Giurisprudenza - CORTE DI APPELLO DI TRIESTE - Ordinanza 09 febbraio 2017

Maternità e infanzia - Liberi professionisti - Indennità di maternità in caso di adozione o affidamento - Mancata previsione dell'erogazione dell'indennità al padre adottivo nel caso di rinuncia da parte della madre adottiva - Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, artt. 70 e 72.

 

La Corte di appello di Trieste - Collegio lavoro, costituita come segue: dott. M. P. - Presidente, dott. L. B. - Consigliere, dott.ssa S. B. - Consigliere, ha emesso la seguente ordinanza.

Nel procedimento in grado di appello iscritto al n. 219/2015 R.G. promosso con ricorso depositato il 17 luglio 2015 da A. C. con l'avvocato F. S. contro Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense in persona del Presidente in carica, avv. N. L., con gli avvocati F. Z. e M. V..

Con ricorso depositato il giorno 11 aprile 2014 l'avvocato A. C. si rivolgeva al Tribunale di Pordenone, giudice del lavoro, esponendo di essere un avvocato iscritto all'ordine di Pordenone nonché alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense sino dal 2002, di avere regolarmente adottato assieme alla moglie T. B. con adozione internazionale tre fratelli minori stranieri extracomunitari e precisamente di nazionalità colombiana nel febbraio/marzo 2012.

Narrava poi l'attore che sua moglie aveva espressamente rinunziato a richiedere l'indennità di maternità con riferimento a detta adozione e di avere egli stesso perciò richiesto l'indennità in oggetto alla Cassa forense alla luce degli articoli 70 e 72, decreto legislativo n. 151/2001 nel testo vigente in allora, vedendo però respingere tale sua richiesta. Definiva poi il ricorrente il quadro normativo di riferimento e delineava gli interventi della Corte costituzionale avutisi in materia, ed esponeva indi le ragioni per cui la sua domanda, volta come detto ad ottenere l'indennità di maternità per effetto della citata adozione e concludeva poi come da ricorso dell'11 aprile 2014.

Si costituiva in giudizio la Cassa convenuta che eccepiva l'intervenuta estinzione per prescrizione del credito qui azionato, notava poi l'infondatezza della domanda di controparte, contestava l'entità del credito come allegata dal ricorrente e concludeva come riferito nella memoria del 5 giugno 2014. La causa, istruita solo documentalmente, veniva discussa e decisa con la sentenza n. 17/2015 del 28 gennaio/4 febbraio 2015 che respingeva nel merito le domande dell'attore condannando poi lo stesso pagare le spese processuali.

Contro detta decisione proponeva rituale e tempestivo appello l'attore A. C. che ripercorreva i fatti di causa e ne definiva i temi per affidarsi a tre motivi di gravame.

Notava l'appellante che il giudice di primo grado aveva mal interpretato e ricostruito il disposto degli articoli 70 e 72, decreto legislativo n. 151/2001 e il significato degli interventi della Corte costituzionale in materia; osservava inoltre l'attore che il Tribunale aveva errato nel ritenere che le singole casse previdenziali godessero di autonomia nel dare attuazione alle norme inerenti alla fattispecie così violando gli articoli 113 e 115 del codice di procedura civile. Si doleva infine l'attore dell'erroneità della decisione sulle spese di lite, da compensare a suo dire fra le parti in presenza delle condizioni di legge di cui all'art. 92 del codice di procedura civile.

Si costituiva anche in questo grado la Cassa appellata replicando ai rilievi di controparte e riproponendo le proprie precedenti difese per concludere come in atti.

La causa, affidata originariamente ad altro consigliere relatore, veniva poi assegnata ad altro relatore, redattore del presente atto, e trattata con il deposito di note autorizzate per essere destinata alla decisione di questo Collegio che, all'udienza del 1° dicembre 2016, provvedeva con ordinanza rimettendo le parti all'udienza odierna per la sola lettura della presente ordinanza.

Viene qui sollevata da questa Corte di appello questione di legittimità riferita alle norme di cui agli articoli 70 e 72 del decreto legislativo n. 151/2001 con riguardo agli articoli 3, primo e secondo comma, 31, 29 e 117, primo comma della Costituzione nella parte in cui esse, in base all'interpretazione datane in primo grado, vietano in sostanza l'erogazione dell'indennità di maternità al padre adottivo anche nel caso in cui la madre abbia rinunziato a detta prestazione. Va premesso che in fatto è pacifico che il ricorrente ebbe ad adottare assieme alla consorte tre fratelli di minore età con adozione internazionale in Colombia nel febbraio/marzo 2012, che sua moglie T. B. ebbe a rinunziare all'indennità di cui all'art. 70 e seguenti, decreto legislativo n. 151/2001, che l'attore chiese quindi alla Cassa forense di sua iscrizione il pagamento dell'indennità in oggetto vedendo respinta tale sua istanza, come è documentalmente provato ed è poi incontroverso in causa. Le norme di riferimento dunque sono l'art. 70, primo comma, decreto legislativo n. 151/2001 per il quale nel suo testo vigente sino al 2015: «Alle libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza è corrisposta un'indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa ...» e la norma stessa, al comma 3-ter aggiunto per effetto della modifica introdotta dal decreto legislativo n. 80/2015, in base a cui : «... L'indennità di cui comma 1 spetta al padre libero professionista per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista e per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo al padre» e poi l'art. 72, decreto legislativo n. 151/2001 per il quale: «... in caso di adozione e di affidamento l'indennità di maternità di cui all'art. 70 spetta, sulla base di idonea documentazione, per i periodi e secondo quanto previsto dall'art. 26 ...». Va posto subito in risalto che esiste una stretta connessione fra tali due norme ed ipotesi sicché la prestazione in essere per i genitori adottivi è «quella di cui all'art. 70» e siffatto rinvio vale non solo a definire la durata e la misura della prestazione ma anche il novero degli aventi diritto. Dunque in base alle norme in riferimento pare chiaro che il rinvio alla prestazione di cui all'art. 70 operato dall'art. 72 valga in casi come questi di adozione solo nelle ipotesi tassative individuate ivi e con riguardo al padre e non anche in altri casi; in tale senso del resto si è espresso il primo giudice e cioè il Tribunale di Pordenone (sentenza n. 17/2015 del 28 gennaio 2015, evidenziando la natura di sentenza additiva di principio della sentenza n. 385/2005 della Corte costituzionale e quindi della necessità in ogni caso di un intervento, non avvenuto ed anzi effettuato in senso restrittivo, parte del legislatore. Anche prescindendo dal dato temporale per cui la domanda di prestazione risale all'anno 2012 e quindi a prima della novella del 2015 di cui al decreto legislativo n. 80, risulta evidente che il caso del ricorrente A. C. non viene considerato meritevole di tutela dal legislatore; infatti l'intervento della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 385/2005 richiamata dall'attore ha natura non certo autoapplicativa essendo comunque necessario un intervento legislativo sul tema (vedi, sul tema ed in tale preciso senso, Cass. n. 8594/2016) intervento che è stato solamente quello di cui si è fatto cenno e cioè l'introduzione del comma 3-ter all'art. 70 del decreto legislativo n. 151/2001 con riferimento quindi, per il diritto del padre all'indennità di maternità, ai soli casi di morte, grave infermità, abbandono della madre o affidamento esclusivo al padre. Nel caso in oggetto, invece, non ricorrono né ricorrevano dette condizioni e vi era solo il dato della rinunzia all'indennità da parte della madre adottiva; peraltro, lo stesso legislatore in altri passi della legislazione del 2001 (articoli 28 e 31 in tema di congedo) faceva chiaramente intendere la parificazione della posizione genitoriale ai fini della prestazione in oggetto (ripetesi, in caso di congedo). Nel dettaglio, l'art. 31 del decreto legislativo n. 151/2001 fa chiaro riferimento al diritto a congedo da parte del padre nel caso in cui il congedo medesimo non sia stato richiesto dalla madre e ne afferma il diritto alle stesse condizioni.

Ove si pensi che se indubbiamente l'indennità in caso di maternità naturale sovviene ad esigenze precipue della madre in tema di salute, un tanto non vale nel diverso caso di adozione in cui la situazione dei genitori è assolutamente paritaria dal momento, come qui, di ingresso dei figli adottivi in famiglia che costituisce come evidente il momento di partenza della nuova vita familiare. Risulta poi necessario il rammentare che (vedi Cass. n. 809/2013) si è notata da tempo la diversità fra la genitorialità biologica e quella adottiva e si era escluso il diritto all'indennità solo perché la stessa era stata riconosciuta alla moglie lavoratrice dipendente ma va pure rammentato che il quadro normativo si è evoluto nel senso riferito prima e non certo favorevole alle domande e tesi del ricorrente. Riprendendo le osservazioni di cui alla qui accennata pronuncia (Cass. n. 809/2013) nei casi di adozione il fine precipuo è rappresentato dalla garanzia di un'assistenza completa al fanciullo nella delicata fase del suo inserimento in famiglia e compete ai genitori la scelta su chi debba assentarsi dal lavoro per assistere il bambino e l'astensione dal lavoro mira solo ad agevolare il processo di formazione e crescita del minore. Va poi rammentato che l'intervento della Consulta di cui alla sentenza n. 285/2010 ineriva invece ad un caso di maternità biologica e che per contro parrebbe rilevare in materia un più datato precedente della Consulta (Corte costituzionale, sentenza n. 3/1998) in cui il giudice delle leggi pose in risalto che l'istituto dell'indennità di cui si discorre consente all'interessata di assolvere in modo adeguato alla funzione genitoriale evitando che la libera professionista venga turbata da un qualche pregiudizio nella sua attività professionale. Si nota quindi, alla luce dell'art. 3, primo e secondo comma Cost., che le figure genitoriali in ispecie nel caso di adozione hanno diritto a parità di trattamento e non si ravvisa ragione per una tutela diversificata della sola figura materna; inoltre, si osserva che nei casi citati in premessa di congedo per il lavoratore si è a chiare lettere asserito un principio di alternatività fra i due genitori (vedi l'art. 31, decreto legislativo n. 151/2001). Nel contempo, va rammentato il valore costituzionale del disposto dell'art. 29, primo comma Cost., in materia di diritti della famiglia specie in casi come questo in cui si ebbe il contestuale ingresso in famiglia appunto di tre figli minori adottivi , valore che pare soffrire qui detrimento dal disposto diniego a prestazione qui avvenuto non consentendo una ragionevole e paritaria soluzione al caso in oggetto. Inoltre ed ancor più va rammentato il canone di cui all'art. 31, primo e secondo Cost., per cui vengono tutelati ed agevolati dalla Carta fondamentale della Repubblica italiana la formazione di una famiglia, o come qui il suo incremento, anche con misure economiche e provvidenze e l'adempimento dei compiti genitoriali e viene protetta la maternità e l'infanzia e, in termini più estesi, la condizione di genitore.

Tenuto poi conto del valore di norme interposta dell'art. 117 Cost. primo comma, che richiama il legislatore al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli articoli 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo resa a Roma il 4 novembre 1950 nonché gli articoli 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell' Unione europea (c.d. Carta di Nizza del 7 dicembre 2000/12 dicembre 2007) il caso in oggetto confligge con i principi del diritto a contrarre matrimonio ed a fondare una famiglia (art. 12 - Convenzione europea dei diritti dell'uomo), con quello di non discriminazione per ragioni di sesso (art. 14 - Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ed art. 21 della Carta di Nizza) e con il criterio legale di parità fra uomo e donna in materia di lavoro, retribuzione ed occupazione (art. 23 della Carta di Nizza) ponendo in posizione deteriore il padre genitore adottivo cui non è almeno allo stato ancor concessa l'indennità in questione.

 

P.Q.M.

 

Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge Cost. n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953 sospende il presente giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale per il sindacato di legittimità costituzionale alla luce dell'art. 3, primo e secondo comma Cost., 29, primo comma, 31, primo e secondo comma e 117 primo comma Costituzione degli articoli 70 e 72, decreto legislativo n. 151/2001 nei limiti in premessa esposti.

Ordina che a cura della Cancelleria di questa Corte la presente ordinanza venga trasmessa alla Corte costituzionale e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e notificata alle parti in causa A. C. e Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense nonché al Presidente del Consiglio dei ministri.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 21 giugno 2017, n. 25