Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 marzo 2018, n. 7702

Nullità del contratto a termine - Indeterminatezza delle mansioni indicate nei contratti - Reiterazione ritenuta sintomatica di un disegno coinvolgente comunque l'impresa - Elusione della regola della temporaneità dell'occasione

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado che, respinta l'eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra D.L.G. e B. G. e R. F. s.p.a., aveva dichiarato la nullità del primo contratto a termine intercorso tra le parti per fronteggiare l'incremento di attività conseguente ad esigenze di mercato e per la sostituzione di personale assente con diritto alla conservazione del posto (contratto del 6.5.2002, seguito da ulteriori tredici contratti a termine e da sette contratti di somministrazione, l'ultimo dei quali con scadenza il 2.7.2005), condannando la società a riammettere la lavoratrice in servizio ed alla corresponsione, in favore della predetta, di un'indennità, ai sensi dell'art. 32 I. 183/2010, pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto;

2. la Corte distrettuale riteneva che doveva escludersi il carattere contingente delle sia pure circostanziate e temporanee prestazioni rese dalla D.L. a più riprese, complessivamente per venti periodi di tempo (in tali termini la sentenza del giudice del gravame), in relazione ad esigenze della società che, non potevano essere considerate specifiche, particolari e separate, rilevando che deponevano per tale conclusione l'elevatissimo numero dei pretesi contratti di somministrazione, la indeterminatezza delle mansioni indicate nei contratti, ad onta della prevista necessità di assunzione per mansioni specifiche e della relativa idoneità ad assicurare determinate professionalità, senza alcun riguardo al contesto generale dell'organico ed a prescindere da ogni valutazione della possibilità di affidamento delle mansioni a dipendenti a tempo indeterminato;

3. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l'impugnazione a quattro motivi, cui resiste con controricorso, la D.L.;

4. in prossimità dell'adunanza in camera di consiglio la società ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis. 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, viene dedotta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1372 c.c., in relazione all'inerzia della lavoratrice, per un periodo di sei anni, rispetto ad iniziative volte a contestare l'avvenuta cessazione dell'ultimo rapporto, indice della volontà di rinunziare alla prosecuzione dello stesso, senza considerare che non era stato dato seguito alla richiesta della società di accertamento presso i competenti uffici della D.P.L., dell'Agenzia delle Entrate e dell' INPS con riferimento alla scheda professionale della D.L. o ad altra documentazione finalizzata alla prova di ulteriori decisive circostanze, quali il reperimento da parte della stessa di altra attività lavorativa;

2. con il secondo motivo, si censura la decisione per violazione e falsa applicazione dell'art. 1 d. Igs. 368/2001 e dell'art. 20 d. Igs. 276/03, rilevandosi che unica condizione per la legittimità dei contratti a termine/somministrazione è - indipendentemente dal trattarsi di contratti isolati o reiterati nel corso del tempo - che la ragione posta a base degli stessi sia specificamente indicata nella relativa causale e che l'effettiva sussistenza di detta ragione sia dimostrata, ove contestata, dal datore. Si evidenzia che la C.G.U.E. ha affermato che l'interpretazione della clausola 5 dell'Accordo quadro C sul lavoro a tempo determinato è nel senso che l'esigenza temporanea di personale sostitutivo può costituire ragione oggettiva che non comporta l'abuso di tale clausola;

3. con il terzo, si denunzia violazione dell'art. 1 d. Igs. 368/2001 e dell'art. 20 d. Igs. 276/03, sul rilievo che tali norme non richiedono affatto, ai fini della legittimità dei contratti a termine e di somministrazione, la specifica indicazione delle mansioni assegnate al lavoratore assunto a termine o somministrato, né l'indicazione delle mansioni svolte dall'intero personale di ruolo operante in tutti i reparti dello stabilimento, e che l'indicazione dell'attività di "addetta alle linee di produzione e confezione dei prodotti da forno" contenuta nelle causali dei vari contratti sia sufficientemente specifica.

Si assume che, in ogni caso, la mancata o generica indicazione non determinerebbe l'illegittimità dei contratti, aggiungendosi che quest'ultima ricorre solo nei casi previsti dall'art. 27, con richiamo al mancato rispetto dei limiti e condizioni di cui agli artt. 20 e 21, in relazione alle lettere indicate e non con riferimento al caso di mancata o generica indicazione delle mansioni di cui alla lettera f);

4. con il quarto motivo, si ascrive alla sentenza violazione dell'art. 32 I. 183/10, in relazione alla quantificazione della indennità ivi prevista in dodici mensilità, senza alcuna applicazione dei criteri di cui all'art. 8 I. 604/66 cui rinvia la norma suddetta;

5. il primo motivo è infondato, perché il giudizio espresso dalla Corte attiene al merito della controversia presupponendo un giudizio di fatto insindacabile se congruamente motivato, come è nel caso considerato, in cui il giudice del merito ha considerato la durata rilevante del comportamento omissivo della lavoratrice nell'impugnare la clausola e la convergenza degli altri elementi prospettati in causa, pervenendo alla valutazione complessiva e congruamente motivata che nella fattispecie concreta non sia stata fornita la prova del mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto;

6. sono stati, invero, da questa Corte richiamati i limiti alla prospettazione di contestazioni al ragionamento presuntivo del giudice del merito, "non potendo sostenersi semplicemente una differente combinazione dei dati fattuali" pena la sostituzione al giudice del merito nella selezione delle fonti del convincimento avuto riguardo all'ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità (cfr. Cass. 1° gennaio 2016, n. 1841 e 11 febbraio 2016, n. 2732, cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti, e Cass. s. u. 21691/2016, nonché, da ultimo Cass. 29781/2017);

7. quanto al secondo e terzo motivo - da trattarsi congiuntamente per l'evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l'oggetto -, l'assunto secondo cui la società avrebbe specificato le esigenze temporanee in coincidenza con la sottoscrizione dei contratti di lavoro a termine o di somministrazione a tempo determinato (giustificati formalmente con richiamo assenze per ferie, malattia, permessi etc. oppure ad esigenze temporanee dovute ad incremento di attività) non supera la considerazione, posta a fondamento del decisum, della rilevanza giuridica della fitta reiterazione di contratti di prestazione di lavoro temporaneo con lo stesso lavoratore, sia pure per esigenze sostitutive di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, reiterazione ritenuta sintomatica di un disegno coinvolgente comunque l'impresa utilizzatrice (diretto ad ottenere l'impiego continuativo del medesimo soggetto), e, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 2.7.2009 n. 15515, Cass. 15412/2009, Cass. 23684/2010, Cass. 232/12), tale da configurare V elusione della regola della temporaneità dell'occasione che giustifica l'utilizzazione di una medesima persona col meccanismo di cui alla L. n. 196 del 1997 e successivamente del d.Igs. 276 del 2003;

8. è stato, in particolare, evidenziato, sia pure con riferimento alla sussistenza di proroghe dell’originario rapporto, che non è sufficiente arrestarsi alla verifica del dato formale del rispetto della contrattazione collettiva quanto al numero delle proroghe consentite, senza verificare l'effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale (Cass. 232/2012), enunciandosi il seguente principio di diritto: "La mancata previsione nella L. n. 196 del 1997 di un divieto di reiterazione dei contratti di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo conclusi con lo stesso lavoratore avviato presso la medesima impresa utilizzatrice non esclude la possibilità di valutazione della relativa vicenda nei termini di cui all'art. 1344 c.c. quando essa costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola della temporaneità dell'occasione di lavoro che connota tale disciplina" (cfr. Cass. 15515/09 cit.);

9. considerati i principi e le ragioni sottese cui si è fatto richiamo, è corretta l'affermazione secondo cui sarebbe la stessa reiterazione di assunzioni della stessa lavoratrice per un lasso temporale prolungato a rilevare in termini di assenza del requisito di temporaneità e di implicita sussistenza di intese tra impresa fornitrice ed impresa utilizzatrice tese ad eludere le finalità proprie della normativa applicabile;

10. i motivi avanzati dalla società e gli ulteriori chiarimenti contenuti nella memoria illustrativa non sono idonei a scalfire il fondamento della decisione, posto che la vicenda prospettata dalla D.L. è stata ritenuta connotata dai richiesti requisiti temporali e soggettivi idonei a consentire il controllo giudiziario delle circostanze poste a base della dedotta fattispecie frodatoria, indipendentemente dal rispetto per ciascuno dei singoli contratti delle indicazioni previste con riguardo alle esigenze tecnico produttive e organizzative giustificative della stipulazione a termine, indicazioni peraltro ritenute generiche in quanto non idonee a dare conto del collegamento delle caratteristiche specifiche delle professionalità impiegate con le esigenze stesse e del carattere limitato temporalmente delle assunzioni in questione;

11. in ordine al quarto motivo, non si riproducono i termini della censura prospettata in sede di gravame in relazione alla quantificazione dell'indennità risarcitoria, sicché, al cospetto di una motivazione in parte qua che nega che il criterio e la misura della stessa siano stati oggetto di specifica critica, la censura si rivela inconferente e come tale inammissibile;

12. alla stregua delle svolte considerazioni il ricorso deve essere complessivamente respinto;

13. le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione al difensore del controricorrente, dichiaratosene antistatario;

14. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidata in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all'avv. C.L..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R.