Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 maggio 2017, n. 13730

Tributi - IRAP - Avvocato - Presentazione dichiarazione con imposta a debito - Mancato versamento - Imposta non dovuta per mancanza presupposto - Emendabilità dichiarazione in sede processuale

 

Fatti di causa

 

L.M., avvocato, propone ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, accogliendo l'appello dell'Agenzia delle entrate, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso introduttivo avverso la cartella di pagamento emessa all'esito della liquidazione in base alla dichiarazione dell'IRAP per l'anno 2005, e ciò in quanto si trattava di mancato pagamento di IRAP regolarmente dichiarata.

Secondo il giudice d'appello, infatti, in tali casi il contribuente doveva ottemperare al pagamento dell'imposta dichiarata, e successivamente chiederne il rimborso.

Nel merito, ha precisato "per maggior chiarezza che dall'esame degli atti l'aumentare del reddito dichiarato dalla contribuente non esclude il pagamento dell'imposta, avvalendosi di un minimo di organizzazione con apporti di lavoro altrui... In conclusione, l'appello dell'ufficio deve essere accolto...".

L'Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all'udienza di discussione.

 

Ragioni della decisione

 

Col primo motivo la contribuente denuncia omessa pronuncia, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., sull'eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello dell'ufficio - vale a dire l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto l'impugnazione della cartella avrebbe potuto riguardare solo i vizi propri della cartella medesima - in quanto formulato per la prima volta in appello.

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, censura la decisione per aver ritenuto che, in forza della compilazione della dichiarazione dei redditi, fosse obbligo del contribuente far luogo al pagamento dell'imposta, e che il provvedimento emesso a seguito della procedura di controllo automatizzato non costituisse atto impugnabile.

Con il terzo motivo, denunciando "violazione dell'art. 2 d.lgs. 446/1997 e dell'art. 49 del tuir del 1986; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.)", critica le affermazioni della sentenza relative al merito dell'accertamento per aver utilizzato come riferimento l'entità del reddito dichiarato ed aver richiamato elementi privi di qualsivoglia riscontro, come "l'apporto di lavoro altrui", di cui non vi è traccia negli atti di causa, senza chiarire a cosa o a chi ci si intendesse riferire.

Il secondo motivo del ricorso, il cui esame logicamente precede, è fondato.

"L'impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - come questa Corte ha avuto modo di chiarire - non è preclusa dal fatto che l'atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione" (Cass. n. 9872 del 2011).

Si è in particolare precisato che "in tema d'IRAP, il contribuente può contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, anche in sede d'impugnazione della cartella di pagamento, nonostante la scadenza del termine di cui all'art. 2, comma 8 bis, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono, in linea di principio, sempre emendabili, sin in sede processuale, ove per effetto dell'errore commesso derivi, in contrasto con l'art. 53 Cost., l'assoggettamento del dichiarante ad un tributo più gravoso di quello previsto dalla legge" (Cass. n. 4049 del 2015).

E' del pari fondato il terzo motivo.

La ratio decidendi della sentenza impugnata - secondo cui il contribuente è assoggettato all'imposta in quanto "dall'esame degli atti l'aumentare del reddito dichiarato dalla contribuente non esclude il pagamento dell'imposta, avvalendosi di un minimo di organizzazione con apporti di lavoro altrui" - non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora sì tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della "autonoma organizzazione", il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; al riguardo, si è più recentemente chiarito come il detto requisito dell'autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione si avvalga di lavoro altrui non eccedente l'impiego di un dipendente con mansioni esecutive; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell'assenza delle condizioni anzidette (ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007; Cass. sezioni unite 10 maggio 2016, n. 9451).

Per un verso, infatti, la sentenza si rivela non adeguatamente, perché contraddittoriamente ("un minimo di organizzazione..."), e insufficientemente ("con apporti di lavoro altrui...") motivata; per altro verso sembra essere incorsa nell'errore di diritto ad essa addebitato nell'assegnare rilevanza centrale all'entità del reddito della contribuente, che ai fini dell'imposta in esame costituisce un dato "neutro".

Il secondo ed il terzo motivo devono essere pertanto accolti, assorbito l'esame del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in differente composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio in diversa composizione.