Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 29 marzo 2018, n. 7843

Natura subordinata del rapporto di lavoro - Prova dei fatti costitutivi - Mancata risposta all'interrogatorio formale -Desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti nel processo - Facoltà del giudice di merito - Criteri e parametri del calcolo per la quantificazione del credito - Difetto di specifica contestazione - Riferimento a fatti e non alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi

 

Rilevato che

 

1. il Tribunale di Roma aveva respinto, per mancanza di idonea prova dei fatti costitutivi dell'azionata pretesa, il ricorso proposto da N. O. inteso ad ottenere, previa declaratoria delle natura subordinata del dedotto rapporto di lavoro, la condanna di T. F. al pagamento della complessiva somma di euro 79.897,90 a titolo di differenze retributive, indennità sostitutiva di ferie e festività e T.F.R. sulla base di conteggio elaborato sulla scorta dei parametri di cui al c.c.n.I. per i dipendenti dalle organizzazioni degli allevatori, consorzi ed enti zootecnici, con riguardo alla qualifica di ausiliario III categoria II livello, cui andavano riferite le mansioni svolte;

2. la Corte di appello di Roma, con sentenza del 15.10.2012, in accoglimento del gravame proposto dal N. ed in riforma della impugnata decisione, condannava il T. al pagamento della somma richiesta, oltre accessori di legge dalla maturazione dei crediti al saldo, ritenendo che dal contesto probatorio dovesse evincersi che l'appellante nel periodo in contestazione aveva prestato stabilmente la propria opera a favore e sotto le direttive del T. e che alle risultanze della prova per testi dovesse affiancarsi la mancata presentazione di quest'ultimo a rendere l'interrogatorio formale deferitogli;

3. di tale decisione domanda la cassazione il T., affidando l'impugnazione a due motivi, cui non ha opposto difese l'O.;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, si denunzia omessa e/o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c., con riferimento all'art. 232 c.p.c., in relazione all'art. 116 c.p.c.), ritenendosi non consentita l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione dalla Corte d'appello, per avere la stessa omesso di specificare i fatti costitutivi ed i relativi capitoli di prova ritenuti implicitamente riconosciuti per effetto della omessa risposta all'interrogatorio formale, in conseguenza della mancata presentazione del soggetto cui lo stesso era stato deferito alla data stabilita per l'espletamento dell'incombente istruttorio;

2. con il secondo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione di una norma di diritto ex art. 360, n. 5, c.p.c. con riferimento all'art. 416, in relazione all'art. 116 c.p.c., nonché travisamento dei fatti ed illogicità della motivazione, assumendosi che la specifica contestazione dei conteggi con riguardo ai parametri di calcolo ed ai criteri di determinazione effettuata dal T., rimasto contumace nel giudizio di primo grado, soltanto con la memoria di costituzione nel giudizio di appello non soggiace al divieto dello ius novorum in tale sede sancito dall'art. 437 c.p.c.;

3. il vizio denunziato con la prima censura è mal dedotto ed in particolare la critica si rivela priva di ogni fondamento, posto che i fatti oggetto dell'interrogatorio sono ben desumibili dal contesto motivazionale, che evidenzia adeguatamente le premesse in fatto sulla cui base era stata avanzata la domanda di cui al ricorso introduttivo;

4. la valutazione, ai sensi dell'art. 232 cod. proc. civ., della mancata risposta all'interrogatorio formale rientra, poi, nell'ampia facoltà del giudice di merito di desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti nel processo, a norma dell'art. 116 cod. proc. civ.: in particolare, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio stesso quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, valutando ogni altro elemento probatorio,

che non deve risultare "ex se" idoneo a fornire la prova del fatto contestato, poiché in tal caso sarebbe superflua ogni considerazione circa la mancata risposta all'interrogatorio, ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento dei giudice sui fatti dedotti nell’interrogatorio medesimo; l'esercizio di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità né per violazione di legge né per vizio di motivazione (cfr. Cass. 22.7.2005 n. 15389, Cass. 16.5.2006 n. 11370; Cass. 26.4.2013 n. 10099);

5. nella specie, la valutazione connessa alla mancata presenza del T. all'interrogatorio è stata compiuta in unione con le altre risultanze processuali, rappresentate dalle dichiarazioni rese dai tesi escussi, confermative delle circostanze dedotte in ricorso, secondo la valutazione complessiva del compendio istruttorio effettuata dal giudice del gravame e non censurata nella presente sede se non limitatamente ai rilievi connessi alla dedotta violazione dell'art. 232 c.p.c.;

6. il secondo motivo è formulato anch'esso in modo non coerente con il vizio e la violazione dedotti e riporta giurisprudenza di legittimità non pertinente, in quanto le mere difese consentite sono riferite unicamente ai fatti e non alla determinazione della loro dimensione giuridica (interpretazione della disciplina legale contrattuale della quantificazione contenuta nei conteggi che appartiene al potere dovere del giudice e non è condizionata dalle prospettazioni difensive e dai comportamenti processuali delle parti);

7. invero, il ricorrente si riferisce proprio ai criteri e parametri del calcolo, che si assumono contestati, in violazione degli stessi principi affermati dalle pronunce di legittimità richiamate e debile ulteriori, che, nell'affrontare lo specifico tema, hanno ribadito, con riferimento ad ipotesi assimilabili quanto ai principi ad esse sottesi, come "nel rito del lavoro, il difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti, non semplicemente alle regole legali o contrattuali di elaborazione dei conteggi medesimi, e sempre che si tratti di fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione concernente l'an debeatur" (cfr. Cass. S.U. 23 gennaio 2002, n. 761, emanata a composizione di contrasto di giurisprudenza, Cass. 22.12.2005 n. 28381 - punto 14.2  Cass. 8.8.2003 n. 12010);

8. la doglianza del ricorrente si fonda, in definitiva, su principi che, ove applicati secondo la prospettata impostazione, si porrebbero in contrasto con la regola generale secondo cui la contestazione da parte del convenuto dei presupposti di fatto e di diritto sui quali è basata la pretesa dell'attore, nella quale deve ritenersi compresa anche la contestazione della valenza probatoria degli elementi di prova documentale prodotti dall'attore per dimostrarne la sussistenza, non costituisce una eccezione (ne in senso stretto ne in deduzione nel giudizio di appello, senza possibilità di estendere la valenza del medesimo principio alla contestazione delle regole di elaborazione dei conteggi oggetto dei poteri valutativi del giudice;

9. deve, pertanto, pervenirsi al rigetto del ricorso;

10. nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo la società rimasta intimata.

11. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R..