Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 febbraio 2018, n. 2761

Tributi - Imposte sui redditi - Accertamento sintetico - Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale - Disciplina ante riforma 2010 - Esclusione. - Prova contraria a carico del contribuente - Disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e durata del loro possesso con idonea documentazione

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell'art. 1 - bis del D.L. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che la ricorrente ha depositato memoria critica alla proposta del relatore depositata in atti, osserva quanto segue:

con sentenza n. 849/36/2015, depositata il 10 marzo 2015, la CTR della Lombardia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, resa tra la signora C.C. e l'Agenzia delle Entrate - che aveva accolto in toto il ricorso proposto dalla contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEF e addizionale regionale per l'anno d'imposta 2007, con il quale era stato determinato in via sintetica un maggior reddito di Euro 204.302,00 - lo rideterminava in Euro 183.926,00.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui l'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti circa l'eccezione preliminare sulla violazione del diritto al contraddittorio ex art. 12 della legge n. 212/2000, con riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.», lamentando che la decisione impugnata si sia totalmente astenuta dall'esaminare un fatto decisivo per il giudizio e cioè il difetto di contraddittorio, atteso che l'Amministrazione finanziaria, dopo avere richiesto la documentazione giustificativa delle spese sostenute e ritenute sintomatiche di reddito maggiore di quello dichiarato, non l'ha presa in considerazione, né si è espressa in alcun modo in ordine alla valenza giustificativa della stessa.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta «nullità della sentenza o del procedimento con riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed agli artt. 156, secondo comma, c.p.c., e 132, primo comma, n. 4, c.p.c. (ovvero, in subordine, con riferimento al previgente art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.)», per difetto assoluto di motivazione in ordine all'implicito rigetto della questione inerente al difetto di contraddittorio endoprocedimentale.

Con il terzo motivo la contribuente reitera ancora la doglianza relativa al mancato espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, questa volta censurando l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., essendo stato emanato e notificato l'avviso di accertamento prima del termine di sessanta giorni previsto dalla citata norma e, segnatamente, il giorno successivo a quello in cui la contribuente aveva depositato copiosa documentazione giustificativa delle spese sostenute.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 24 della Costituzione circa l'onere della prova che grava sul contribuente in relazione all'accertamento sintetico del reddito, con riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.» per avere erroneamente la sentenza impugnata affermato che l'ambito di detta prova non riguarda solo la disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso, costituenti circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, essendo invece sufficiente la dimostrazione da parte del contribuente dell'esistenza di altre fonti reddituali sufficienti a giustificare le spese su cui è basato l'accertamento sintetico da parte dell'Amministrazione.

Infine, con il quinto motivo, ulteriore doglianza è formulata dalla ricorrente in via cumulativa in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione al fatto che la CTR, secondo parte ricorrente, ha omesso di valutare quali documenti nel caso concreto non sono risultati idonei a dimostrare la disponibilità della provvista necessaria a far fronte alle spese in contestazione.

I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto afferiscono sostanzialmente alla stessa doglianza, quella relativa all'omesso espletamento del contraddittorio anticipato, sia pure in relazione a tre distinti profili.

Ritiene la Corte, nonostante la memoria critica della ricorrente, che debba essere condivisa la proposta del relatore. Il passaggio trascritto in memoria della contribuente a pag. 4, che dimostrerebbe, secondo l'assunto della contribuente, che l'eccezione di difetto di contraddittorio anticipato è stata riproposta nelle controdeduzioni all'appello dell'Amministrazione, si rivela, invece, privo di adeguata specificità.

È noto, al riguardo, che la giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr. Cass. sez. 5, 27 novembre 2015, n. 24267) afferma che «nel processo tributario, l'art. 56 del d.lgs n. 546/1992 impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure per relationem, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicché non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale».

In ogni caso, la doglianza è manifestamente infondata, trattandosi di accertamento sintetico ante riforma del 2010, relativo ad IRPEF, per il quale, alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823) e dalla successiva giurisprudenza conforme (tra le molte si veda, con specifico riferimento a fattispecie riguardante accertamento sintetico, Cass. sez. 6-5, ord. 31 maggio 2016, n. 11283), non era previsto dalla legislazione nazionale applicabile ratione temporis - un obbligo di contraddittorio anticipato a pena di nullità dell'atto impositivo emanato senza la sua osservanza.

Quanto al profilo del dedotto difetto assoluto di motivazione, va ricordato che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice di merito sia comunque pervenuto ad un'esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, come precisato dalle Sezioni Unite (Cass. 22 febbraio 2017, n. 2731), «la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall'ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, comma 2 Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un "error in procedendo", quale la motivazione omessa, mediante l'enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (...) sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti di fatto».

Possono ancora essere esaminati congiuntamente il quarto ed il quinto motivo, in quanto tra loro connessi.

Essi sono ugualmente inammissibili.

In tema di riparto dell'onere della prova riguardo ad accertamento condotto con metodo sintetico, la sentenza impugnata ha giudicato in conformità all'orientamento largamente prevalente espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo cui la prova documentale contraria da parte del contribuente, ammessa dall'art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600/1973, nella sua formulazione applicabile ratione temporis al presente giudizio, al fine di confutare il maggior reddito accertato sinteticamente dall'ufficio, richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte, dovendo altresì risultare la durata del loro possesso da idonea documentazione; all'uopo precisandosi che, pur non richiedendosi espressamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, necessita tuttavia una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto, o comunque potuto accadere (cfr., in tal senso, espressamente, Cass. sez. 5, 26 novembre 2014, n. 25104; Cass. sez. 6- 5, ord. 16 luglio 2015, n. 14885; Cass. sez. 6-5, ord. 10 novembre 2015, n. 22944; Cass. sez. 6-5, ord. 10 agosto 2016, n. 16192; Cass. sez. 5, 19 ottobre 2016, n. 21142; Cass. sez. 6-5, ord. 30 ottobre 2017, n. 25776).

Né parte ricorrente ha prospettato argomenti idonei al superamento di detto indirizzo, essendosi limitata a richiamare a sostegno della propria tesi precedente di questa Corte (Cass. n. 6396/14) rimasto invero isolato, che ha limitato l'ambito della prova contraria da parte del contribuente alla presunzione legale relativa posta dal citato art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 alla sola dimostrazione della disponibilità di altre fonti redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte sufficienti a giustificare le spese in contestazione. Alla stregua del principio di diritto sopra riportato quale affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, a cui va pertanto data ulteriore continuità, consegue che anche la doglianza di cui al quinto motivo (relativa all'omesso esame di taluni documenti) deve ritenersi inammissibile, perché i documenti medesimi, secondo lo stesso assunto della ricorrente, nel poter al più dimostrare l'esistenza di provvista sufficiente al sostenimento delle spese in contestazione, non avrebbero potuto determinare, ove anche esaminati, un esito diverso della controversia.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.