Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 giugno 2017, n. 15981

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimentro - Sentenza - Motivazione apparente - Mera adesione acritica all'atto d'impugnazione, senza indicazione né della tesi in esso sostenuta, né delle ragioni di condivisione - Nullità

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 11 maggio 2015 la Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 107/2/13 della Commissione Tributaria provinciale di Asti che aveva accolto i ricorsi della C.V.D.G. e R. snc, di D.F., D.G., D.G. e D.R. contro gli avvisi di accertamento IRAP, IVA, IRPEF 2006. La CTR osservava in particolare che il gravame interposto dall’Ente impositore era fondato e condivisibile, basandosi l’atto impositivo impugnato su presunzioni "gravi, precise, concordanti"; affermava inoltre l’infondatezza dei motivi dell’ appello incidentale condizionato proposto dai contribuenti, sia con riguardo al mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, Legge 212/2000, trattandosi di norma non applicabile al caso di specie, sia con riguardo alla legittimità del ricorso al metodo accertativo analitico-induttivo, data la fondatezza delle presunzioni utilizzate nell’atto impositivo impugnato.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. - i ricorrenti lamentano la violazione/omessa applicazione degli artt. 36, D.Lgs. 546/1992, 132, n. 4, cod. proc. civ., poiché la CTR si e limitata a rinviare del tutto acriticamente al contenuto del gravame principale dell’Agenzia fiscale, così non assolvendo al proprio obbligo motivazionale anche costituzionale.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che:

- «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 - 01).

- «La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

- «La sentenza motivata "per relationem", mediante mera adesione acritica all'atto d'impugnazione, senza indicazione né della tesi in esso sostenuta, né delle ragioni di condivisione, è affetta da nullità, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in quanto corredata da motivazione solo apparente» (Sez. 5, Sentenza n. 20648 del 14/10/2015, Rv. 636648).

La sentenza impugnata contrasta all’evidenza con tutti tali principi di diritto.

Anzitutto perché nella sua motivazione si fa riferimento meramente apodittico ed inautonomo ai motivi di appello principale addotti dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, non potendosi considerare diversamente la mera indicazione degli elementi indiziari basanti l’avviso di accertamento impugnato, senza alcuna considerazione argomentativa logica, fattuale e giuridica in ordine ai medesimi.

Peraltro, relativamente all’elemento indiziario principale e diretto utilizzato dall’Ente impositore ossia il calcolo delle bottiglie vendute in asserita evasione d’imposta, il giudice di appello ha totalmente omesso ogni valutazione circa l’efficacia probatoria delle controprove documentali prodotte dai contribuenti, specificamente riguardanti il numero di tappi acquistati nell’annualità fiscale de qua.

Per tali ragioni, la motivazione della sentenza stessa risulta quindi non soddisfare lo standard del "minimo costituzionale" enucleato dalle SU di questa Corte, con la citata pronuncia interpretativa della novella dell’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

Le considerazioni che precedono risultano assorbenti della seconda censura prospettata.

Con il terzo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - i ricorrenti lamentano violazione/omessa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 212/2000, poiché la Commissione tributaria regionale, rigettando il correlativo motivo di appello incidentale condizionato, ha affermato l’inapplicabilità di tale disposizione legislativa, trattandosi di attività accertatoria non espletata presso i contribuenti.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che qualora, come è pacificamente nel caso che occupa, si tratti di attività di verifica/ispezione effettuata "senza accesso" ossia c.d. "a tavolino", non sussiste obbligo di redazione di processo verbale di verifica e di constatazione, essendo tale obbligo limitato dalla disposizione legislativa in questione al, diverso, caso di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali di esercizio dell’impresa/della professione; che quindi nemmeno è applicabile il termine dilatorio nella disposizione stessa previsto (cfr. in questo senso Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 21391 del 09/10/2014, Rv. 632381 - 01). Peraltro devesi osservare che il precedente delle SU di questa Corte citato dai ricorrenti (n. 18184/2013) non è pertinente, poiché esso riguarda l’osservanza del c.d. "contraddittorio endoprocedimentale" appunto nel diverso caso (costituente la chiara ratio decidenti del precedente stesso) in cui vi sia stato accesso presso i locali aziendali/professionali del contribuente.

Inoltre va poi anche rilevato che con più recente giurisprudenza questa Corte ha affermato che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi "armonizzati", mentre, per quelli "non armonizzati", non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 - 01) e che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l'Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. "a tavolino"» (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 - 01).

Orbene, va notato che nel caso di specie, come detto insussistente l’obbligo di redazione/comunicazione del processo verbale di verifica/di constatazione ed il relativo termine dilatorio dalla consegna per osservazioni ex art. 12, comma 7, legge 212/2000, escluso che un obbligo generale di "contraddittorio endoprocedimentale" vi sia rispetto all’IRAP ed all’IRPEF" (tributi non armonizzati), in ogni caso rispetto all’obbligo che invece può configurarsi per PIVA societaria (tributo armonizzato) il contraddittorio vi è pacificamente stato ed ha consentito al contribuente di difendersi ed allegare la documentazione contro probatoria indicata nel secondo motivo del ricorso.

Con il quarto motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - i ricorrenti lamentano violazione/omessa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973, poiché la CTR ha affermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato in quanto dotate di "gravità, precisione, concordanza" le presunzioni basanti l’atto impositivo medesimo.

La censura è infondata.

Come rilevato dall’avvocatura erariale, risulta evidente che la statuizione oggetto del motivo solo per errore ha fatto riferimento alla disposizione legislativa evocata, intendendo chiaramente riferirsi alla diversa previsione di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 600/1973.

Univoco in questo senso risulta essere l’impiego che la CTR ha fatto del concetto di "accertamento analitico-induttivo", non meramente "induttivo" come comunemente viene categorizzato quello di cui all’art. 39, secondo comma, d.P.R. 600/1973.

La censura dunque non coglie la ratio decidenti della sentenza impugnata su questo specifico punto di diritto.

Il ricorso deve dunque essere accolto in relazione al primo motivo, assorbito il secondo e rigettati il terzo ed il quarto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, rigetta il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.