Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 marzo 2019, n. 7534

Accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato - Contestazione della durata del rapporto di lavoro e la presenza del lavoratore in azienda per poche ore al giorno e per pochi giorni alla settimana - Omesso esame di un fatto decisivo o difetto di motivazione - Va esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione - Ricorso inammissibile

 

Rilevato

 

che, con sentenza del 2 novembre 2017, la Corte di L'Aquila confermava la decisione del Tribunale di Vasto di rigetto della domanda proposta da M.C. nei confronti della G.R.S.S. s.r.l. ed intesa all'accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti nel periodo dal 14 settembre 2010 al 14 novembre 2014 (con mansioni di impiegata di concetto addetta alla contabilità ed alla cassa) ed alla condanna della convenuta società al pagamento delle relative differenze retributive; che, ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede, dalla espletata istruttoria non erano emersi elementi tali da poter ritenere dimostrata la subordinazione ovvero l'assoggettamento della lavoratrice al potere gerarchico del datore di lavoro;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la C. affidato a tre motivi cui resiste la società con controricorso; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l'accoglimento del ricorso;

 

Considerato

 

che : con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 112, 116 e 416 cod. proc. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo per non avere la Corte territoriale tenuto conto delle ammissioni contenute nella memoria di costituzione in primo grado della società circa la durata del rapporto di lavoro e la presenza della C. in azienda per poche ore al giorno e per pochi giorni alla settimana e dei "ragionamenti assurdi e provocatori" con i quali, aveva, invece, negato la ricorrenza della subordinazione; con il secondo motivo viene dedotta violazione degli artt. 2094 cod. civ. e 61 e ss. del d.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 avendo il giudice del gravame del tutto pretermesso le difese della società dalle quali emergeva l'ammissione dei tratti propri del rapporto di lavoro subordinato, ciò anche in considerazione degli esiti della prova espletata; con il terzo motivo si denuncia difetto di motivazione ed omesso esame di un fatto decisivo in quanto nella impugnata sentenza la Corte d'appello aveva interpretato le prove raccolte senza considerare le difese spiegate dalla società ed avendole erroneamente valutate generiche;

che tutti i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili sotto vari profili:

- in primo luogo perché nonostante il formale richiamo a violazione di norme di legge in essi contenuto, articolano censure che si risolvono nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti onde ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede; ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);

- inoltre, nella parte in cui lamentano l'omesso esame di un fatto decisivo o il difetto di motivazione, perché non presentano neppure i requisiti di ammissibilità richiesti dall'art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo: a) con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell'interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza' della motivazione); b) con il lamentare l'omesso esame di risultanze istruttorie laddove, come precisato chiaramente nella citata sentenza n. 8053 delle S.U., l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

che, peraltro, la Corte di appello con una motivazione adeguata, priva di contraddizioni, ha valutato le risultanze della espletata istruttoria giungendo alla conclusione che non era stato provato l'assoggettamento della C. alla eterodirezione del datore di lavoro, ovvero l'elemento tipico del rapporto di lavoro subordinato;

che, per tutto quanto sopra considerato, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.