Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 febbraio 2017, n. 4807

Tributi - Riscossione - Misura cautelare ex art. 22, del D.Lgs n. 472/97 - Ipoteca o sequestro conservativo - Sopravvenuta conciliazione giudiziale - Annullamento della misura cautelare

 

Svolgimento del giudizio

 

La E. Nove srl a socio unico propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 69/44/13 del 13 maggio 2013 con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha accolto la richiesta dell'Agenzia delle Entrate di misure cautelari a carico di essa ricorrente, ex articolo 22 D.Lvo 472/97, per un credito d'imposta, al lordo delle rate medio tempore versate, di euro 33.208.749,45.

Ha ritenuto la commissione tributaria regionale, in particolare, che: - le misure cautelari in oggetto fossero concedibili ancorché l'originaria pretesa impositiva, scaturita dal processo verbale di constatazione 22 dicembre 2009 relativo ad Irap, Ires ed Iva 2006 per l'importo di circa 78 milioni di euro, oltre sanzioni ed interessi, fosse stata poi dedotta nel verbale di conciliazione giudiziale 15 marzo 2013, con il quale le parti avevano inteso definire il giudizio di opposizione all'avviso di accertamento (e cartella di pagamento) che l'amministrazione finanziaria aveva nel frattempo notificato alla società contribuente (come da sentenza CTP Milano n. 227/1/13, dichiarativa dell'estinzione del giudizio per conciliazione giudiziale); - quanto al fumus boni juris, proprio la sottoscrizione di un verbale di conciliazione giudiziale attestasse la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile dell'amministrazione finanziaria; - quanto alla sussistenza del periculum in mora, deponessero la natura di società di capitali della contribuente, ed il suo oggetto sociale di gestione immobiliare e di esecuzione di investimenti esteri; nonché l'entità del debito tributario e l'ampiezza (10 rate trimestrali) della dilazione prevista.

Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

 

Motivi della decisione

 

§ 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce - ex art. 360, 1A co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli articoli 22 d.lvo 472/97 e 27 co.6 d.l. 185/08 conv. l. 2/09. Per avere la commissione tributaria regionale disposto misure cautelari nonostante l'intervenuto perfezionamento della conciliazione giudiziale sull'atto presupposto; perfezionamento a seguito del quale doveva la commissione territoriale rilevare la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo all'amministrazione finanziaria, con conseguente estinzione del giudizio cautelare ex art. 46 d.lgs. 546/92.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta - ex art. 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione agli articoli 99 e 112 cod.proc.civ.; per avere la commissione tributaria regionale disposto misure cautelari prescindendo dai motivi di appello proposti dall'Agenzia delle Entrate contro la sentenza di primo grado (che tali misure aveva negato in considerazione di alcuni errori riscontrabili nel processo verbale di constatazione), e sulla base di un atto - il verbale di conciliazione giudiziale - diverso da quello posto a base dell'originaria istanza cautelare (appunto, il suddetto processo verbale di constatazione).

Con il terzo motivo di ricorso si deduce - ex art. 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione all'articolo 115 c.p.c.; per avere la commissione tributaria regionale, in violazione del divieto di fare ricorso alla propria scienza privata, fondato il proprio convincimento di sussistenza del periculum in mora su fatti autonomamente considerati, perché non dedotti dalle parti (qualità di società di capitali del contribuente; oggetto sociale di gestione immobiliare; rapporti con gruppi esteri ed esecuzione di investimenti particolarmente soggetti a volatilità del mercato).

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta - ex art. 360, 1A co. n. 4 cod.proc.civ. - nullità della sentenza in relazione all'articolo 101, 2A co., cod.proc.civ.; per avere la CTR posto a fondamento della propria decisione aspetti (intervenuta conciliazione giudiziale quale atto presupposto della cautela) che non avevano formato oggetto di contraddittorio tra le parti.

§ 2. Il ricorso - da ritenersi ammissibile (Cass. 24527/07; 7342/08) ancorché proposto in relazione ad un provvedimento cautelare che, in quanto tale, non è idoneo ad assumere la stabilità propria del giudicato - è, nell'assorbente accoglimento della prima censura, fondato.

L'art. 22 d.lvo 472/97, costituente la disposizione regolatrice fondamentale dell'istituto, prevede che l'ipoteca o il sequestro conservativo vengano consentiti all'ente impositore - quando quest'ultimo abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito - sulla base di uno degli atti in esso menzionati: atto di contestazione; provvedimento di irrogazione della sanzione; processo verbale di constatazione.

Nel caso di specie, l'attività accertativa - pur traendo origine dal su richiamato processo verbale di constatazione del 22 dicembre 2009 - è poi confluita, nel corso dei giudizi riuniti di opposizione all'avviso di accertamento successivamente notificato ed alla relativa cartella, nel verbale di conciliazione giudiziale del 15 marzo 2013, con il quale le parti hanno inteso definire ogni aspetto del rapporto controverso; verbale di conciliazione che, proprio per tale ragione, ha poi determinato una pronuncia, non gravata, di estinzione del giudizio.

Orbene, la sopravvenuta conciliazione giudiziale ha sortito effetto novativo del titolo di imposizione, sostituendosi all'originario verbale di constatazione ed all'avviso di accertamento su di questo basato; con conseguente venir meno dell'atto tipico legittimante, ex art. 22 cit., la misura cautelare.

Si è in proposito affermato che la conciliazione giudiziale ex art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 - sia nel testo originario sia in quello risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1, comma 419, della legge n. 311 del 2004 - ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive; "comportando l'estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata, e la sua sostituzione con una certa e concordata, tanto che il relativo processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute" (Cass. nn. 14300/09; 9019/15, ord.).

E' su questo presupposto che la CTP Milano - verificato il perfezionamento della conciliazione con il regolare versamento della prima rata - ha dichiarato, con la già citata pronuncia, l'estinzione del giudizio.

Non vale obiettare che l'istanza cautelare venne proposta "prima" del verbale di conciliazione, atteso che i presupposti giuridici e fattuali della cautela debbono - per regola generale, valevole anche in ambito tributario - essere riguardati al momento della decisione, e non dell'istanza; con la conseguenza che essa non può venire concessa allorquando il titolo che la legittimerebbe, ancorché esistente al momento della richiesta, sia successivamente venuto meno. Tanto più che la "perdita" della tutela cautelare sulla base del titolo originario - per effetto della conciliazione - ben poteva essere soppesata dall'amministrazione finanziaria, in una con l'acquisizione di eventuali garanzie, nella valutazione discrezionale di opportunità e convenienza della conciliazione stessa.

Non può dunque condividersi quanto osservato nella sentenza impugnata, secondo cui la conciliazione giudiziale avrebbe, in certo senso, rafforzato e non soppresso i presupposti della cautela, perché di per sé attestante il riconoscimento da parte del contribuente di un credito tributario certo e liquido; posto che tale credito, pur riconosciuto, era diverso e "nuovo" rispetto a quello dedotto nell'istanza cautelare.

Né convince quanto sostenuto dall'agenzia delle entrate in ordine alla circostanza che il proprio credito meriterebbe di essere fatto oggetto di cautela perché portato da una conciliazione pur sempre implicante una lunga dilazione per ingente e non garantito importo. Va infatti considerato che, proprio nel fare richiamo alle pattuizioni della fonte obbligatoria rappresentata dal verbale del 15 marzo 2013 - nuovo titolo per la riscossione - la stessa amministrazione finanziaria mostra di senz'altro individuare il titolo giuridico dell'istanza di cautela in un atto non contemplato dall'art. 22 cit..

Conclusione diversa non può ritenersi suggerita dalla disciplina di cui al 7A co. dell'art. 22 cit., in base al quale il provvedimento cautelare perde efficacia (a parte le ipotesi, qui ininfluenti, di mancata notificazione, nel termine indicato, dell'atto di contestazione o di irrogazione) non già per l'estinzione del giudizio, ma solo per l'intervento di sentenza, anche non definitiva, che accolga il ricorso o la domanda del contribuente.

La presente fattispecie non rientra infatti in tale disciplina, posto che l'estinzione del giudizio è qui intervenuta proprio a causa della conciliazione e della cessazione del contendere; sicché da essa non è scaturita, come altrimenti accadrebbe, la definitività dell'atto impositivo impugnato e, per ciò solo, l'esigenza di permanenza della cautela. Né l'inefficacia potrebbe escludersi in ragione della mancata emanazione di una sentenza in tutto o in parte favorevole al contribuente, atteso che - come si è detto - qui la pretesa tributaria non trovava più titolo in alcuna sentenza, bensì in un accordo tra le parti ad effetto novativo; con la conseguenza che non si verte di mera riduzione quantitativa giudiziale del titolo originario, ma di sua integrale sostituzione consensuale.

La sentenza va dunque cassata, con pronuncia nel merito di rigetto dell'istanza cautelare.

La delicatezza della questione interpretativa, anche attestata dalla divergenza delle decisioni di merito, depone per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l'istanza cautelare dell'agenzia delle entrate;

- compensa le spese dell'intero giudizio.