Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 febbraio 2017, n. 4263

Rapporto di collaborazione - Recesso anticipato - Risarcimento del danno patrimoniale

 

Svolgimento del processo

 

Con ricorso al Tribunale di Milano del 21.4.2008 M.E. agiva nei confronti della società G.F. srl (in prosieguo, per brevità: G. srl) per sentire accertare l'inadempimento della convenuta agli accordi del 15 ottobre 2006 concernenti la assunzione a carico del M. delle attività necessarie per rendere operativa la società; chiedeva la condanna della G. srl al versamento dei compensi ancora dovuti (€ 39.683,86 oltre IVA ed interessi) ed al risarcimento del danno derivatogli dal recesso anticipato della G. dal rapporto di collaborazione ( € 356.000 ed accessori).

Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 4.11.2008 (nr. 5239/2008), rigettava la domanda.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 23 marzo-30 maggio 2011 (nr. 3381/2011), in parziale accoglimento dell'appello del M., condannava la G. srl al pagamento dei corrispettivi richiesti dell'appellante (€ 39.683,86) e della somma di € 100.000 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre accessori.

Premetteva che i motivi di appello erano sufficiente specifici, come richiesto dagli artt. 342 e 434 cpc.

Esponeva che il giudice del primo grado, aderendo alle difese della parte convenuta, aveva ritenuto la G. srl estranea all'accordo oggetto di causa, in quanto concluso dal M. con un soggetto diverso, la E.M.S. S.P. (in prosieguo: E.M.S.). Rilevava, tuttavia, in senso contrario che la proposta di contratto firmata dal M., pur se diretta al responsabile di E.M.S. -(sig. F.) - aveva ad oggetto una attività di consulenza per conto della "cliente", identificata in premessa come "la nuova costituenda società G. srl" ed era stata sottoscritta per accettazione - oltre che dal vice-presidente di E.M.S. (dott. O.) - da G.V. nella qualità di "cliente") il V. era stato poi nominato amministratore unico della società G. srl all'atto della successiva costituzione della società (in data 19 dicembre 2006).

Il contratto, pur essendo sottoscritto dal V." in carenza del potere di rappresentanza della "cliente" alla data dell'atto, era stato poi ratificato dal soggetto rappresentato per fatti concludenti: la G. srl aveva dato esecuzione all'accordo e fruito delle prestazioni del M., pagando i compensi; aveva poi consegnato al M. per la esecuzione della prestazione il cellulare, la carta di credito e l'auto aziendale.

Non appariva decisiva nel senso della estraneità della G. al contratto la indicazione sulle fatture prodotte dal M., indirizzate alla G. e da essa pagate, della dicitura "consulenza operativa per conto della società E.M.S. S.P. tale indicazione trovava ragione nel fatto che il contratto di consulenza era stato sottoscritto con l'assenso e la supervisione della predetta società E.M.S., che aveva interesse ad entrare nel mercato italiano dei farmaci attraverso una nuova società.

La G. era dunque la controparte del contratto mentre non era rilevante la identità del soggetto che aveva comunicato al M. il recesso anticipato (dott. M.); era pertanto obbligata al pagamento del compenso contrattualmente stabilito e non ancora corrisposto.

Dal recesso ante tempus dal rapporto, per il quale era stato fissato il termine finale del 15.10.2009, derivava, in assenza di giusta causa, l'obbligo di risarcire il danno; il danno patrimoniale doveva determinarsi nella misura del 50% dei corrispettivi maturandi fino alla data di scadenza pattuita, in considerazione del venir meno delle spese connesse alla esecuzione del rapporto e della probabilità di acquisire nuovi incarichi nel tempo intermedio.

Per la cassazione della sentenza ricorre G. srl, articolando quattro motivi.

Resiste con controricorso il dott. E.M.

Ha depositato atto di intervento e memoria il fallimento della G.F. srl.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente la Corte precisa che la dichiarazione di fallimento della parte ricorrente non costituisce causa di interruzione del presente giudizio; deve infatti escludersi la possibilità di estendere al giudizio di cassazione, pure in mancanza di una espressa precisazione in tale senso, la disposizione dell'articolo 43, ultimo comma, della legge fallimentare - (che ha incluso espressamente tra gli effetti processuali della apertura del fallimento l'interruzione del processo di cui sia parte il fallito) - giacché la disciplina del giudizio di legittimità è dominata dall'impulso d'ufficio e risulta incompatibile con l'applicabilità delle cause di interruzione previste in via generale dalla legge processuale (in termini: Cassazione civile, sez. I, 01/10/2014, n. 20722). Deriva da ciò la inammissibilità per difetto di interesse del deposito di un atto di intervento da parte del curatore del fallimento di G. srl.

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione dell'articolo 434 cpc per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il motivo ha per oggetto la statuizione con la quale la Corte di merito respingeva la proposta eccezione di inammissibilità dell' appello del M. per genericità dei motivi.

La società ha dedotto che la motivazione della sentenza impugnata era meramente tautologica e contrastante con i contenuti del ricorso in appello, nel quale l'appellante, lungi dal censurare le motivazioni del Tribunale, si era limitato a riproporre le difese del ricorso introduttivo.

Il motivo è inammissibile.

Giova in questa sede premettere, riguardo alle censure formulate sotto il profilo della carenza di motivazione della sentenza gravata, che il vizio di motivazione, che è denunciarle come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c., può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione della controversia e dei quali la Corte non possa conoscere direttamente, diversamente da quanto avviene per le vicende processuali che si traducono in errori di rito, rispetto alle quali questa Corte è giudice del fatto processuale, come chiarito con gli arresti a Sezioni Unite del 22/05/2012 nnrr. 8077 ed 8078.

In tal caso il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda; ciò tuttavia alla duplice condizione:

- Che il motivo sia riconducibile alla previsione dell'articolo 360 nr. 4 cpc.

- Che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Dalla applicazione dei suesposti principi al caso in esame deriva la inammissibilità del motivo.

Si è già detto della inconferenza della denuncia di un vizio di motivazione giacché la violazione della norma processuale ricorre o meno indipendentemente dalla motivazione offerta dal giudice del merito; quanto alla denunziata violazione dell'articolo 434 co.1 cpc si osserva che affinchè un motivo possa qualificarsi proposto ai sensi al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ. è necessario che esso rechi univoco riferimento alla nullità della decisione pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica della predetta ipotesi, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge: Cassazione civile, sez. un., 24/07/2013, n. 17931.

Ulteriore regione di improcedibilità è rappresentata, ai sensi dell'articolo 369 nr. 4 cpc, dalla mancata localizzazione e deposito in questa sede dell'atto di appello.

2. Con il secondo motivo la società G. srl ha censurato la sentenza deducendo - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione degli articoli 1399, 1398, 2331 cc. nonché - ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cpc - omessa insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il motivo investe la statuizione sulla ratifica tacita del contratto da parte di G. srl.

La società ha lamentato la mancata considerazione dei limiti legali della ratifica per le società di capitali giacché essa non è riferibile a negozi posti in essere in un periodo precedente alla costituzione della società - ovvero alla sua iscrizione nel registro delle imprese - attesa la impossibilità del rappresentante senza poteri di spendere il nome di un soggetto non ancora esistente.

Ha esposto che la G. era stata costituita oltre due mesi dopo la stipula del contratto, il 19.12.2006 ed era stata iscritta nel registro delle Imprese il 28.12.2006.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che colui che agisce in nome di una società di capitali prima dell'iscrizione di questa nel registro delle imprese è qualificabile come "falsus procurator" ed incorre perciò nella responsabilità prevista dall'art. 1398 c.c. e che la società di capitali, acquisita la personalità giuridica per effetto della iscrizione, può ratificare anche per "facta concludentia" gli atti posti in essere dal rappresentante senza poteri, precisando comunque che gli effetti prodotti dalla suddetta ratifica retroagiscono sino al momento della stipulazione del contratto di società ma non sono riferibili a negozi posti in essere in un periodo precedente, attesa l'impossibilità, per il rappresentante senza poteri di spendere il nome di un soggetto non ancora venuto ad esistenza (Cassazione civile 10 ottobre 2011 n. 20805; 12 dicembre 2005, n. 27335; 15 novembre 1993 n. 11278; 5 maggio 1989 n. 2127).

Tali principi, tuttavia, non sono in contrasto con l'accertamento da parte del giudice del merito della avvenuta ratifica da parte della società G. srl, costituita in data 19.12.2006, di un contratto di durata che seppure sottoscritto in data 15 ottobre 2006 era destinato a svolgersi anche in epoca successiva alla costituzione della società ed all'acquisto della personalità giuridica.

Dal contratto del 15.10.2006 derivava un rapporto di durata triennale sicché la ratifica ben poteva retroagire alla data di costituzione della società per la parte del rapporto svoltasi da tale data, ai sensi dell'articolo 2331 cc., restando invece esclusivamente a carico del falsus procuratola tenore dell'articolo 1398 cc. la responsabilità per i danni eventualmente sofferti dalla controparte per gli effetti relativi ad epoca anteriore.

Nella fattispecie di causa la domanda, come risulta dalla sentenza in questa sede impugnata, riguardava il saldo del compenso pattuito per il periodo da marzo ad agosto 2007, l'intero compenso del mese di settembre 2007 nonché il risarcimento del danno derivato dal recesso anticipato comunicato nell'ottobre 2007, fatti ed effetti tutti successivi alla data di costituzione della società G.

3. Con il terzo motivo la società G. ha denunziato - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione degli articoli 1362, 1411 e 2230 cc. nonché - ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cpc - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La censura afferisce alla statuizione che individuava il soggetto obbligato dal contratto del 15.10.2006.

La ricorrente ha dedotto che la suddetta scrittura doveva qualificarsi come contratto a favore di terzo, in conformità al canone emermeneutico dell'articolo 1362 cc.; la G. srl non era cioè parte del contratto ma terzo - beneficiario delle prestazioni in esso previste.

Tale considerazione non poteva essere inficiata dalla produzione di una fattura (doc. 6) intestata a G. srl , fattura che peraltro recava la dicitura " consulenza operativa per conto della società E.M.S. S.P.".

Soggetto obbligato al pagamento dei compensi era dunque il contraente E.M.S., a nulla rilevando la eventuale delegazione di pagamento da parte di E.M.S. nei confronti del terzo- G..

La estraneità di G. all' accordo era confermata dalla sottoscrizione del contratto da parte del dott. O. per E.M.S. e dalla comunicazione del recesso e gestione del successivo contenzioso da parte del dott. S.M., soggetto privo di qualsivoglia carica all'interno di G. srl.

Il motivo è inammissibile.

La interpretazione della volontà della società G., in particolare nel senso della ratifica per fatti concludenti del contratto concluso in suo nome dal falsus procurator costituisce un giudizio di fatto , censurabile in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cpc.

Per costante giurisprudenza di legittimità il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal DL 83/2012 - (applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d'appello) - non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ad esempio, in termini, Cassazione civile, sez. IlI, 04/03/2010, n. 5205, Cass. 6 marzo 2006, n. 4766. Sempre nella stessa ottica, altresì, Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006, n. 19274; Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).

Nella fattispecie di causa la società ricorrente piuttosto che dedurre specifici vizi della motivazione propone a questa Corte un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.

La G. lamenta, in sostanza , che la Corte del merito non abbia aderito alle proprie difese in punto di estraneità al contratto del 15.10.2006, prospettando una valutazione dei documenti prodotti diversa da quella operata in sentenza.

Gli elementi di fatto che la ricorrente pone a fondamento del motivo risultano tutti esaminati nella motivazione della sentenza né vengono denunziati passaggi motivazionali affetti da contraddittorietà o insufficienza argomentativa.

Rispetto alla ricostruzione del fatto operata dal giudice del merito neppure viene individuato uno specifico motivo di violazione delle norme di diritto indicate nella rubrica del motivo.

4. Con il quarto motivo di ricorso (erroneamente rubricato come terzo) la società ricorrente ha dedotto, ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cpc - violazione dell'articolo 2697 c.c. nonché ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cpc - omessa insufficiente e contraddittoria motivazione La censura attiene alla pronunzia di condanna al pagamento del corrispettivo ed al risarcimento del danno.

La società ha esposto di avere contestato l'ammontare delle somme richieste, contrariamente a quanto statuito in sentenza, facendo leva sulle stesse allegazioni del ricorso avversario.

In esso il M. dava atto di una riduzione dei compensi del 60% rispetto a quelli inizialmente pattuiti, a compensazione degli scarsi risultati della attività di commercializzazione di G. srl; il M., del resto, nell'emettere le fatture non aveva mai precisato trattarsi di fatture in acconto del maggior avere.

Gli importi pretesi in domanda a titolo di saldo (€ 39.683,60) non potevano dirsi riconosciuti e non erano stati affatto provati.

In ordine alla quantificazione del danno in € 100.000, la Corte di merito aveva operato una inversione dell'onere della prova, imputando a chi si era dichiarato estraneo al rapporto contrattuale l'onere di provare il mancato verificarsi del danno; la quantificazione era svincolata da ogni giustificazione logica ed era fondata su valutazioni prive di supporto argomentativo e probatorio.

Il motivo è inammissibile.

La denunzia di violazione dell'articolo 2697 c.c. è inconferente; la regola processuale evocata dalla ricorrente viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull'onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova.

Nella fattispecie di causa la Corte di merito ha ritenuto positivamente raggiunta la prova tanto del credito del M. per compensi che del danno sofferto per il recesso ante tempus senza ricorrere alla regola di giudizio residuale di cui all'articolo 2697 cc.

Sotto il profilo del dedotto vizio di motivazione il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in violazione della prescrizione dell'articolo 366 nr. 6 cpc.

La società ricorrente genericamente assume di avere contestato l'importo dei compensi richiesti, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, senza indicare in quale atto processuale sarebbe stata compiuta tale contestazione e senza riportarne i contenuti rilevanti (o alternativamente provvedere alla loro localizzazione ); del pari inadempiuto è l'onere , imposto dall'articolo 369 nr. 4 cpc, di provvedere al deposito dello stesso atto processuale.

Analogamente la ricorrente assume che nel ricorso di primo grado il M. avrebbe dato atto di una riduzione dei compensi del 60% rispetto alle pattuizioni iniziali ma non provvede a trascrivere o localizzare tali affermazioni nell'ambito del ricorso introduttivo della lite né a depositarlo.

Difetta, poi, di decisività il fatto (di cui si lamenta il mancato esame) che le fatture emesse dal M. (per i mesi da marzo ad agosto 2007) non riportassero la dicitura "in acconto"; trattasi di specificazione ex se non determinante ad individuare il carattere satisfattivo o parziale del pagamento per cui veniva emessa fattura.

In ordine al risarcimento del danno,poi, la società ricorrente lamenta una omessa motivazione della statuizione senza assolvere al proprio onere di indicare quali elementi di fatto, controversi e decisivi, non sarebbero stati esaminati dal giudice dell'appello e senza indicare i passaggi della sentenza affetti da un vizio di insufficienza e contradditorietà.

La Corte di merito ha fondato congruamente il suo giudizio di quantificazione del danno nell' importo percentuale del 50% dei compensi non percepiti per effetto della interruzione anticipata del rapporto, in considerazione del lucro cessante decurtato delle spese da sostenere e dell'aliunde percipiendum senza che nella statuizione si individuino vizi logici o insufficienza argomentativa .

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

In punto di spese deve darsi atto della tardività del controricorso del M., posto che la notifica dei ricorso è del 22.7.2011 e la richiesta di notifica del controricorso è del 27.9.2011.

Vanno pertanto liquidate, nella misura indicata in dispositivo, le sole spese per la partecipazione del difensore del controricorrente alla discussione in pubblica udienza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 1.500 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.