Giurisprudenza - TRIBUNALE DI CUNEO - Ordinanza 18 novembre 2016

Previdenza e assistenza - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento integrale per i trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS e in diverse misure percentuali per quelli compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni 2012-2013 - Art. 24, co. 25, D.L. n. 201/2011

 

I signori D. L. e P. R. B. hanno evocato in giudizio l'I.N.P.S., esponendo di essere titolari di pensioni per un importo complessivo di oltre euro 1.405,05 lorde (euro 1.217,00 netti) nel 2012, e di avere quindi subito, dal 1° gennaio 2012, il blocco della perequazione per gli anni 2012/2013 per effetto dell'art. 24, comma 25, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, dichiarato incostituzionale con sentenza 30 aprile 2015, n. 70, e deducendo l'incostituzionalità, sotto vari profili, dell'art. 1, decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito in legge 17 luglio 2015, n. 109, emanato dopo detta sentenza di incostituzionalità.

Più precisamente, il ricorrente D., alla data del novembre 2011, percepiva una pensione lorda pari a euro 2.329,60, e quindi superiore a 4 volte la pensione minima INPS ed inferiore a 5 volte la pensione minima INPS, mentre il ricorrente P. R. percepiva una pensione lorda pari a euro 1.801,32, e quindi superiore a 3 volte la pensione minima INPS ed inferiore a 4 volte la pensione minima INPS.

A seguito della pronuncia della Corte costituzionale, il ricorrente D. avrebbe avuto diritto a percepire, a titolo di perequazione della pensione negli anni 2012 e 2013, l'importo complessivo di euro 129,26 mensili (euro 60,40 mensili nel 2012 ed euro 68,86 nel 2013), mentre, con il decreto-legge n. 65/15 l'importo percepito a tale titolo mensilmente è pari a euro 12,58 per l'anno 2012 ed euro 14,05 per l'anno 2013; il ricorrente P. R. avrebbe avuto diritto a percepire, a titolo di perequazione della pensione, l'importo di euro 101,81 mensili (euro 47,57 mensili nel 2012 ed euro 54,25 mensili nel 2013), mentre, con il decreto-legge n. 65/15 l'importo percepito a tale titolo mensilmente è pari a euro 19,45 nel 2012 e a euro 21,85 nel 2013. A titolo di arretrati, spettavano, a seguito della declaratoria di incostituzionalità, a D. la somma complessiva di euro 2.465,64 (euro 785,24 per il 2012 ed euro 1.680,41 per il 2013), mentre gli è stata pagata la somma di euro 509,77; a P. R. la somma complessiva di euro 1.941,92 (euro 618,35 nel 2012 ed euro 1.323,58 nel 2013), mentre gli è stata pagata la somma di euro 789,84 (v. conteggi sub docc. 6A e 6B ricorrente).

Detti importi possono ritenersi pacifici in mancanza di specifica contestazione dell'Istituto convenuto in merito alla loro correttezza sotto il profilo contabile. I ricorrenti chiedono quindi (per quanto rileva ai fini della questione di legittimità costituzionale sollevata con la presente ordinanza, dovendo l'esame delle altre questioni di incostituzionalità sollevate dalla difesa attorea, relative, in particolare, all'art. 1, comma 483, legge 147/2013, essere rimesso al momento della pronuncia della sentenza), previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale, di accertare il loro diritto alla perequazione automatica dei loro trattamenti pensionistici per gli anni 2012 e 2013 secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 70/15, e comunque in base al meccanismo di cui all'art. 69, comma 1, legge 23 dicembre 2000, n. 388, senza tener conto dei limiti di cui al decreto-legge n. 65/15, e dunque dichiarare tenuto e condannare l'INPS a pagare loro, per il blocco 2012/2013, l'aumento mensile e gli arretrati sui trattamenti pensionistici, oltre accessori sino al saldo.

Rilevanza della questione.

Da quanto sopra scritto emerge la rilevanza della questione di costituzionalità sollevata con il presente provvedimento.

A fronte della sentenza della Corte costituzionale n. 70/15, che ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che "In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento"", è stato emanato il decreto-legge n. 65/15, il cui art. 1 prevede:

"1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale, all'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) il comma 25 è sostituito dal seguente:

25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 20 per cento per ì trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.

2) dopo il comma 25 sono inseriti i seguenti:

25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS è riconosciuta:

a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento.".

Pertanto, in applicazione dì detto decreto-legge, anziché vedersi ripristinare la perequazione e pagare gli arretrati (come sarebbe avvenuto in forza della sentenza della Corte costituzionale) i ricorrenti hanno ottenuto una perequazione - e relativi arretrati -in misura notevolmente inferiore, come sopra scritto.

Alla luce dell'attuale normativa le domande attoree non potrebbero quindi che essere rigettate, mentre dall'accoglimento della questione di illegittimità costituzionale conseguirebbe il diritto alla perequazione della pensione secondo i criteri già stabiliti.

Sulla non manifesta infondatezza.

1. Violazione del giudicato costituzionale.

Non appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 136 Cost., ai sensi del quale, quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge, questa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

Invero, il decreto-legge n. 65/2015, nel sostituire il testo del decreto-legge N. 201/2011 convertito in legge n. 214/2011, dichiarato incostituzionale con sentenza 70/2015 della Consulta, ha sostanzialmente aggirato le statuizioni di detta declaratoria, impedendo la portata retroattiva insista nella dichiarazione di incostituzionalità.

Ebbene, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ritenuto in violazione dell'art. 136 Cost. gli interventi legislativi che, dopo pronunce declaratorie di incostituzionalità, abbiano avuto il sostanziale effetto di "prolungare la vita" della norma dichiarata incostituzionale, in tal modo ripristinando l'efficacia delle disposizioni ormai caducate e dunque gli effetti che erano stati rimossi per effetto della declaratoria di incostituzionalità, cfr., recentemente, Corte costituzionale 24 giugno 2015, n. 169, che ha evidenziato come la norma contenuta nell'art. 136 Cost. debba essere intesa in senso rigoroso, poiché su di essa " (...) poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima senza possibilità di compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione". La Consulta ha osservato - richiamando al riguardo precedenti declaratorie di incostituzionalità - che l'art. 136 Cost. sarebbe violato non soltanto laddove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia, ma anche nel caso in cui una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, anche se indirettamente, lo stesso risultato, rilevando ancora: "Se appare, infatti, evidente che una pronuncia di illegittimità costituzionale non possa, in linea di principio, determinare, a svantaggio del legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un "esproprio" della potestà legislativa sul punto - tenuto anche conto che una declaratoria di illegittimità ha contenuto, oggetto e occasione circoscritti dal "tema" normativo devoluto e dal "contesto" in cui la pronuncia demolitoria è chiamata ad iscriversi - è del pari evidente, tuttavia, che questa non possa risultare pronunciata "inutilmente", come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, perciò, certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, è senz'altro da escludere che possa legittimamente farlo - come avvenuto nella specie - limitandosi a "salvare", e cioè a "mantenere in vita", o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non sono più in grado di produrne. Il contrasto con l'art. 136 Cost. ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale.

In altri termini: nel mutato contesto di esperienza determinato da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volontà normativa censurata dalla Corte; un altro conto è emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l'efficacia di norme che "non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione" (art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale)".

L'elusione del giudicato costituzionale è massimamente evidente per i pensionati titolari di un trattamento pensionistico che supera sei volte il trattamento minimo: per costoro, l'esclusione di qualsivoglia meccanismo di perequazione della pensione per gli anni 2012-2013, che operava prima della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale, è rimasta anche dopo l'introduzione del decreto-legge n. 65/2015 e a causa di detto provvedimento normativo.

Ma la violazione dell'art. 136 Cost. sussiste, a parere del giudice, anche con riferimento alle posizioni di coloro che (come gli odierni ricorrenti) siano titolari di trattamenti pari o inferiori a sei volte il minimo del trattamento INPS.

Invero, a fronte di una pronuncia caducatoria (v. il dispositivo, con il quale la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che "In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento", l'introduzione di una rivalutazione in misure percentuali differenziate a seconda della misura in cui la pensione superi il trattamento minimo INPS, avendo l'effetto di neutralizzare la portata retroattiva connaturata alla declaratoria di incostituzionalità, nonché, in rilevante misura, i conseguenti vantaggi economici, integra un inadempimento del legislatore alla sentenza n. 70/2015.

La situazione creatasi a seguito dell'intervento normativo successivo alla dichiarazione di incostituzionalità è ben diversa da quella relativa al c.d. "contributo di solidarietà" (relativo agli anni 2011-2014), dichiarato incostituzionale con sentenza 116/2013. Il legislatore, in questo caso, dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge non reintrodusse retroattivamente il contributo di solidarietà, ma intervenne per il futuro, ossia per gli anni 2014/2016, senza, pertanto, in alcun modo eliminare il diritto agli arretrati relativi agli anni 2011/2013.

La Corte costituzionale ha quindi in questo caso escluso la violazione dell'art. 136 Cost. in quanto: "Il "contributo di solidarietà" ora in contestazione non colpisce, infatti, le pensioni erogate negli anni (2011-2012), incise dal precedente contributo perequativo, dichiarato costituzionalmente illegittimo in ragione della sua accertata natura tributaria e definitivamente, quindi, caducato (e conseguentemente recuperato da quei pensionati) per effetto della sentenza di questa Corte n. 116 del 2013; colpisce, invece, sulla base di differenti presupposti e finalità, pensioni, di elevato importo, nel successivo periodo, a partire dal 2014.

E tanto esclude che la disposizione sub comma 486 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013 sia elusiva del giudicato costituzionale (rappresentato dalla suddetta sentenza), atteso appunto, che l'odierna disposizione non disciplina le stesse fattispecie già regolate dal precedente art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, né surrettiziamente proroga gli effetti di quella norma dopo la sua rimozione dall'ordinamento giuridico (vedi sentenza n. 245 del 2012)".

Al contrario, con riferimento alla perequazione delle pensioni, il decreto-legge n. 201/2011 è intervenuto proprio neutralizzando gli effetti (retroattivi) della declaratoria di incostituzionalità.

2. Violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. La Consulta, con la sentenza 70/2015, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011 illustrandone le ragioni nel punto 10 della motivazione:

"10. La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con "irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività" (sentenza n. 349 del 1985).

Non è stato dunque ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010.

Si profila con chiarezza, a questo riguardo, il nesso inscindibile che lega il dettato degli articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. (fra le più recenti, sentenza n. 208 del 2014, che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si deve esercitare il legislatore nel proporre un corretto bilanciamento, ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa, nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo "al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici, tali che potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo della Corte" (sentenza n. 226 del 1993).

La disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art. 25 del decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito, si limita a richiamare genericamente la "contingente situazione finanziaria", senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante "Legge dì contabilità e finanza pubblica" (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale "puntualizzazione tecnica" dell'art. 81 Cost.).

L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).

Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.".

Secondo la Corte costituzionale, quindi, una sospensione a tempo indeterminato della perequazione o la reiterazione frequente di misure dirette a paralizzarla esporrebbero il sistema pensionistico a tensioni evidenti con i principi di proporzionalità ed adeguatezza.

Il legislatore del 2011, secondo la Corte, non aveva esercitato il corretto bilanciamento tra ragioni di spesa e tutela del potere di acquisto del trattamento pensionistico, avendo utilizzato un generico richiamo alla "contingente situazione finanziaria", senza rispettare il vincolo di scopo ineludibile del sacrificio economico imposto ai pensionati.

Allo stesso modo, l'introduzione del nuovo testo dell'art. 24, decreto-legge 201/2011, così come sostituito con il decreto-legge n. 65/2015, è stato giustificato dal "rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica" e dalla "salvaguardia della solidarietà intergenerazionale", cioè da enunciazioni generiche e relative a finalità già insite di per sé (ai sensi, rispettivamente, degli articoli 81 e 38 Cost.) in ogni iniziativa legislativa adottata nella materia pensionistica.

Nella relazione illustrativa al disegno di legge le ragioni vengono espresse ponendo come unico riferimento i maggiori oneri finanziari che lo Stato sopporterebbe in via decrescente tra il 2012 ed il 2016 per effetto della riattivazione del meccanismo perequativo dell'art. 69, legge n. 388/2000 conseguente alla sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale, mentre manca qualsiasi accenno alla ragione per cui si intende comunque riequilibrare il disavanzo con l'intervento sul sistema pensionistico e sul perché esso venga modulato con le specificità di cui sopra si è detto.

Inoltre, il testo dell'art. 24, comma 25, così sostituito ha effetti distribuiti su più anni e destinati a diventare permanenti, non essendo previsto il recupero futuro del mancato incremento rivalutativo della base di calcolo dei trattamenti pensionistici. Con un'unica disposizione si è dunque realizzata di fatto una reiterazione annuale della paralisi del meccanismo perequativo, in contrasto col monito più volte ripetuto dalla Corte costituzionale. Vengono inoltre incise pensioni anche di valore economico modesto.

Il decreto-legge n. 65/2015 ha quindi introdotto uno strumento che eccede nell'opera di riequilibrio finanziario rispetto al fine dichiarato, senza garantire appieno la conservazione nel tempo del potere d'acquisto delle pensioni incise e sacrificando perciò in misura sproporzionata la tutela dei beneficiari di trattamenti previdenziali non elevati. Si manifesta in questo modo l'irragionevolezza delle disposizioni contenute nei commi 25 e 25-bis del nuovo testo dell'art. 24, decreto-legge n. 201/2011.

Detto intervento normativo è ben diverso da quello relativo al "contributo di solidarietà", oggetto della già citata sentenza della Corte costituzionale n. 173/2016.

Il contributo di solidarietà era stato introdotto, per il triennio 2014-2016, dall'art. 1, comma 486, legge n. 147/2013, operando in misura crescente sui trattamenti pensionistici obbligatori superiori a 14 volte il trattamento minimo, anche al fine di concorrere a finanziare le misure di salvaguardia pensionistica per i lavoratori definiti "esodati".

Esso ha quindi riguardato le pensioni più elevate, peraltro operando all'interno del sistema complessivo della previdenza.

Per queste ragioni la Corte costituzionale, con la citata pronuncia, ha ritenuto la conformità a Costituzione di detto contributo, in particolare rispetto ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità.

Al contrario del contributo di solidarietà, misura una tantum - con conseguente ripristino, alla scadenza, dell'importo originario della pensione - il blocco della rivalutazione della pensione, pur limitato nel tempo, ha però effetti permanenti.

D'altro canto, se la Corte costituzionale ha giudicato legittimi precedenti interventi di blocco del meccanismo della perequazione delle pensioni quando essi avessero una durata ragionevole (sostanzialmente annuale), nel caso di specie, la durata biennale dell'intervento, confermato per gli anni 2012-2013 - del pari oggetto di censura nella sentenza n. 70/15 - non trova adeguata giustificazione e risulta ancor più gravosa, benché detta sentenza avesse sottolineato l'ammissibilità di interventi di riduzione della rivalutazione se temporalmente contenuti, come avvenuto in precedenza, nel termine annuale. Pertanto, non può ritenersi manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale delle norme in esame con riferimento agli articoli 3, 36, 1° comma, e 38, 2° comma, Costituzione.

 

P.Q.M.

 

Visti gli articoli 134 Cost. e 23, legge n. 87/53;

1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 136, 3, 36, comma 1, e 38, comma 2 Costituzione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25 e 25-bis, decreto-legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, nel testo sostituito dall'art. 1, decreto-legge n. 65/2015 (convertito in legge n. 109/2015), nella parte in cui prevedono che:

"25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta:

(...);

b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi;

(...);

25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS è riconosciuta:

a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento";

2) Visti gli articoli 295 del codice di procedura civile e 23, legge n. 87/53, sospende il presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale;

3) Ordina che la presente ordinanza sia, a cura della cancelleria, comunicata alle parti del presente giudizio, notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

4) Ordina l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale;

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui sopra.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 29 marzo 2017, n. 13