Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 luglio 2016, n. 14076

Tributi - Reddito di impresa - Costi relativi ad acquisti effettuati da aziende esercenti in paesi "black list" - Omessa separata indicazione nella dichiarazione dei redditi - Sanzione amministrativa

 

Osserva

 

La "C.C. srl" propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR di Bologna, con la quale - confermandosi la decisione n. 165/02/2010 della CTP Ferrara, che aveva già respinto il ricorso della parte contribuente - è stato convalidato l’atto di contestazione sanzioni irrogate a mente dell’art. 8 comma 3 - bis del D.Lgs. 471/1997 per l’omissione della separata indicazione nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2003 dei costi correlati agli acquisti effettuati da aziende esercenti in paesi inseriti nella c.d. "black list".

La CTR menzionata - al di là di qualsiasi ragionamento circa la mancata accettazione da parte dell’Agenzia della dichiarazione integrativa presentata in costanza di verifica fiscale ed alla luce del fatto che l’emendabilità della dichiarazione è rimedio destinato a correggere errori fino al momento dell’accertamento definitivo ma non può trasformarsi in mezzo elusivo delle sanzioni - ha ritenuto che la omissione di cui si tratta "è direttamente sanzionabile", avendo la legge n.296/2006 impedito all’Agenzia di riprendere a tassazione i costi dedotti nella dichiarazione originaria.

Trattandosi di violazione non "meramente formale" (poiché incide sull’attività di controllo dell’Amministrazione), ad essa sono applicabili le previsioni dei commi n. 302 e 303 dell’art. 1 della legge n. 296/2006, indipendentemente dalla raggiunta prova circa i requisiti per la detrazione dei costi.

La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.

L’Agenzia non si è difesa, salva costituzione tardiva ai fini della mera partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorso - ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 1 comma 303 delle legge n. 296/2006), la parte contribuente - dopo avere prospettato la natura di "mera violazione di carattere formale" della condotta omissiva qui in considerazione, non incidendo essa né sulla determinazione dell’imponibile né dell’imposta - si duole per il fatto che una simile violazione "non può assolutamente giustificare una sanzione pari al 10% dei costi indicati", nel mentre avrebbe dovuto essere sanzionata con una misura pecuniaria fissa, come quella individuata nell’art. 8 comma 1 del D.Lgs. 471/1997. E ciò alla luce del principio di proporzionalità, principio che esclude che le sanzioni possano essere determinate in modo arbitrario o manifestamente irragionevole.

Il motivo appare inammissibilmente proposto, non rivolgendosi come censura avverso alcuna espressa statuizione del giudicante del merito, ciò che ne denota la novità della prospettazione, nel difetto di qualsivoglia specificazione e dettaglio in ordine alle modalità con le quali la questione è stata prospettata nei gradi di merito.

E d’altronde, la norma di cui si invoca la violazione non può costituire - per questo rispetto - parametro per gli argomenti dedotti a sostengo della censura di violazione di legge, in essa non rinvenendosi alcuna proclamazione del criterio di proporzionalità di cui la parte ricorrente si duole e perciò dovendosi evidentemente rinvenire detto parametro in quel principio generale che giustificherebbe, semmai, il rilievo di illegittimità costituzionale ovvero di compatibilità con la disciplina eurounitaria.

Senonché, dell’uno e dell’altro non sono ravvisabili gli estremi se si pone mente anche al solo fatto che la sanzione di cui si tratta risulta - come innanzi si preciserà - un’attenuazione delle conseguenze previste nel previgente regime normativo, in pendenza del quale si riconnetteva alla omessa separata indicazione dei costi addirittura la preclusione alla loro detraibilità.

Con il secondo motivo (centrato sulla violazione dell’art. 2 commi 8 e 8 bis del DPR n. 322/1998) la parte ricorrente si duole che la CTR abbia fatto erronea applicazione del principio dell’emendabilità della dichiarazione dei redditi, e cioè a mezzo della dichiarazione integrativa con la quale si era inteso compilare i righi della dichiarazione destinati alla separata indicazione dei menzionati costi.

Il motivo appare manifestamente infondato, non potendosi riconnette la sanzione di cui qui si discute ad alcun "errore" (né di fatto né di diritto) ma alla pura e semplice omissione di una condotta necessaria e perciò stesso da espletarsi tassativamente entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione, termine che (pacificamente scaduto per il fatto stesso che la stessa parte ricorrente dichiara di avere inteso presentare una dichiarazione integrativa tardiva) non potrebbe essere recuperato a mezzo di una condotta finalizzabile alla sola emenda dei contenuti di "scienza" e non di quelli di volontà o di forma (tra i quali ultimi deve essere annoverato quello della separata indicazione dei costi, come correttamente rileva la stessa parte ricorrente). Ben vero, con la sua dichiarazione integrativa la parte contribuente non avrebbe certo ridotto il proprio carico contributivo ma avrebbe esclusivamente integrato a posteriori un requisito della dichiarazione, all’epoca dei fatti qualificabile come condizione formale ai fini della detraibilità dei costi e successivamente tramutato (con effetto retroattivo) in obbligo astratto finalizzato all’espletamento dell’attività di controllo per l’ipotesi di esistenza di una determinata tipologia di costi.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sull’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio) la parte ricorrente si duole che la Commissione di appello, pur avendo qualificato la violazione di cui trattasi come "violazione formale" (cioè non incidente sull’azione di controllo o sulla determinazione della base imponibile, valutazione da effettuarsi in concreto), non abbia riconnesso a detta violazione la sanzione dell’art. 8 comma 1 del D.Lgs. 471/1997, dopo avere appurato che effettivamente la condotta di essa parte contribuente non aveva pregiudicato né l’azione di controllo (essendo stata fornita tutta la documentazione utile alla verifica dei requisiti di deducibilità dei costi) né la determinazione dell’imponibile (giacché era risultato pacificamente che si trattava di costi effettivi e detraibili).

Il motivo appare manifestamente infondato (anche a voler tralasciare di considerare l’incoerenza tra la tipologia del vizio invocata e quella concretamente argomentata, siccome violazione della disciplina di cui dianzi si dirà).

L’assunto di parte ricorrente secondo cui alla specie di causa sarebbe applicabile l’art. 8 comma 1 dianzi menzionato si appalesa fallace, alla luce di quanto appresso.

Invero, i commi 10 e 11 dell’art. 110 del TUIR (nella lettera vigente all’epoca dei fatti, e cioè il 2005) prevedevano quanto segue:

10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti.

11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.

La predetta disciplina è stata modificata dall’art. 1 del Decreto-legge del 03/10/2006 n. 262 in termini tali che - fermo il comma 10 - a decorrere dal 29.11.2006 la nuova lettera del comma 11 dell’art. 110 è risultata la seguente:

11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità’ di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.

A loro volta, i commi 302 e 303 dell’art. 1 della legge n.296/2006 (da cui si genera la tematica di diritto intertemporale che nella specie si pone) hanno poi previsto quanto segue:

302. All'articolo 8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

"3-bis. Quando l'omissione o incompletezza riguarda l'indicazione delle spese e degli altri componenti negativi di cui all'articolo 110, comma 11, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50.000".

303. La disposizione del comma 302 si applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all'articolo 110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi. Resta ferma in tal caso l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.

In considerazione delle or ora menzionate novelle normative, le pronunce di legittimità adottate a riferimento di situazioni similari a quella qui in esame hanno finito per ritenere (superando un precedente orientamento interpretativo contrario) che:" In tema di reddito d'impresa, l'abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. Paesi "black list"), ove non separatamente indicati nella dichiarazione annuale dei redditi, a seguito della modifica all'art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (apportata dall'art. 1, comma 301, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), ha integrale portata retroattiva, come può evincersi sia dalla "ratio" della nuova disciplina, che intende contemperare l'interesse del contribuente a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti con quello dell'Amministrazione finanziaria ad un efficace controllo, sia dal dato testuale dell’art. 1, comma 303, della legge n. 296 del 2006, che cumula l’applicazione della sanzione prevista dall'art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (introdotta dall'art. 1, comma 302, della legge n. 296 del 2006) con quella prevista dall'art. 8, comma 1, del medesimo decreto, quest'ultima giustificata solo in ragione dell'estensione della portata retroattiva dell’abolizione del previgente regime d'indeducibilità" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4030 del 27/02/2015 ed altre successive).

Per conseguenza di ciò, la giurisprudenza di codesta Corte di Cassazione è ormai ferma nel ritenere che la disciplina sopravvenuta ha degradato - con effetto retroattivo - la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa.

Detto obbligo di carattere formale - per effetto della concreta applicazione che deriva dalla menzionata esegesi delle disciplina - non può che avere precipua autonomia rispetto alla deduzione e prova della sussistenza dei presupposti necessari ai fini della detrazione dei costi, sicché (non essendovi ragione per rimeditare in questa sede l’orientamento che ha ritenuto retroattivamente applicabile la sanzione correlata con l’omissione puramente formale della separata indicazione dei costi dichiarati) deve ritenersi che abbia fatto corretto governo della fonte normativa il giudice del merito, allorquando ha ritenuto non inapplicabile la sanzione di cui qui trattasi, per il solo fatto della di poi dimostrata detraibilità dei costi.

Né può porsi il dilemma della applicazione alla specie di causa della sola previsione dell’art.8 comma 1 del D.Lgs. 471/1997 alla luce della espressa previsione della norma contenuta nell’ultima parte del comma 8-ter del medesimo articolo ("Resta ferma in tal caso l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471") con la quale - per il suo indiscutibile significato letterale - il legislatore non può che avere inteso affermare che le norme sanzionatorie si applicano entrambe. Di che non è dato peraltro di discutere, non avendone l’Agenzia preteso l’applicazione. Non resta che ritenere che la sentenza impugnata non merita cassazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza ed inammissibilità.

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione (sulla premessa che con la questione qui controversa non può interferire - come già ritenuto da Cass. 6651/2016 e altre antecedenti - l’altra concernente l’emenda delle dichiarazioni, sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite di questa Corte a mezzo dell’ordinanza interlocutoria 18383/2015) e, pertanto, il ricorso va accolto relativamente al primo motivo, con assorbimento degli ulteriori);

- che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Emilia Romagna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.