Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 giugno 2017, n. 27967

Tributi - Reati fiscali - Dichiarazione dei redditi infedele - Imputazione al legale rappresentante - Dichiarazione integrativa successiva a quella "annuale" presentata da altro soggetto - Soglia di punibilità - Proscioglimento "perché il fatto non sussiste"

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 12/01/2016, depositata in data 27/01/2016, il GIP/tribunale di Pordenone dichiarava non luogo a procedere ai sensi dell'art. 425 c.p.p. nei confronti del T. in ordine al reato di cui all'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000, commesso secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nel capo di imputazione (data consumazione reato: 21/12/2009) per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato; giova precisare per migliore intelligibilità dell'impugnazione, che al T. era stato contesto il delitto di dichiarazione infedele, perché, nella qualità di presidente del CdA dal 20.12.2007 al 2.02.2010 ed a.u. dal 2.02.2010 sino alla data del fallimento intervenuto il 11.2010, n.q. di firmatario della dichiarazione Modello Unico SC (unico società di capitali) del 21.12.2009 per l'anno di imposta 2010, integrativa della dichiarazione presentata in data 27.09.2008 da P. F. di "San Martino Impresa di costruzioni s.r.l." con sede legale in Spilimbergo, al fine di evadere l'IRES non indicava nel mod. USC integrativo, relativo al periodo di imposta 2007 elementi attivi per un ammontare complessivo di € 1.528.150,00 quali sopravvenienze attive ed indicava elementi passivi per un ammontare complessivo pari ad € 748.037,00 (quali costi non di competenza, non inerenti e non documentabili), con conseguente superamento delle soglie di punibilità previste dalla legge essendo l'imposta evasa superiore ad € 103.291,38 mentre l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione era superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, pari ad € 14.066.611,00 e comunque superiore ad € 2.065.827,60.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, un unico, articolato motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 4, D.Lgs. n. 74 del 2000, 425 c.p.p. e correlato vizio motivazionale di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza poiché, sostiene il P.M. ricorrente:

a) erroneamente il GUP ha ritenuto non integrare la fattispecie penale la presentazione di una dichiarazione integrativa di altra precedente dichiarazione ai fini delle imposte (si dubita della correttezza giuridica della tesi sostenuta dal GUP secondo cui ciò deriverebbe dalla natura istantanea del reato ex art. 4 citato, che si consumerebbe con la presentazione della dichiarazione annuale mentre non avrebbero alcuna rilevanza eventuali dichiarazioni integrative; nel caso di specie il contribuente - imputato avrebbe presentato due distinte dichiarazioni per il medesimo periodo di imposta 2007, laddove nella prima erano rimasti non compilati quadri RF ed RS rispetto agli stessi quadri riportati nella dichiarazione integrativa; la condotta del contribuente andrebbe valutata complessivamente, tenendo conto di tutte le dichiarazioni integrative e non solo di quella annuale, ben potendo la integrativa, espressamente prevista per legge, portare elementi nuovi o rettificare elementi precedenti, così da integrare profili penali; anche la dichiarazione integrativa dunque potrebbe essere valorizzata ai fini dell'integrazione del delitto contestato, dovendosi considerare la presentazione di quest'ultima ai fini della determinazione del momento consumativo, inevitabilmente spostandosi in avanti quantomeno sino al termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione integrativa);

b) in secondo luogo, si censura l'aver, senza contraddittorio, prosciolto l'imputato conducendo un'autonoma valutazione comparativa tra le risultanze degli atti processuali e la nuova formulazione dell'art. 4 successiva all'entrata in vigore del D. Lgs. n. 158 del 2015; sarebbe stato necessario un approfondimento tecnico delegando la polizia tributaria affinché rivalutasse i fatti onde rilevare la persistenza o meno di profili penali anche dopo la riforma; in ogni caso, le soglie di punibilità, pur dopo la riforma, sarebbero state superate; analogamente, la questione se gli elementi attivi e passivi siano inquadrabili nel co. 1-bis dell'art. 4, ossia se si tratti solo di non corretta classificazione di elementi esistenti, circoscrivendo la nuova norma la rilevanza penale solo ai fatti inesistenti, è questione nuova ed interpretativa che avrebbe richiesto un necessario approfondimento dibattimentale o un supplemento istruttorio; se ne sarebbe dovuta accertare la reale natura, fittizia inesistente od errata classificazione, alla luce della nuova normativa, cosa che non è stata fatta in sede di indagini perché all'epoca non richiesto dalla norma originaria);

c) infine, si censura la declaratoria di non luogo a procedere per violazione dell'art. 425 c.p.p. perché la situazione probatoria, proprio alla luce della novella del 2015, avrebbe richiesto un'integrazione istruttoria o comunque avrebbe necessitato di uno sfogo dibattimentale solo al cui esito sarebbe stato possibile pervenire ad un giudizio assolutorio, tanto più in considerazione della formula utilizzata, per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, che presuppone l'accertamento del fatto).

3. Con requisitoria scritta depositata preso la cancelleria di questa Corte in data 21/10/2016, il P.G. presso la S.C. di Cassazione ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata; in particolare, mentre sarebbero da condividere le argomentazioni del GUP, secondo cui l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione sarebbe comunque inferiore alla soglia di punibilità, diversamente, gli elementi passivi che sarebbero inesistenti ammonterebbero ad € 575.480,00, donde la necessità di verificare se gli stessi determinassero o meno il superamento della soglia anzidetta, ciò che non sarebbe potuto avvenire se non al dibattimento; quanto sopra avrebbe determinato anche la violazione dell'art. 425 c.p.p., essendo adottabile la sentenza di proscioglimento solo ove non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione.

 

Considerato in diritto

 

4. Il ricorso è infondato.

5. Assorbente e preliminare all'esame dei profili di censura sviluppati dal P.G. nelle precedenti lettere b) e c) del § 2 è infatti la questione della rilevanza, agli effetti della configurabilità del reato di dichiarazione infedele, della presentazione della c.d. dichiarazione integrativa, posto che, nel caso di specie, la contestazione mossa al contribuente - imputato è quella di non aver indicato, al fine di evadere l'IRES, nella dichiarazione integrativa presentata il 21.12.2009 (in quel momento quale presidente del CdA di una società a responsabilità limitata) e successiva a quella "annuale" presentata da altro soggetto il 27.09.2008 per il periodo di imposta 2007, elementi attivi soprasoglia e di aver contestualmente indicato elementi passivi anche in questo caso per un ammontare superiore alla soglia di punibilità prevista dall'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000.

6. Ritiene il Collegio corretta la soluzione giuridica, sul punto operata dal GUP, che pertanto legittimava il medesimo all'adozione della sentenza di proscioglimento, seppur con diversa formula, in quanto l'imputato avrebbe dovuto essere prosciolto per insussistenza del fatto, difettando un elemento costitutivo della fattispecie criminosa.

Ed invero, l'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000, nella formulazione previgente alla novella operata dal D. Lgs. n. 158 del 2015 (e, per quanto qui di interesse, alla data in cui il reato sarebbe stato consumato, nella formulazione precedente alle modifiche apportate dall'art. 2, comma 36-vicies semel, lettere d) ed e), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, modificato in sede di conversione, non applicabile al caso di specie ex art. 2 c.p. in quanto più sfavorevole per il contribuente, avendo ristretto la soglia di punibilità dell'imposta evasa ad euro cinquantamila ed indicando un ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione "comunque" superiore a euro due milioni), nel prevedere il reato di dichiarazione infedele, cosi stabiliva "1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 103.291,38 (lire duecento milioni); b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2.065.827,60 (lire quattro miliardi)".

La norma trova il suo antecedente storico nella contravvenzione di dichiarazione infedele di cui all'art. 1, comma 2, lett. c), della legge n. 516 del 1982, la quale aveva però un ambito di applicazione assai più ristretto, riguardando solo la mancata indicazione nella sola dichiarazione annuale ai fini delle imposte dirette dei redditi fondiari, di capitale o di altri redditi, in relazione ai quali il contribuente non fosse obbligato ad annotazioni in scritture contabili. Inoltre, in precedenza, la soglia di punibilità della dichiarazione era riferita, non all'ammontare dell'imposta evasa, ma a quello dei redditi di cui era stata omessa l'indicazione, pur se poi in fatto nessuna imposta fosse dovuta. Rispetto alla precedente previsione di cui alla legge n. 516 del 1982, l'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000 rappresenta un ritorno al modello punitivo presente nell'art. 56, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, che puniva, indipendentemente dal tipo di reddito, chiunque presentasse una dichiarazione incompleta o infedele, quando l'imposta relativa al reddito accertato fosse superiore a £. 5.000.000.

7. L'art. 4, come anticipato, è stato oggetto di modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 158 del 2015. In particolare, a seguito della novella, la fattispecie penale così recita: "I. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni. 1-bis. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. 1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b)".

Limitando, in questa sede, l'attenzione, tra gli elementi costitutivi del reato, alla condotta che riveste la rilevanza penale, il legislatore del 2015 non ha inteso modificare (come invece avvenuto, ad esempio, con riferimento ad altre fattispecie penali tributarie, come quelle dell'art. 2 e dell'art. 3, d. Igs. n. 74 del 2000, in cui il legislatore ha esteso l'ambito applicativo delle predette fattispecie sopprimendo l'aggettivo "annuali" riferito sia alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sia alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) il riferimento alla indicazione in una delle dichiarazioni "annuali". Nel nuovo art. 4, la struttura della condotta - consistente nella indicazione, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi - è rimasta infatti inalterata, fatta eccezione per la sostituzione del termine "fittizi" con "inesistenti".

Ciò comporta, quindi, che, a differenza di quanto stabilito per le predette fattispecie di cui agli artt. 2 e 3 del D. Lgs. n. 74 del 2000, per il delitto di dichiarazione infedele, il legislatore ha inteso circoscrivere la rilevanza penale alla sola presentazione della dichiarazione annuale. Le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono, dunque, solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e la dichiarazione annuale relativa all'imposta sul valore aggiunto disciplinata dall'art. 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. Sono escluse invece tutte le altre tutte le altre dichiarazioni fiscali presenti nel nostro ordinamento.

8. Il riferimento alla "annualità" della dichiarazione ha, peraltro, inevitabili effetti non solo sul piano della delimitazione dell'ambito applicativo della fattispecie penale (che, come correttamente sostenuto dal GUP nell'impugnata sentenza, è limitato alla presentazione della sola dichiarazione annuale e non anche della eventuale dichiarazione integrativa), ma anche del momento consumativo del reato Quanto al momento consumativo, infatti, non v'è dubbio che il delitto in esame integri un reato istantaneo, poiché si intende perfezionato con la presentazione della dichiarazione annuale infedele, non rilevando ai fini della consumazione la circostanza dell'eventuale presentazione integrativa, poiché il dies a quo ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato dovrà intendersi decorrente dalla data della presentazione della prima dichiarazione. Trattasi di principio già affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 40618 del 3 luglio - 10 ottobre 2013, non massimata) - cui questo Collegio intendere dare continuità, anche in considerazione della mancata modifica ad opera della "novella" del 2015 della fattispecie penale in esame sul punto della natura "annuale" della dichiarazione - che, in una fattispecie analoga alla presente in cui una dichiarazione del 2004 (infedele) era stata "corretta" con una dichiarazione integrativa nel 2007, nel ribadire che il reato di cui all'art. 4, d. Igs. n. 74 del 2000 è di natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale relativa ad una delle imposte indicate nell'art. 4 del D.lgs. 74 del 2000, ha ulteriormente precisato che "alcuna rilevanza assume, ai fini della integrazione del reato, la successiva dichiarazione integrativa effettuata anni dopo" (nella specie, in data 15 giugno 2007).

9. Alla stregua di quanto sopra esposto, pertanto, l'impugnazione del P.M. deve essere rigettata, restando assorbiti gli ulteriori profili di doglianza che investono, quanto al secondo profilo di censura, la questione del superamento delle soglie di punibilità indicate dalla fattispecie penale presupponendo, evidentemente, la rilevanza penale della dichiarazione "integrativa" (da escludersi nel caso di specie per le ragioni dianzi evidenziate); quanto al terzo profilo di censura, la doglianza relativa al malgoverno della disposizione di cui all'art. 425 c.p.p. si appalesa, all'evidenza, infondata, posto che il GUP, nell'adottare la declaratoria di non luogo a procedere, ha limitato la valutazione alla (ir)rilevanza penale del fatto facendo espresso riferimento (anche, e, dunque, per tale profilo assorbente, del tutto correttamente) alla mancata inclusione della ipotesi della indicazione nella dichiarazione integrativa di quegli elementi passivi (e della mancata indicazione nella medesima di elementi attivi sottratti all'imposizione) nel fuoco della fattispecie penale, legittimandosi pertanto - sebbene con la diversa formula che questa Corte provvede a rettificare ex art. 619 c.p.p. (Sez. 1, n. 4899 del 13/12/1991 - dep. 21/01/1992, P.M. in proc. Sassola ed altri, Rv. 188964) - la pronuncia di non luogo a procedere.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero; dispone correggersi sull'originale della sentenza impugnata la formula terminativa nel senso che laddove è scritto "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", deve leggersi ed intendersi "perché il fatto non sussiste".

Si comunichi a cura della cancelleria/sede al tribunale di Pordenone per le prescritte annotazioni sull'originale della sentenza.