Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 marzo 2018, n. 7733

CCNL giornalisti - Qualifica di collaboratore fisso - Rapporto formalmente autonomo - Esclusa l'osservanza di un orario giornaliero - Quotidianità della prestazione - Sostenuta violazione dei canoni ermeneutici - Riesame del merito - Ricorso inammissibile

 

Svolgimento del processo

 

1) La corte d'Appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Massa che aveva riconosciuto a G.C. la qualifica di collaboratore fisso ai sensi dell'art. 2 del CCNL giornalisti per il periodo di lavoro dal 1.3.1987 al 19.3.2004, ma respinto la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive richieste per essere il compenso ricevuto, tenuto conto della prescrizione, superiore a quello previsto per la qualifica riconosciuta.

2) La Corte territoriale ha respinto l'appello del C. con riferimento alla richiesta di riconoscimento della qualifica di redattore ordinario, ritenendo che la qualifica di collaboratore fisso andasse riconosciuta sulla base dell'alto numero di pezzi pubblicati e della loro frequenza e ha accolto il gravame solo con riferimento alla lamentata non decorrenza della prescrizione.

3) In particolare ha ritenuto la Corte genovese che la società datrice di lavoro non aveva dimostrato che il rapporto di lavoro fosse assistito da stabilità reale e che inoltre si trattava di un rapporto formalmente autonomo, in cui ben diversa era la condizione psicologica del lavoratore rispetto a chi sin dall'inizio sa di godere di tutela reale. Quanto all'ammontare delle differenze retributive, la sentenza impugnata ha ritenuto che, non avendo l'appellante fornito elementi in base ai quali si potesse affermare anche l'importanza delle materia da lui trattate, non sussistevano i presupposti per discostarsi dalla quantificazione effettuata secondo i minimi tabellari previsti dal CCNL.

4) Avverso la sentenza propone ricorso C. affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la Società poligrafici Editoriale spa, svolgendo ricorso incidentale, a cui ha opposto difese il C. con controricorso. Entrambe le parti hanno poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

5) Con il primo motivo del ricorso principale C. deduce la violazione degli artt. 1, 2 e 7 del CCNL del settore giornalistico, anche con riferimento agli art. 1362, 1363 e 1367 c.c., ai sensi (360 c. 1, n. 3 c.p.c.) e poi anche erronea ricognizione della fattispecie concreta con insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi e controversi: non avrebbe considerato la corte di merito che egli svolgeva attività giornalistica in sede, con presenza quotidiana, che il numero dei pezzi forniti alla redazione era di circa cento al mese, come emerso anche dalle testimonianze. Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata abbia erroneamente considerato, quale elemento determinante, l'osservanza di un orario giornaliero, anziché la quotidianità della prestazione, facendo riferimento ad una sola testimonianza che aveva escluso l'osservanza di un orario giornaliero. Ciò in violazione anche dell'art. 7 del ccnl che prevede, in ragione della peculiarità dell'attività giornalistica, la possibilità di concordare una distribuzione dell'orario di 36 ore settimanali in misura differenziata nei cinque giorni di lavoro settimanali. Inoltre avrebbe errato la corte territoriale nel non tener presente quanto riferito da tutti i testi escussi in primo grado, che avevano riferito sulla sua presenza quotidiana presso la redazione di Carrara del quotidiano. La nazione.

6) Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce: una erronea ricognizione della fattispecie concreta con riferimento alla congruità della retribuzione prevista dall'art. 2 del CNLG con conseguente violazione e/o falsa applicazione dei principi posti da tale norma in relazione ai canoni ermeneutici previsti art. 1362, 1363, 1366 c.c..

Secondo il ricorrente avrebbe errato la corte territoriale, anche sulla base della espletata CTU, nel riconoscere soltanto una somma determinata con riferimento ad otto collaborazioni mensili, mentre dalla documentazione prodotta risultavano essere una media di circa un centinaio al mese, dal 1987 al 2004, avendo omesso qualsiasi motivazione sul perché dell'applicazione dei minimi inderogabili previsti dal CCNL, che il contratto prevede nel massimo in sole 8 collaborazioni mensili, ma soltanto quale parametro residuale inderogabile, in assenza di ulteriori elementi diretti a valutare l'apporto lavorativo del collaboratore, che nel caso in esame sarebbe stato notevole, attesa la produzione di una media di 100 collaborazioni mensili.

7) Entrambi i motivi, che possono valutarsi congiuntamente essendo in qualche modo connessi, sono inammissibili per più ordini di ragioni. Va premesso che la ricorrente denuncia formalmente una violazione e falsa applicazione in particolare degli articoli 1, 2 e 7 del ccnl giornalistico, per un' errata ricognizione della fattispecie concreta rispetto a quella regolata dalle norme contrattuali, anche con riferimento ad una sostenuta violazione dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 e ss. c.c.. Tuttavia in primo luogo il ricorrente non trascrive nel ricorso le norme citate, in particolare l'art. 1 e l'art. 2, nella loro parte rilevante ai fini delle censure formulate, ma neanche indica con precisione quale sia la collocazione nel fascicolo di parte dei contratti collettivi, vigenti ratione temporis, che dichiara aver depositato. Una simile omissione,che viola il principio di autosufficienza è stata più volte censurata da questa corte, che ha ribadito l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr Cass. n. 195/2016), non essendo sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all'intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione, anche numerica, del documento nell'elenco degli atti che si dichiarano come prodotti (Cass. 4350/2015).

8) Inoltre, quanto al primo motivo il ricorrente lamenta anche la mancata valutazione da parte della corte territoriale dello svolgimento di attività lavorativa quotidiana nella redazione di articoli sportivi, richiesta e impartita dai responsabili della redazione, risultante dall'istruttoria testimoniale, che peraltro solo in parte viene riportata in ricorso. Ciò a suo dire avrebbe comportato I' errata "ricognizione della fattispecie concreta", rispetto alla riconducibilità della sua attività a quella di redattore ordinario, anche per insufficiente e contraddittoria motivazione. Anche tali censure sono tuttavia inammissibili perché tendenti unicamente a richiedere un inammissibile riesame del merito laddove la corte ha escluso, con motivazione non inficiata di illogicità o contraddittorietà,la riconducibilità della prestazione a quella del redattore ordinario, che è caratterizzata dall'osservanza di un orario fisso.

9) Analogo giudizio di inammissibilità va fatto anche in relazione al secondo motivo di ricorso, atteso che le doglianze che vengono mosse alla determinazione delle differenze retributive riconosciute dalla corte genovese e quantificate in base alla CTU disposta in appello, attengono ai criteri utilizzati per tale quantificazione, che non avrebbero tenuto conto dell’enorme numero di pezzi scritti in media ogni mese, in misura altamente superiore agli otto, come parametro retributivo indicato nell'art. 2 del ccnl. Anche tale censura, lungi dal muovere critiche di non corretta applicazione della norma di cui all'art. 2 citato, che si sostiene violata, finisce per contrapporre una quantificazione, ottenuta attraverso un calcolo puramente matematico dei pezzi scritti negli anni dal C., alla valutazione fatta dalla corte che correttamente aveva motivato ritenendo non raggiunta la prova della particolare importanza delle materie trattate in tali articoli, circoscritte a sole manifestazioni sportive locali.

10) Va pertanto dichiarata l'inammissibilità del ricorso principale.

11) Ne consegue, ai sensi dell'art. 334 2° comma, l'inefficacia del ricorso incidentale tardivo della società P.E. spa (Cfr da ultimo Cass. 24291/2016), con cui si deduce la violazione e falsa applicazione art.2094 c.c. per inesistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro, oltre che un' errata valutazione delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di primo grado.

La reciproca soccombenza giustifica le totale compensazione delle spese del presente grado tra le parti. Non va posto a carico del ricorrente incidentale il pagamento del doppio del contributo unificato, atteso che tale sanzione consegue alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, come statuito dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 cfr Cass. n. 18348/2017).

 

P.Q.M.

 

Dichiara l'inammissibilità del ricorso principale, dichiara l'inefficacia del ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.