Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 dicembre 2016, n. 25834

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Ricorso per revocazione - Condizioni

 

Ritenuto in fatto

 

P.A. s.p.a. in persona del legale rappresentante pro- tempore, chiede la revocazione della sentenza, indicata in epigrafe, con cui questa Corte -in accoglimento del terzo motivo del ricorso (proposto dall’Agenzia delle Entrate ed iscritto al n. 11956/2009), assorbiti gli altri- ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettato il ricorso introduttivo della contribuente avverso l'avviso di accertamento emesso a titolo di IRPEG ed IRAP del 2001 a seguito della ritenuta violazione degli artt.10 e ss. della legge 21 novembre 2000 n. 342.

In particolare, la ricorrente chiede la revocazione relativamente al capo di sentenza nel quale questa Corte ha affermato che "la rivalutazione dei beni appartenenti dalla medesima categoria omogenea deve riguardare tutti i beni di quella categoria, con la conseguenza, in caso di violazione di tale obbligo, cioè di esclusione di alcuni beni dalla rivalutazione, del disconoscimento degli effetti fiscali dalla rivalutazione per tutti gli altri beni della stessa categoria" perché fondato sull’errore di ritenere che vi fossero stati dei beni esclusi da parte della Società dalla rivalutazione di una sottocategoria omogenea, laddove ogni dubbio sul punto era fugato dalla lettura degli estratti dei cespiti ammortizzabili e del prospetto relativo alla suddivisione del VCU dei macchinari di ossidazione (documenti n.7, 8 e 9 allegati al ricorso introduttivo avanti la Commissione Tributaria Provinciale).

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, la ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

 

Considerato in diritto

 

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l'errore di fatto previsto dall'art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, vale a dire quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l'esistenza o l'inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicché detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali: vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonché 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

Alla luce dei richiamati principi, il ricorso, nei termini in cui è formulato, è inammissibile laddove con lo stesso si deduce un errore percettivo che non solo non appare di assoluta immediatezza e di semplice rilevabilità, risultando da atti esterni al giudizio di legittimità ed abbisognando, comunque, di argomentazioni induttive onero di indagini ermeneutiche per la sua concreta constatazione ma, ancor prima, è, in realtà, mezzo attraverso cui si introduce (ovvero si ribadisce) inammissibilmente una questione di diritto.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso senza pronuncia sulle spese per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi dell'art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.