolgendo la prestazione e percependo la retribuzione).

In particolare, con la succitata pronuncia - peraltro citata espressamente a pag. 3 della sentenza qui impugnata - di Cass. lav. n. 9343 in data 27/01 - 05/05/2005 (cfr. la relativa motivazione), è stato considerato quanto segue: <<L'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo, esercitato dal datore (e plurimis, Cass. 7 aprile 2003 n. 5426), si risolve in una predisposizione; il datore predispone, in una misura maggiore o minore (a seconda del livello più o meno elevato del lavoro), i luoghi, i tempi e le modalità della prestazione (che è pertanto eterodiretta); e l'oggetto della prestazione in tal modo predisposta si risolve nelle operae (lavoro, nel senso puro del termine, in quanto svincolato da interna ragione e finalità).

4. b. L'esistenza d'un potenziale potere disciplinare (come mera preventiva sussistenza d'un codice di comportamento e del potere della relativa applicazione datorile) non è parte del parametro normativo della subordinazione: la relativa assenza non la esclude. D’altro canto, come rilevato dal giudicante, ove le modalità della prestazione siano standardizzate, e la prestazione, nell'ambito d’un rapporto di breve durata, sia soggetta a continui controlli e diretti interventi di correzione, il potere disciplinare (la cui mancanza è stata sottolineata dalla ricorrente ed invocata - in ricorso, nelle note e con la discussione - quale fattore di negazione della subordinazione), nella realtà ha limitato spazio di concreta presenza.

Ed il fatto che, nello svolgimento che il rapporto ha storicamente avuto (come nel caso in esame), un potere disciplinare non sia stato esercitato (ben diversa sarebbe, eventualmente, la preventiva generale esclusione di questo potere), non costituendo negazione della subordinazione, resta irrilevante.

4.c. Alla predisposizione non è necessaria la protrazione del rapporto nel tempo (il rapporto può anche essere costituito per una sola giornata: art. 23 terzo comma della legge 28 febbraio 1987 n. 56; Cass. n. 7304 del 1999): questo fissa solo la relativa durata.

4. d. La predisposizione e l'assoggettamento sono la descrizione del contenuto del rapporto, nel suo materiale svolgimento. Il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto, bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo (eventualmente) a precludere (per l'assenza di accettazione) la concreta esistenza d'un rapporto (di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo effettivo svolgimento, e sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal lavoratore. L'accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto).

4. e. Egualmente è a dirsi per la possibilità che, fin dall'inizio o nello svolgimento del rapporto, il lavoratore, con il preventivo generale consenso del datore, si faccia sostituire da altri, che gli subentra: fatto temporalmente e logicamente esterno al contenuto ed allo svolgimento della prestazione. Poiché il singolo rapporto si instaura volta per volta (anche giorno per giorno), sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal lavoratore ed in funzione del suo effettivo svolgimento, la preventiva sostituibilità incide sull'individuazione del lavoratore quale parte del singolo specifico contingente rapporto: non esclude la personalità del rapporto stesso (che poi si instaura), e pertanto la subordinazione, la quale resta riferita a colui che del rapporto è effettivamente (pur contingentemente) soggetto (svolgendo la prestazione e percependo la retribuzione).

5. Poiché, nel suo svolgimento, ogni lavoro può in via generale assumere natura subordinata od autonoma, il fatto che atti normativi abbiano ipotizzato la possibilità che il lavoro in esame assuma natura autonoma, non esclude che il lavoro stesso, nella sua contingente manifestazione ed in presenza degli elementi che caratterizzano la subordinazione, assuma (come nel caso in esame, e per le ragioni precedentemente esposte) natura subordinata.

6. Nel caso in esame, il giudice di merito ha applicato gli indicati principi. E l'accertamento della concreta esistenza degli elementi di fatto (incontroversi nella loro oggettiva esistenza), che consentono di ricondurre i rapporti in esame al modello normativo della subordinazione, è esente da vizi logici.

In particolare, il potere direttivo del datore si esprime, oltre che nel controllo da parte del personale a tanto destinato, nella predisposizione del luogo, degli orari e di ogni pur minima modalità della prestazione (che, come dal giudicante incontestatamente accertato, era "standardizzata").

Poiché la subordinazione è limitata al rapporto effettivamente svoltosi, il fatto che, nel caso in esame, il singolo lavoratore fosse libero di accettare o non accettare l'offerta, e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso del datore, di farsi sostituire da altri (che gli subentrava nel rapporto, per tutta o parte della relativa durata), resta irrilevante ...>>.

Dunque, il ricorso va respinto, peraltro senza alcun provvedimento in tema di spese, poiché, nonostante la soccombenza di parte ricorrente, la D. è rimasta intimata e non ha comunque svolto alcuna difesa nel proprio interesse.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.