Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8816

Licenziamento disciplinare - Danno del patrimonio aziendale - Valore del bene sottratto - Proporzionalità della sanzione - Accertamento

 

Fatti di causa

 

Con ricorso al Tribunale di Palermo del 17.8.2011 S.M., già dipendente di T. con mansioni di tecnico di manovra, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 18.11.2010 per avere prelevato durante il turno lavorativo del giorno 3.11.2010 circa venti litri di gasolio dal carrello di manovra; deduceva la alterazione momentanea delle proprie condizioni psichiche e, comunque, la mancanza di proporzionalità della sanzione. Il giudice del lavoro, con sentenza del 22.11.2012 (nr. 4773/2012), rigettava la domanda.

La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 3.4-4.6/2014 (nr. 717/2014) rigettava l'appello del M.

La Corte territoriale rilevava che con l'unico motivo di gravame l'appellante lamentava la erroneità della valutazione del Tribunale in punto di proporzionalità della sanzione.

Osservava che non era dubbia la adeguatezza della sanzione; il fatto commesso costituiva reato in danno del patrimonio aziendale mentre era del tutto irrilevante la limitata entità del valore del bene sottratto.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.M., articolando un unico motivo.

Ha resistito con controricorso T. spa.

Le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Si dà atto che il collegio ha autorizzato l'estensore a redigere motivazione semplificata.

Con l'unico motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione o falsa applicazione dell'articolo 2119 cc. in relazione alla statuizione proporzionalità tra illecito e sanzione espulsiva nonché di ininfluenza, ai fini della integrazione della giusta causa di licenziamento, della tenuità del danno patrimoniale cagionato .

Ha dedotto che il giudizio sulla gravità dell'illecito non poteva prescindere dal rilievo della entità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro.

Nella fattispecie di causa la sottrazione di venti litri di gasolio, il cui valore corrispondeva a circa 25-30 euro, avrebbe potuto giustificare una sanzione conservativa anche in ragione della assenza di precedenti disciplinari gravi e della lunga durata del rapporto di lavoro (22 anni); la condotta era imputabile ad una debolezza momentanea piuttosto che alla determinazione di agire in violazione degli obblighi contrattuali.

Doveva altresì considerarsi che la qualifica del ricorrente - tecnico di manovra- non comportava il maneggio di carburante per cui la condotta non lasciava dubitare della corretta del futuro adempimento.

Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

E' inammissibile nella parte in cui sottopone a questa Corte una nuova valutazione delle circostanze di fatto, in particolare in punto di intenzionalità della condotta di sottrazione del carburante. La Corte di merito nell'esercizio del suo potere discrezionale di ricostruzione del fatto storico, ha accertato la volontarietà della condotta nella sua più grave forma delle premeditazione (si veda a pagina due della sentenza: « tali modalità di consumazione dell'illecito, da un lato, escludono la asserita occasionalità della condotta e, dall'altro, ne dimostrano la pianificazione»); su tale giudizio non può essere sollecitato un nuovo esame, che esula dalle funzioni di questa Corte di legittimità.

Peraltro nella fattispecie neppure sarebbe deducibile il vizio della motivazione, sussistendo la preclusione di cui all'articolo 348 ter commi 4 e 5 cpc, applicabile ratione temporis (il ricorso d'appello è del 21.5.2013), per la conformità dell'accertamento di fatto compiuto nei due gradi di merito.

Il motivo è infondato per quanto attiene alla dedotta violazione dell'articolo 2119 cc.

Questa Corte ha reiteratamente affermato (ex plurimis, Cass. nr. 13168/2015 Cass. n. 19684/14, Cass. n. 16864/06 e Cass. n. 16260/04) che la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e che ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non già l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti.

La Corte territoriale nel valorizzare la oggettiva gravità della condotta di sottrazione di un bene aziendale, sotto il profilo della patente violazione dell'obbligo di fedeltà e la intensità del dolo non è dunque incorsa nell'errore di diritto denunziato.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 DPR 115/2002) - della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata .

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 100 per spese ed € 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.