Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8823

Lavoro - Divieto di intermediazione di manodopera - Violazione - Contribuzione - Cartelle di pagamento - Notifica

 

Fatti di causa

 

M.P.P., con separati ricorsi successivamente riuniti, proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Pordenone contro le cartelle di pagamento notificate per conto dell'Inps e dell’Inail e aventi ad oggetto contributi, premi, sanzioni e interessi relativi a lavoratori assunti per il tramite di altro soggetto, in violazione del divieto di intermediazione di manodopera. La violazione era stata accertata a seguito di ispezione del 10/10/2001.

Il Tribunale accoglieva le opposizioni, ma la sentenza era impugnata dagli istituti previdenziale e assicurativo dinanzi alla Corte d'appello di Trieste, che, con sentenza pubblicata il 27/12/2010 e all'esito di una consulenza tecnica d'ufficio, determinava gli importi dovuti dal P. a titolo di contributi sanzioni e interessi di mora nei confronti dell'Inps, nonché di premi, sanzioni e interessi in favore dell'Inail, al cui pagamento condannava l'appellato.

Contro la sentenza, il P. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi, cui resistono con controricorso l'Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti, e l'Inail, la quale deposita anche memoria. Non svolge attività difensiva la U. s.p.a.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il P. denuncia l'omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che la Corte territoriale ha attribuito efficacia confessoria alle dichiarazioni da lui agli agenti verbalizzanti e non sottoscritte, senza indagare sull'effettiva sussistenza dell'animus confitendi e sulle ragioni del suo rifiuto a sottoscrivere.

2. Con il secondo motivo, la parte denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ., nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. In sintesi, rileva che la Corte d'appello ha attribuito valore privilegiato al verbale dichiarazioni in esso riportate, senza che le stesse fossero state confermate in giudizio dai soggetti che le avevano rese.

3. I motivi, che si affrontano congiuntamente, sono infondati. La doglianza relativa alla violazione della norma di cui all'art. 2697 cod. civ. è configurabile, integrando motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1°, n. 3, cod. proc. civ., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 19/6/2014, n. 13960). Diversamente, laddove la censura investe la valutazione delle risultanze istruttorie (attività regolata dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) il relativo vizio può essere fatto valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass. 17/6/2013, n. 15107; Cass. 4/4/2013, n. 8315) ed esso deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20/6/2006, n. 14267; Cass. 26/3/2010, n. 7394). Sul punto, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, la sentenza non contiene alcuna affermazione in contrasto con il principio su indicato, che anzi è stato correttamente esplicitato, lì dove la Corte ha affermato che «la prova dell'esistenza dei rapporti di lavoro e quindi dell'onere contributivo... è a carico degli enti opposti e convenuti» (pag. 11 della sentenza).

4. Con riguardo agli artt. 115 e 116 c.p.c., vanno poi richiamati i principi già espressi da questa Corte secondo cui a) la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 10/6/2016, n. 11892); b) la deduzione della violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: per contro, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Ne consegue l'inammissibilità delle doglianze prospettate sotto il profilo della violazione di legge ai sensi del n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ. dal momento che il ricorrente non evidenzia né in quale parte della sentenza risultino affermazioni in contrasto con i principi che presidiano la ripartizione degli oneri probatori, ovvero con l'art. 115 nel senso su indicato, né in che modo la Corte abbia violato l'art. 116 c.p.c. attribuendo valore di prova legale a prove che non l'avevano o negandolo a prove che lo avevano (Cass. 19/6/2014, n. 13960; Cass. 20/12/2007, n. 26965; v. pure, Cass. 10/6/2016, n. 11892; Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 9/7/2015, n. 14324; Cass. 27/11/2014, n. 25216). Anche sul punto, la Corte non è incorsa in alcuna delle violazioni di legge denunciate: peraltro, l'affermazione della Corte secondo cui la dichiarazione resa dal P. all'ispettore verbalizzante dà luogo ad una confessione stragiudiziale resa alla parte, se non può essere condivisa alla luce dei precedenti di questa Corte (Cass. 7 settembre 2015, n. 17702), nondimeno non comporta la cassazione della sentenza, dal momento che in essa tale dichiarazione è stata valutata dal giudice del merito non quale prova legale bensì nel contesto delle altre risultanze probatorie, come di seguito si dirà.

5. Infine, con riguardo ai verbali ispettivi, questa Corte ha più volte affermato che nei giudizi in esame il verbale di accertamento fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata del documento non si estende agli apprezzamenti e alle valutazioni del verbalizzante (da ultimo, Cass. 7/11/2014, n. 23800, con ampi richiami giurisprudenziali).

6. In coerenza con tale principio è stato affermato i verbali non fanno fede dei fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, né dei fatti della cui verità essi si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. n. 9111/95; Cass. n. 10569/01).

7. Nella specie, la Corte di merito ha applicato correttamente tali principi, attribuendo al verbale ispettivo, confermato dai verbalizzanti in sede di esame testimoniale, valore di piena prova solo per gli atti da essi compiuti e per le dichiarazioni da essi raccolte, sicché è del tutto irrilevante che esse non siano state sottoscritte da colui che le ha rilasciate. Quanto alla intrinseca veridicità di tali dichiarazioni, essa è stata oggetto di libero apprezzamento da parte del giudice (in tal senso, conformandosi a Cass. 6/9/2012, n. 14965), il quale le ha valutate nel complesso delle ulteriori emergenze istruttorie, tra cui particolare valore ha attribuito alle testimonianze rese in giudizio dagli operai trovati intenti al lavoro, i quali hanno confermato di aver ricevuto ordini sul lavoro giorno per giorno proprio dal P. (teste F.), di aver adoperato attrezzi, beni e materiali nella disponibilità del suddetto, di aver trovato in cantiere solo di rado i titolari del consorzio del quale risultavano (solo formalmente) dipendenti.

8. La motivazione della corte è senz'altro esistente ed esaustiva, in quanto strettamente correlata alle evidenze istruttorie, oltre che priva di incongruenze logiche, sicché non si riscontrano i vizi motivazionali denunciati.

9. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenendosi conto nella liquidazione del diverso valore della controversia per ciascuno degli enti intimati. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti della parte che non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei confronti dell'Inps in € 4200,00, di cui 200,00 per esborsi, e nei confronti dell'Inail in € 2800,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.