Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE CATANZARO - Ordinanza 23 marzo 2016

Spese di giustizia - Contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario - Importi dovuti - Obbligo per chi ha proposto un'impugnazione, anche incidentale, respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, di versare un ulteriore importo pari a quello dovuto per l'impugnazione stessa

 

Svolgimento del processo

 

L'Agenzia delle entrate appella la sentenza della CTP di Cosenza, Sez. IV, n. 3636/04/2014, depositata il 5 giugno 2014, che ha accolto un ricorso relativo ad una rettifica del reddito ai fini Irpef ed IVA per l'anno 2004.

Il contribuente ha controdedotto e spiegato appello incidentale sulla mancata condanna alle spese dell'amministrazione soccombente.

Con successiva memoria ha eccepito l'inammissibilità dell'appello per omesso deposito dell'avviso di spedizione dell'appello.

All'udienza del 23 marzo 2016, sulle conclusioni come da verbale e sentito il relatore, la causa è stata trattenuta in decisione.

 

Motivi della decisione

 

L'eccezione di inammissibilità e destituita di fondamento, avendo prodotto l'ente impositore un documento, riportante la data di spedizione attestata dalla Posta, la quale, in quanto terzo addetto alla notifica, e deputata a certificare incontrovertibilmente di avere ricevuto l'atto in questione in quella (cfr. Cassazione civ., Sez. tribunale, 10 agosto 2010 n. 18551).

Nel merito, l'appello è infondato e va respinto.

Ed invero, la decisione impugnata ha ritenuto invalido l'atto di rettifica perché motivato per relationem al processo verbale della Guardia di finanza, la quale, a sua volta, ha utilizzato «rilievi e congetture non concordanti e non dimostrabili».

Sul punto, occorre premettere che nessuna violazione dell'art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000 n. 212 può ascriversi all'atto impositivo a cagione della sua motivazione per relationem alle conclusioni della Guardia di finanza, quando si tratti di documento formato nel contraddittorio con la parte privata che, avendolo sottoscritto, ne ha piena conoscenza (cfr. Cassazione civ., Sez. V, 13 ottobre 2011 n. 21119).

Al contrario, la documentazione utilizzata per l'accertamento in parola riguarda un processo verbale della Guardia di finanza di Sondrio, relativo ad altro soggetto e non reso preventivamente conoscibile al contribuente.

Va respinto il ricorso incidentale, col quale si chiede la condanna dell'amministrazione soccombente al pagamento delle spese di giudizio del giudizio di prime cure, dichiarate compensate, trattandosi di potere altamente discrezionale affidato al giudice e ragionevolmente poggiando la detta valutazione sulla natura formale della decisione, che ha dato ragione al ricorrente senza entrare nello scrutinio della sussistenza o meno della pretesa sostanziale avanzata dal Fisco.

Stante la reciproca soccombenza tra le parti, le spese del presente giudizio possono essere compensate.

 

Questione di legittimità costituzionale

 

Essendo la proposizione dell'appello successiva al 30 gennaio 2013, alla reiezione dell'impugnazione, anche incidentale, l'art. 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 fa seguire l'accertamento, ad opera del giudice, dell'obbligo di versare, a titolo di contributo unificato, un ulteriore importo pari a quello dovuto per l'impugnazione medesima.

Trattasi di misura lato sensu sanzionatoria, che si applica ai casi tipici del rigetto dell'impugnazione o della sua declaratoria d'inammissibilità od improcedibilità (cfr. Cassazione civ., Sez. tribunale, 12 novembre 2015 n. 23175), la cui ratio va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose (cfr. Cassazione civ., Sez. tribunale, 2 luglio 2015 n. 13636).

Sicché, «in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, il giudice dell'impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto - senza ulteriori valutazioni decisionali - della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) per il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis (cfr. Cassazione civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955)».

Tutto ciò con l'unico limite che la condanna può riguardare solamente la parte appellante privata, non potendo essa avere luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (cfr. Cassazione civ., Sez. III, 14 marzo 2014 n. 5955).

Dunque, nella fattispecie concreta, la condanna dovrebbe riguardare solo l'appellante incidentale e non quello principale, sebbene rimasti entrambi soccombenti.

Orbene, opina il collegio elle detta limitazione violi il principio di parità delle parti di cui al'art. 111, comma 2, della Costituzione.

Se, in altri termini, occorre sanzionare, mediante il versamento di una somma di denaro tutte le impugnazioni infondate od irrituali, perché potenzialmente dilatorie o pretestuose, la detta sanzione deve poter colpire indifferentemente tutte le parti del processo, e non solamente una.

E questo vale, particolarmente, nei processi, come quello tributario, dove una delle parti è necessariamente pubblica e quasi sempre costituita da un'amministrazione dello Stato.

Stante il divieto di pronunciare sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande, dettato dall'art. 35, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 546 del 1992 (sulla cui legittimità, in termini di ragionevolezza ed efficienza processuale, per altro, vi sarebbe pure da dubitare), il presente giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, in relazione alla quale sussistono i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 della legge n. 87 del 1953;

Rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, come inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per contrasto con l'art. 111, comma 2, della Costituzione.

Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 12 aprile 2017, n. 15