Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 marzo 2017, n. 8218

Accertamento - Affitto di azienda - Applicazione dell’art. 30, comma 1, L. 724/1994 - Fattispecie

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 27 aprile 2015 la Commissione tributaria di secondo grado di Trento accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 65/2/13 della Commissione tributaria di primo grado di Trento che aveva accolto i ricorsi proposti dalla Hotel V.E. sas di Z.R. e C. e dai suoi soci contro gli avvisi di accertamento IRES, IRPEF 2006. La Commissione di secondo grado osservava in particolare che i contribuenti non avevano adeguatamente controprovato la presunzione di "non operatività" prevista dalla legge.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

 

Considerato che

 

Con l’unico mezzo dedotto - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - i ricorrenti lamentano violazione/falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, L. 724/1994 e vizio motivazionale, poiché il giudice di appello non ha correttamente valutato la circostanza che nell’annualità fiscale de qua la società verificata aveva affittato la propria unica azienda, asserendo che perciò non poteva applicarsi la norma antielusiva in questione.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che «In materia di società di comodo, i parametri previsti dall'art. 30 della l. n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv. nella l. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, sicché la determinazione dell'imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 13699 del 05/07/2016, Rv. 640340); altresì analogamente che «In materia di società di comodo, i parametri previsti dall'art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l'esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto» (Sez. 5, Sentenza n. 21358 del 21/10/2015, Rv. 636908).

Orbene, la Commissione di secondo grado ha fatto corretta applicazione di tali principi - con giudizio che quanto al merito non può essere sindacato in questa sede - rilevando in fatto che nell’annualità fiscale de qua la società contribuente è stata gestita in perdita senza obiettivi di profitto immediati e concreti, perché l’unico bene di proprietà, costituito da un albergo in Riva del Garda, è stato ceduto in locazione a terzi, ad un canone che correttamente è stato ritenuto incongruo rispetto alle condizioni di mercato e non remunerativo rispetto alle rilevanti spese di risanamento e ristrutturazione sostenute nel corso degli anni 2004 e 2005 registrate nel libro dei cespiti ammortizzabili nella misura complessiva di euro 365.833,36 e tanto basta per non superare il cosidetto "test di operatività", senza bisogno di indagare e rivelare l’esistenza di intenzioni fraudolente od elusive"; inoltre che la società contribuente non aveva dato la prova contraria che le incombeva, in particolare a fronte della "plateale antieconomicità delle spese di ristrutturazione della struttura alberghiera" e che non potevasi applicare la previsione di cui al comma 4 bis dell’art. 30, legge 724/1994 essendo a tal fine irrilevanti le scelte volontarie del contribuente, quali quella della società ricorrente, quanto piuttosto necessarie "oggettive situazioni" esimenti.

Il ricorso va dunque rigettato ed i ricorrenti condannati in solido alle spese del presente giudizio secondo generale principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.