Prassi - PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - Comunicato 12 maggio 2017, n. 29

Il Consiglio dei ministri si è riunito oggi, venerdì 12 maggio 2017, alle ore 11.25 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente Paolo Gentiloni. Segretario la Sottosegretaria alla Presidenza Maria Elena Boschi

 

RIFORMA DEL TERZO SETTORE, DELL’IMPRESA SOCIALE E DEL CINQUE PER MILLE

 

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, ha approvato, in esame preliminare, tre decreti legislativi di attuazione della legge delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (legge 6 giugno 2016, n. 106).

Di seguito le principali novità.

 

1.Codice del Terzo settore

 

Il nuovo Codice riordina tutta la normativa riguardante gli enti del Terzo settore al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione dei principi costituzionali.

In questa prospettiva, le amministrazioni pubbliche saranno chiamate a promuovere la cultura del volontariato, in particolare tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgere nell’ambito delle strutture e delle attività scolastiche, universitarie ed extrauniversitarie, valorizzando le diverse esperienze ed espressioni di volontariato, con il coinvolgimento delle organizzazioni di volontariato e di altri enti del Terzo settore nelle attività di sensibilizzazione e promozione.

Nell’opera di razionalizzazione vengono anzitutto definiti gli enti del Terzo settore, individuati nelle organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, enti filantropici, imprese sociali, incluse le cooperative sociali, reti associative, società di mutuo soccorso, e in ogni altro ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi.

Sono altresì puntualmente individuate le attività di interesse generale esercitate dagli enti del Terzo settore in via esclusiva o principale.

Il Codice stabilisce le disposizioni generali e comuni applicabili, nel rispetto del principio di specialità, ai diversi enti che compongono il Terzo settore, dettando disposizione in materia, tra l’altro, di organizzazione, amministrazione e controllo, di raccolta fondi, anche mediante sollecitazione al pubblico o cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, di contabilità e trasparenza.

In base alla loro dimensione, gli enti del Terzo settore saranno chiamati a pubblicare sul proprio sito internet il bilancio sociale, redatto secondo apposite linee guida, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte, nonché gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti e agli associati.

Quanto ai lavoratori degli enti del Terzo settore, oltre a statuire espressamente il loro diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi, il Codice introduce un criterio di proporzionalità in base al quale, in ciascun ente, la differenza retributiva tra lavoratori non può essere superiore al rapporto di uno a sei, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda. Specifici limiti sono poi disciplinati in relazione ai compensi eventualmente previsti per le cariche sociali, nonché ai trattamenti economici per i lavoratori subordinati o autonomi degli enti.

Viene inoltre semplificata la procedura di acquisto della personalità giuridica e vengono istituiti, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il "Registro unico nazionale del Terzo settore", al quale gli enti sono tenuti a iscriversi al fine di poter accedere ai benefici, non solo di carattere tributario, ad essi riservati, e il Consiglio nazionale del terzo settore, organo consultivo e rappresentativo degli enti.

Con riferimento alle misure di promozione e sostegno del Terzo settore, il Codice prevede, tra l’altro:

- la revisione della definizione di enti non commerciali ai fini fiscali e l’introduzione di un nuovo e articolato regime tributario di vantaggio, che tiene conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che prevede la determinazione forfettaria del reddito d’impresa in favore degli enti del Terzo settore non commerciali;

- l’istituzione del social bonus, ossia un credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore degli enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata assegnati ai suddetti enti;

- una serie di agevolazioni in materia di imposte indirette (successioni e donazioni, registro, ipotecaria e catastale) con particolare riferimento agli immobili utilizzati dagli enti, nonché in materia di tributi locali;

- la ridefinizione della disciplina delle detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali in denaro o in natura a favore degli enti;

- specifiche disposizioni in ordine al regime fiscale delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale;

- la nuova disciplina in materia di finanza sociale concernente i "titoli di solidarietà", finalizzata a favorire il finanziamento ed il sostegno delle attività di interesse generale svolte dagli enti del Terzo settore non commerciali iscritti nell’apposito registro;

- un regime fiscale agevolato per le attività di social lending svolta dai gestori dei portali on line;

- misure per favorire l’assegnazione in favore degli enti di immobili pubblici inutilizzati per fini istituzionali;

- la disciplina dello specifico Fondo istituito per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale promossi dagli enti del Terzo settore.

Il Codice prevede, infine, la disciplina delle attività di monitoraggio, di vigilanza e di controllo, anche di natura fiscale, nonché quella di carattere sanzionatorio.

 

2.Revisione della disciplina in materia di impresa sociale

 

Il decreto ha l’obiettivo di migliorare la disciplina dell’impresa sociale, colmando le attuali lacune, relative soprattutto al regime fiscale, e a rimuovere le principali barriere al suo sviluppo, rafforzandone il ruolo nel Terzo settore, anche in chiave di sistema.

Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite in forma societaria, che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività.

L’impresa sociale rimane dunque una qualifica che enti costituiti in una qualsiasi forma giuridica (associazione, fondazione, società, cooperativa) possono assumere se rispettano le diverse norme di qualificazione dettate nel decreto, ferma restando la qualificazione di diritto come impresa sociale prevista dalla legge delega per le cooperative sociali e i loro consorzi.

Si ridefinisce, ampliandolo, l’ambito delle attività di interesse generale da esercitare affinché un ente possa assumere tale qualifica. Tra tali attività sono incluse, a titolo esemplificativo: le prestazioni sanitarie riconducibili ai Livelli essenziali di assistenza (LEA); i servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente; gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio; la ricerca scientifica di particolare interesse sociale; la formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo; la cooperazione allo sviluppo; il commercio equo e solidale; il microcredito; l’agricoltura sociale e l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche.

Si considera comunque di interesse generale, indipendentemente dal suo oggetto, l’attività dell’impresa sociale nella quale, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, sono occupati, secondo specifiche percentuali in relazione al personale, lavoratori molto svantaggiati, persone svantaggiate o con disabilità e persone senza fissa dimora che versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un’abitazione in autonomia.

L’attività di impresa di interesse generale deve essere svolta "in via principale", ossia deve generare almeno il 70 per cento dei ricavi complessivi. Quale ente del Terzo settore, l’impresa sociale non può avere come scopo principale quello di distribuire ai propri soci, amministratori, dipendenti, ecc., gli utili ed avanzi di gestione, i quali devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. Tuttavia, al fine di favorire il finanziamento dell’impresa sociale mediante capitale di rischio, il decreto, in attuazione della delega, ha introdotto la possibilità per le imprese sociali (costituite in forma di società) di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci.

In particolare, l’impresa sociale, costituita in forma societaria, può destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio in cui gli utili sono stati prodotti, oppure alla distribuzione, anche mediante l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

Per le imprese sociali è inoltre possibile, nel limite anzidetto, disporre erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano tuttavia fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società da questa controllate; tali erogazioni devono essere finalizzate alla promozione di specifici progetti di utilità sociale.

Anche per le imprese sociali si prevede un criterio di proporzionalità del trattamento retributivo tra lavoratori dipendenti, che in questo caso, in ragione della natura d’impresa dell’attività esercitata, non può essere superiore al rapporto di uno a otto, da calcolarsi sempre sulla base della retribuzione annua lorda.

Ai fini di promozione e sviluppo dell’impresa sociale, si introducono inoltre importanti misure di sostegno, anche fiscale, quali la detassazione degli utili o avanzi di gestione che incrementino le riserve indivisibili dell’impresa sociale in sospensione d’imposta e che vengano effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio (analogamente a quanto già previsto per le cooperative sociali e per i consorzi tra piccole e medie imprese). Si prevedono inoltre incentivi fiscali volti a favorire gli investimenti di capitale nelle imprese sociali, altrimenti penalizzate rispetto alle società lucrative che non soggiacciono ai suddetti limiti di remunerazione del capitale.

Infine, relativamente agli obblighi di trasparenza, l’impresa sociale è tenuta a pubblicizzare, anche attraverso il proprio sito internet, il bilancio sociale, da redigersi in ossequio a specifiche linee guida da adottarsi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Si intensificano poi i vincoli a beneficio degli stakeholder, aumentandone il livello minimo di coinvolgimento, in linea con quanto previsto a livello europeo come caratteristica distintiva dell’entità dell’economia sociale, prevedendo tra l’altro, per le imprese sociali di grandi dimensioni, il diritto dei lavoratori ed eventualmente anche degli utenti di nominare almeno un componente degli organi di amministrazione e di controllo.

 

3. Disciplina dell’istituto del "cinque per mille" dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef)

 

Il decreto prevede il completamento della riforma strutturale dell’istituto del cinque per mille, già reso permanente dalla legge di stabilità 2015, attraverso l’individuazione delle modalità per la razionalizzazione e la revisione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l’accesso al beneficio, la semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi spettanti, nonché l’introduzione di obblighi di pubblicità delle risorse erogate, attraverso un sistema improntato alla massima trasparenza, con la previsione delle conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto dei citati obblighi.

Rispetto alla disciplina precedente, le nuove norme allargano la platea dei destinatari del beneficio, estendendola a tutti gli enti del Terzo settore iscritti nel Registro unico nazionale. Rimangono inalterati i restanti settori di destinazione del beneficio: il finanziamento della ricerca scientifica e dell’università; il finanziamento della ricerca sanitaria; il sostegno delle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente; il sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche, riconosciute ai fini sportivi dal Comitato olimpico nazionale italiano, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale; la tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Il decreto, inoltre, prevede una serie di obblighi di trasparenza e informazione, sia per i soggetti beneficiari che per l’amministrazione erogatrice. In particolare, i soggetti beneficiari sono tenuti ad adempiere a un duplice obbligo: il primo, nei confronti dell’amministrazione erogatrice, comporta la redazione e la trasmissione, entro un anno dalla ricezione delle somme, di un apposito rendiconto, unitamente ad una relazione illustrativa, che descriva la destinazione e l’utilizzo del contributo percepito, secondo canoni di trasparenza, chiarezza e specificità. Il secondo obbligo ha ad oggetto la pubblicazione, sul proprio sito web, degli importi percepiti e del relativo rendiconto. In caso di inadempimento ai predetti obblighi, si prevede un sistema sanzionatorio che comporta una preventiva diffida ad adempiere entro il termine di 30 giorni e, solo in caso di persistenza dell’inadempimento, l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria, corrispondente al 25% del contributo percepito.

Le amministrazioni erogatrici, dal canto loro, hanno l’obbligo di pubblicare sul proprio sito web l’elenco dei soggetti destinatari del contributo, con l’indicazione del relativo importo e del link al rendiconto pubblicato sul sito web del beneficiario.

 

TRATTAMENTO PENSIONISTICO DEI GIORNALISTI E SOSTEGNO ALLE AZIENDE EDITORIALI IN CRISI

 

Disposizioni per l’incremento dei requisiti e la ridefinizione dei criteri per l’accesso ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata dei giornalisti e per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editrici, in attuazione dell’articolo 2, commi 4 e 5, lettera a), della legge 26 ottobre 2016, n. 198 (decreto legislativo - esame definitivo)

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro per lo sport con delega all’editoria Luca Lotti, ha approvato, in esame definitivo, un decreto legislativo che prevede disposizioni per l’incremento dei requisiti e la ridefinizione dei criteri per l’accesso ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata dei giornalisti e per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editrici, in attuazione della legge di riforma dell’editoria (legge 26 ottobre 2016, n. 198).

La nuova disciplina estende alle imprese editrici il regime vigente per la generalità delle imprese del comparto industriale in tema di accesso alle misure di integrazione salariale straordinaria; in particolare, vengono uniformati i requisiti di accesso, così come le causali per le quali le imprese possono chiedere i trattamenti di integrazione salariale, ovvero la riorganizzazione aziendale in presenza di crisi, la crisi aziendale (compresi i casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa anche in costanza di fallimento) e il contratto di solidarietà. Si introduce inoltre, a carico delle imprese editoriali che accedono alla cassa integrazione, un contributo crescente in relazione alla durata del beneficio, e viene fissata la durata massima dei trattamenti (24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile) in conformità a quanto prescritto per le imprese degli altri comparti.

Per quanto riguarda i nuovi requisiti di accesso ai trattamenti anticipati di vecchiaia per i giornalisti, si stabilisce che il requisito di anzianità contributiva sia pari a 25 anni, in luogo degli attuali 18. Inoltre, si prevede l’applicazione del meccanismo di adeguamento del requisito all’aspettativa di vita, secondo i criteri generali oggi vigenti nell’ordinamento pensionistico. Il trattamento in questione, infine, può essere fruito con un anticipo massimo di cinque anni rispetto all’età anagrafica stabilita per il diritto alla pensione di vecchiaia nel regime previdenziale dell’INPGI, che è stata recentemente innalzata. Si confermano, infine, il divieto per i giornalisti prepensionati di mantenere rapporti di collaborazione e l’obbligo per gli editori di effettuare nuove assunzioni, nel rapporto di un nuovo assunto ogni tre prepensionamenti. In conformità alle osservazioni delle Commissioni parlamentari, si prevede che, per gli anni 2017 e 2018, ai giornalisti interessati dai piani non recepiti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, si applichino, ai fini del prepensionamento, i requisiti anagrafici di 58 anni per le donne e 60 anni per gli uomini, fermo restando il requisito dei 25 anni di anzianità contributiva.

 

RIFORMA DELLA P.A., DOCUMENTO UNICO DI PROPRIETÀ DEGLI AUTOVEICOLI

 

Razionalizzazione dei processi di gestione dei dati di circolazione e di proprietà di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, finalizzata al rilascio di un documento unico ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera d), della legge n. 124 del 2015 (decreto legislativo - secondo esame preliminare)

Il Consiglio dei ministri, su proposta della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, ha approvato, in secondo esame preliminare, un decreto legislativo che, in attuazione della legge di riforma della Pubblica Amministrazione, introduce dal 1° luglio 2018 il documento unico di circolazione per gli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi.

La nuova "carta di circolazione" sostituirà i due documenti attuali: il certificato di proprietà del veicolo, di competenza dell’Aci, e il libretto di circolazione prodotto dalla Motorizzazione civile, come previsto negli altri Paesi europei, e consentirà di tagliare i costi di produzione, archiviazione e controllo a carico dell’amministrazione. All’unico documento, inoltre, corrisponderà una tariffa unica, che sostituirà i diritti di Motorizzazione e gli emolumenti per l’iscrizione o la trascrizione di ogni veicolo al Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Tutti i risparmi saranno destinati a ridurre i costi per l’utenza.

Le carte di circolazione e i certificati di proprietà già emessi alla data di entrata in vigore del documento unico manterranno la loro validità fino alla scadenza.

 

LEGGI REGIONALI

 

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali Enrico Costa, ha esaminato cinque leggi delle Regioni e delle Province Autonome e ha quindi deliberato:

- di impugnare le seguenti leggi

1) legge Regione Lazio n. 2 del 10/03/2017, recante "Disposizioni per la realizzazione, manutenzione, gestione, promozione e valorizzazione della rete dei cammini della Regione Lazio. Modifiche alla legge regionale 6 agosto 2007, n. 13, concernente l’organizzazione del sistema turistico laziale e successive modifiche", in quanto varie norme, che disciplinano la gestione di una rete escursionistica denominata «rete di cammini», che interessa tutto il territorio regionale, compreso quello ricadente nei parchi nazionali, nelle riserve naturali statali e nelle aree protette situate nella regione Lazio, contrastano con la legislazione statale in materia di aree protette, ascrivibili alla competenza esclusiva statale in tema di "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema". Ne consegue la violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), e sesto comma, della Costituzione nonché la violazione dell’art. 118, primo e secondo comma, della Costituzione;

2) legge Regione Sardegna n. 4 del 16/03/2017, recante "Ridefinizione dei confini tra i Comuni di Magomadas e Tresnuraghes", in quanto una norma, prevedendo la modifica delle circoscrizioni di due comuni mediante la ridefinizione dei loro confini, senza che risulti effettuata la consultazione delle popolazioni interessate attraverso il referendum popolare, si pone in contrasto con quanto sancito dall’articolo 45 dello Statuto speciale, che su questo punto è conforme a quanto previsto anche dall’articolo 133, della Costituzione. L’articolo 45 dello Statuto della regione Sardegna infatti attribuisce alla Regione la facoltà, di "istituire" con legge "nel proprio territorio nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni", "sentite le popolazioni interessate".

- di non impugnare le seguenti leggi

1) legge Regione Piemonte n. 2 del 20/03/2016, recante "Disposizioni in materia di decadenza dall’assegnazione degli alloggi di edilizia sociale. Modifiche alla legge regionale 17 febbraio 2010, n. 3 (Norme in materia di edilizia sociale)";

2) legge Regione Sardegna n. 3 del 16/03/2017, recante "Modifiche alla legge regionale 11 aprile 2016, n. 6 (Bilancio di previsione per l’anno 2016 e bilancio pluriennale per gli anni 2016-2018) conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n.6 del 2017";

3) legge Regione Emilia Romagna n. 4 del 27/03/2017, recante "Norme per la tutela dei consumatori e degli utenti. Abrogazione della Legge Regionale 7 dicembre 1992, n. 45 (Norme per la tutela dei consumatori e degli utenti)".