Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 dicembre 2016, n. 25919

Rapporto di lavoro - Orario di lavoro gravoso ed iniquo - Flessibilità - Accordo aziendale

 

Svolgimento del processo

 

P.D. e numerosi litisconsorti, tutti autisti addetti al servizio urbano della s.p.a. T., adivano il Tribunale di Siena lamentando che dall'anno 2000, l'azienda aveva illegittimamente introdotto una tipologia di orario gravoso ed iniquo, che aveva inciso sulla qualità e quantità del lavoro, determinando altresì un sensibile depauperamento della retribuzione. Deducevano in particolare che i turni di servizio non erano conformati alla media oraria giornaliera di 6 ore e 30' stabilita dal contratto collettivo nazionale del luglio 1976, ma oscillanti fra turni più lunghi di 7h-7h e 30' comprensivi di straordinario programmato, e turni molto brevi anche di quattro ore, collocati nei turni del sabato e della domenica. Lamentavano altresì la programmazione mensile di numerose giornate di turno di scorta, destinati a coprire le sostituzioni degli agenti assenti, che comportava il comando in turno il giorno prima della prestazione, con evidente disagio per la programmazione della loro vita familiare e sociale.

Premesso che l'art. 6 c.c.n.I. 2000 aveva confermato l'orario settimanale quale media nel multi periodo fissato in 17 settimane, deducevano l'illegittimità dell'accordo aziendale del 2001 che aveva sancito il regime della conguagliabilità dell'orario di lavoro giornaliero, fino ad un massimo di 25' giornalieri di straordinario, e fino ad un massimo di Ih 30' giornalieri di sott'orario, giacché incideva, in pejus, sulla materia dell'orario di lavoro riservata in via esclusiva alla contrattazione nazionale. Sulla scorta di tali rilievi, chiedevano condannarsi la società convenuta al pagamento delle ore di straordinario prestate ed illegittimamente conguagliate con il lavoro ordinario ex art. 6 c.c.n.I. 2000, a far tempo dal gennaio 2000, ed in subordine, al risarcimento del danno patito per effetto della omessa remunerazione del lavoro straordinario reso.

Resisteva la società instando per il rigetto del ricorso.

Il giudice adito respingeva le domande con pronuncia che veniva confermata dalla Corte d'Appello di Firenze.

La Corte distrettuale, a fondamento del decisum, ed in estrema sintesi, osservava che l'orario di lavoro settimanale era di 39 ore e che il suo rispetto andava parametrato al lungo periodo di 17 settimane, come previsto dall'art. 6 c.c.n.I. la cui attuazione era devoluta alla contrattazione di secondo livello; il sistema di turno adottato, era rispettoso del criterio e dei limiti indicati né violava i dettami di cui al d.lgs. n. 66/2003; l'accordo aziendale, a fronte di una previsione collettiva che autorizzava parte datoriale ad operare con flessibilità di orario nei limiti delle 39 ore settimanali in 17 settimane, introduceva ulteriori limiti a vantaggio dei lavoratori, per i quali si prevedeva un tetto massimo di conguagliabilità con salvezza della maggiorazione per il lavoro straordinario quando la prestazione giornaliera eccedeva, a regime, i 25 minuti.

Avverso tale decisione i lavoratori interpongono ricorso per cassazione, affidato a dodici motivi.

Resiste con controricorso la società intimata che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Con i primi due motivi si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 6 lett. a c.c.n.I. 2000, violazione e/o omessa applicazione dell'art. 4/A c.c.n.I. 1976; violazione dell'art. 1362 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c. nonché omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso fra le parti e decisivo della controversia.

Si lamenta che la Corte distrettuale abbia ritenuto la disposizione di cui all'art.6 della contrattazione collettiva nazionale, carente nella determinazione dei criteri di realizzazione della media oraria di lavoro, tralasciando di considerare che la materia risultava ancora disciplinata dall'art. 4/A del contratto collettivo 1976, che regolava il criterio quantitativo della prestazione media giornaliera.

2. Con i motivi terzo e quarto si denuncia violazione dell'art. 7 c.c.n.I. 1997 in ordine alla competenza nazionale in materia di orario di lavoro ed in ordine alla individuazione della competenza della contrattazione aziendale, violazione e falsa applicazione dell'art. 6 c.c.n.I. 2000 nonché violazione degli artt. 3 c.c.n.I. 23 luglio 1976 come modificato dall'art. 3 lett. c dell'accordo nazionale 12 luglio 1985 circa la competenza aziendale, ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. Si ribadisce essenzialmente che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte distrettuale, il c.c.n.I. del 1976 non legittima il potere di formazione sui limiti di durata della prestazione giornaliera e sulla conguagliabilità minima e massima dell'orario di lavoro.

3. Con il quinto e sesto motivo è dedotta, in relazione all'art. 360 comma primo n.3., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 lett. e c.c.n.I. 27/11/2000 - con riferimento al valore di riferimento della media orario giornaliera posta dall'art. 4/A c.c.n.I. 23 luglio 1976 - in ordine al significato dei limiti in punto di formazione durata e rotazione dei turni e mancato riconoscimento della violazione di tale limite da parte della disciplina aziendale, nonché violazione degli artt. 115- 116 c.p.c.

4. Con il settimo motivo si denuncia violazione dell'art. 3 L.138/58, dell'art. 3 r.d. n. 2328/1923, dell'art. 14 disp. prel. al cod. civ. nonché violazione dell'art. 11 c.c.n.I. 12/3/80 ex art. 3. Si lamenta, in sintesi, che la disciplina sul conguaglio orario contenuta nell'accordo aziendale impugnato del 2001, si pone in palese violazione della disciplina speciale del settore sul lavoro straordinario che sostanzialmente subordina l'esecuzione del lavoro straordinario all'adesione del lavoratore ed alla sua remunerazione maggiorata.

5. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di pregio.

Le critiche formulate avverso il pronunciato della Corte territoriale, pur nella molteplicità dei profili sollevati, muovono da un comune presupposto, integrato dalla pretesa ultrattività del c.c.n.I. del 1976 disciplinante l'orario medio di lavoro giornaliero.

I ricorrenti mirano ad accreditare una tesi che, per il tramite di una supposta errata interpretazione del disposto di cui all'art. 6 c.c.n.I. 27/11/2000, stigmatizza la rinnovata regolamentazione inerente alla remunerazione del lavoro straordinario introdotta dall'accordo aziendale 11/7/2001, secondo cui alla parte aziendale era consentito predisporre turni di lavoro tali da conguagliare, entro predisposti limiti quantitativi, le prestazioni di maggior orario in un turno con il sotto orario di un altro, considerata la media dell'orario di lavoro effettivo erogato in un arco temporale plurimensile (due mesi per l'anno 2001, quattro mesi a far tempo dall'anno 2002).

6. Sostengono, infatti, i lavoratori, che il summenzionato art. 6 lett. a del c.c.n.I. 2000 (secondo cui: "La durata settimanale dell'orario di lavoro per i lavoratori ai quali si applica il presente c.c.n.I. è realizzata come media nell'arco di 17 settimane. Soltanto le modalità di attuazione saranno oggetto di preventivo esame congiunto secondo quanto previsto dall'art. 3 del c.c.n.I. 23 luglio 1976 così come modificato dall'art. 3 lett. C) dell'accordo nazionale 12 luglio 1985"), sia intervenuto sulla vigente disciplina contrattuale nazionale in materia di orario di lavoro, modificando solo la determinazione del lungo periodo di calcolo della media orario e lasciando invariate le precedenti disposizioni contrattuali nazionali che disciplinavano la quantità dell'orario secondo criteri differenziati per le diverse categorie di personale. In tale contesto, i ricorrenti fanno, quindi, richiamo all'art. 4/A c.c.n.I. 1976 che aveva fissato per il personale viaggiante, il criterio quantitativo della prestazione media giornaliera.

7. L'assunto è privo di fondamento, per quanto di seguito esposto.

Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, "i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l'opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo - secondo la disposizione dell'art. 2074 cod. civ. - ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall'art. 39 Cost." (v. Cass. 25-52012 n. 8288, Cass. 7-10-2010 n. 20784, Cass. S.U. 30-5-2005 n.11325). Pertanto, come pure è stato affermato, "a seguito della naturale scadenza del contratto collettivo, in difetto di una regola di ultrattività del contratto medesimo, la relativa disciplina non è più applicabile, ed il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge, salvo che le parti abbiano inteso, anche solo per facta concludentia, proseguire l'applicazione delle norme precedenti" (v. Cass. cit. n. 20784 del 2010).

8. Posta, quindi, la regola generale della non ultrattività del contratto collettivo nazionale, che sul fondamento della manifestazione della volontà delle parti sociali riposa, s'impone l'evidenza che i ricorrenti siano venuti meno all'onere sugli stessi gravante, di dimostrare che le parti avessero inteso prorogare la durata già fissata, con il comportamento successivamente serbato.

Tanto non emerge dal complesso delle allegazioni di parte ricorrente.

Né può ritenersi che il contratto collettivo del 2000 abbia introdotto inammissibili modificazioni in pejus, del precedente assetto normativo. Va infatti in proposito richiamato il principio già affermato da questa Corte e qui condiviso, secondo cui .nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale (vedi Cass. n. 13960 del 19-6-2014).

Corollario di quanto sinora detto è che gli approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale sulla delibata questione sono conformi a diritto, perché coerenti con l'evoluzione della disciplina dell'orario di lavoro e con il tenore della disposizione contrattuale collettiva nazionale che delega alla contrattazione aziendale cd. di prossimità, la definizione delle modalità di applicazione dell'orario settimanale sul periodo di 17 settimane, modulandolo in conformità alle esigenze di turnazione connesse alla peculiarità del servizio.

9. Con l'ottavo ed il nono motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6 lett. e c.c.n.I. 27 novembre 2000, dell'art. 10 I. 2328/23 ex art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. ed omessa e/o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. Lamentano che la Corte territoriale abbia disatteso la disciplina nazionale, contrattuale e legislativa dalla quale emergerebbe il principio generale della previa programmazione dei turni di servizio, nel senso di determinazione programmatica dell'orario di lavoro nel multi periodo, di distribuzione e rotazione dei turni fra gli agenti e la pubblicità della programmazione stessa.

10. I motivi sono infondati.

La Corte, invero, ha argomentato al riguardo, che l'assenza di una specifica disciplina attinente alla regolamentazione dei turni di scorta, non comportava che anche siffatta tipologia di turni venisse diversamente regolata, con sottrazione alla regola, della conguagliabilità del lavoro sovraorario prestato. La statuizione, pur nella sue essenziali modalità espressive, appare congrua e conforme a diritto giacché riconduce anche la regolamentazione di siffatta categoria di turni - qualificati dalla non previa programmabilità e conoscibilità da parte dei lavoratori perché destinati a coprire le sostituzioni di lavoratori assenti - alla disciplina della remunerazione dell'orario di lavoro straordinario secondo la regola generale della conguagliabilità sancita dalla contrattazione di secondo livello, applicabile alla fattispecie qui scrutinata per quanto sinora detto; onde resiste alla censura all'esame.

11. Con il decimo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 112 c.p.c. ex art. 360 n. 4 c.p.c. lamentando l'omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria che era stata specificamente proposta in atto introduttivo.

Il motivo va disatteso.

Invero, secondo i principi più volte affermati da questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione in cui - così come nella specie - sia denunciata puramente e semplicemente la "violazione o falsa applicazione di norme di diritto" ai sensi dell'art. 112 c.p.c., senza alcun riferimento alle conseguenze che l'errore (sulla legge) processuale comporta, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento, essendosi il ricorrente limitato ad argomentare solo sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (vedi Cass. 28/9/2015 n. 19124). Se è pur vero che nel caso in cui il ricorrente lamenti l'omessa pronuncia, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell'art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all'art. 112 cod. proc. civ., è, tuttavia, necessario che il motivo rechi comunque univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass. S.U. 24/7/2013 n. 17931), riferimento che, come innanzi precisato, manca del tutto nella articolata censura.

12 .Con l'undicesimo e il dodicesimo motivo si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. nonché violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Si critica la sentenza impugnata per avere eluso il sesto ed il settimo motivo di appello con i quali si era lamentata l'omessa valutazione delle risultanze della c.t.u. comprovanti la costruzione dei turni con totale azzeramento del compenso per lavoro straordinario e la rilevante incidenza quantitativa dei turni di scorta collocati nelle programmazioni mensili.

13. Anche detti motivi non superano il vaglio di ammissibilità nella presente sede.

In tema di impugnazione per cassazione, ed in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, la parte che alleghi la mancata valutazione delle consulenze tecniche d'ufficio espletate nei gradi di merito, ha l'onere di indicare compiutamente (e, se del caso, trascrivere nel ricorso) gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di consentire alla corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza impugnata che si sia motivatamente dissociata dalle conclusioni peritali, dovendosi, in carenza di detta specificazione, dichiarare il ricorso inammissibile (così, fra le altre, Cass. 12/2/2014 n. 3244).

Questa Corte, ha altresì precisato che la parte la quale intenda far valere in sede di legittimità un motivo di ricorso fondato sulle risultanze della consulenza tecnica espletata in grado di appello è tenuta - in ossequio al ricordato principio di autosufficienza del ricorso - ad indicare se la relazione cui si fa riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del giudizio di merito (specificando, in tal caso, gli estremi di reperimento della stessa), ovvero a chiarire alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere altrimenti individuata, non potendosi affidare al giudice di legittimità il compito di svolgere un'attività di ricerca della relazione, in sede decisoria, senza garanzia del contraddittorio ed in violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (vedi Cass. 22/2/2010 n. 3224)

14. Orbene, nello specifico, si impone l'evidenza della violazione dei principi innanzi enunciati da parte dei ricorrenti, i quali non hanno riportato in modo puntuale ed esaustivo il contenuto degli atti che si assume non siano stati correttamente valutati dal giudice dell'impugnazione, né hanno specificamente indicato gli estremi di reperimento degli stessi.

In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese inerenti al presente giudizio segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 8.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.