Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 aprile 2017, n. 9465

Imposte dirette - IRPEF - Credito - Rimborso - Ritenute fiscali - Diritto di stock options

 

Fatti di causa

 

S.A. ricorre per cassazione su due motivi avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 79/38/10, depositata l’11.11.2010 e non notificata, che aveva respinto il suo appello avverso la decisione di primo grado resa in tema di silenzio rifiuto su istanza di rimborso di credito IRPEF per l'anno 2006, richiesto dal contribuente con riferimento alle ritenute fiscali subite dal sostituto d'imposta a seguito dell'esercizio del diritto di stock options.

Il contribuente aveva sostenuto l'illegittimità dell'applicazione della ritenuta in quanto la differenza tra il corrispettivo pagato dallo stesso per l'acquisto delle azioni in sede di esercizio delle opzioni ed il valore delle azioni al momento dell'assegnazione non costituiva reddito da lavoro dipendente, potendo beneficiare del regime fiscale di esenzione previsto dall'art. 51, comma 2, lett. g-bis, del DPR n. 917/1986 e, quindi, non avrebbe dovuto essere assoggettato a ritenuta.

Il giudice di appello aveva ritenuto legittime le ritenute fiscali, rilevando la non ricorrenza dei presupposti normativamente previsti per l'esenzione.

Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.; l'Agenzia delle entrate si difende con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1.1. Con il primo motivo, articolato in due sub-motivi, si denuncia per un verso la violazione e falsa applicazione dell'art. 51, comma 2, lett. g-bis, e 2 bis del DPR n. 916/1986, nel testo vigente fino al 04.07.2006 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc), e per l'altro, in via alternativa, la violazione e falsa applicazione dell'art. 51, comma 2, lett. g-bis, e 2 bis del DPR n. 916/1986, nel testo novellato dal d.l. n. 262/2006 (art. 360, comma 1, n. 3, cpc).

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5, cpc), lamentando che la CTR non abbia spiegato le ragioni per le quali sono da respingere le argomentazioni del contribuente secondo il quale, valutati sia il dato testuale della norma, sia la sua ratio, le vicende anomale non liberamente governabili dalle parti devono essere considerate irrilevanti al fine di giudicare se le condizioni temporali previste dall'art. 51, comma 2, lett. g-bis cit erano state o meno soddisfatte (fol. 27 del ricorso).

2.1. Il primo motivo è infondato.

Va ricordato che con l'espressione stock options si fa per lo più riferimento all'offerta generalizzata e gratuita ai dipendenti di una società quotata in borsa di diritti di opzione ad acquistare o sottoscrivere, in una certa data futura e ad un prezzo predeterminato, le azioni della società, e ciò generalmente come incentivo ai dipendenti ad aumentare la produttività e riconoscimento ad una retribuzione compartecipativa ed incrementata. Il beneficio per il dipendente è costituito dall'attribuzione gratuita dell'opzione ad acquistare o sottoscrivere azioni, pagando, al momento dell'esercizio del diritto, il prezzo di mercato vigente al momento dell'assegnazione dell'azione e lucrando quindi l'eventuale plusvalenza, qualora il prezzo di mercato a quel momento sia aumentato, con la garanzia, se il prezzo di mercato andasse diminuendo nel tempo, di potersi astenere dall'esercizio dell'opzione senza aver subito alcun costo.

2.2. Nel caso in esame il ricorrente in data 01.06.2005 aveva ricevuto dalla società T.A. SPA, della quale era dipendente, opzioni gratuite per l'acquisto di 92.204 azioni della stessa società, previo pagamento di un ammontare pari al valore normale delle azioni stesse alla data dell'offerta; quindi in data 11.05.2006 aveva ricevuto dalla stessa società opzioni per l'acquisto di 100.000 azioni, da esercitarsi sempre con le stesse modalità.

A seguito di complesse vicende societarie, in data 04.10.2006 il Consiglio di Amministrazione della T.A. aveva deliberato l'esercizio anticipato delle opzioni attribuite ai dipendenti ed il 14.11.2006 S.A. aveva provveduto ad acquistare n. 192.024 azioni al valore che le stesse avevano al momento delle rispettive offerte e le aveva rivendute in parte nella stessa data del 14.11.2006 ed in parte il 05.04.2007.

La società aveva, quindi, considerato reddito da lavoro dipendente la differenza tra il corrispettivo pagato dal S. in sede dell'esercizio del diritto di opzione ed il valore delle azioni al momento dell'assegnazione, applicando la ritenuta alla fonte.

2.3. La materia, oggetto di ripetuti interventi normativi nel periodo di riferimento della vicenda, al momento dell'esercizio del diritto di opzione da parte del dipendente era regolata dall'art. 51 del T.U.I.R., come modificato dall'art. 7 del d.l. 03/10/2006 n. 262 (entrato in vigore il giorno antecedente la delibera del C. di A. della Toro di anticipare l'esercizio de diritto di opzione) che prevedeva:

al comma 2, «lett. g-bis) la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell'offerta; se le partecipazioni, i titoli o i diritti posseduti dal dipendente rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento, la predetta differenza concorre in ogni caso  interamente a formare il reddito;»

ed al comma 2-bis. «Le disposizioni di cui alle lettere g) e g-bis) del comma 2 si applicano esclusivamente alle azioni emesse dall'impresa con la quale il contribuente intrattiene il rapporto di lavoro, nonché a quelle emesse da società che direttamente o indirettamente, controllano la medesima impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. La disposizione di cui alla lettera g-bis) del comma 2 si rende applicabile esclusivamente quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

a) che l'opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;

b) che, al momento in cui l'opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati;

c) che il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all'esercizio dell'opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente. Qualora detti titoli oggetto di investimento siano ceduti o dati in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione, l'importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento dell'assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione ovvero la costituzione in garanzia».

2.4. La CTR, disattendendo la tesi del contribuente, ha ritenuto che la normativa applicabile fosse quella vigente al momento dell'esercizio del diritto di opzione, prima ricordata, e non già quella vigente anteriormente al momento del riconoscimento del diritto di opzione; ha inoltre escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al rimborso sulla considerazione che, nel caso in esame, non risultavano soddisfatte due delle tre nuove condizioni previste dal comma 2 bis, e che la circostanza che il mancato rispetto delle condizioni non fosse dipeso dalla volontà del contribuente era irrilevante.

2.5. La decisione è immune da vizi e va confermata.

2.6. Come questa Corte ha già affermato, con principio che si condivide, al fine della corretta individuazione della disciplina di tassazione applicabile alle stock options assegnate a lavoratori dipendenti dal datore di lavoro è necessario distinguere i due momenti della assegnazione del diritto di opzione, da un lato, e quello di esercizio dello stesso e, dunque, dell'effettiva assegnazione dei rispettivi titoli, dall'altro, e considerato che le azioni entrano a far parte del patrimonio del dipendente solo nel momento in cui l'opzione venga esercitata o ceduta, la disciplina applicabile va individuata in quella vigente al momento di tale esercizio, indipendentemente dal momento in cui sia stata offerta l'opzione (Cass. nn. 11214/2011, 13088/2012, 11413/2015).

Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, ciò non determina affatto una applicazione retroattiva della norma tributaria, poiché l'operazione alla quale consegue la tassazione non va individuata nell'attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta a imposizione tributaria, ma nell'effettivo esercizio del diritto di opzione mediante l'acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto dell'imposizione commisurata proprio sul prezzo delle azioni, e che è rimesso alla libera scelta del beneficiato, il quale può o meno esercitarlo secondo le modalità ed i tempi che riterrà opportuni, alla stregua delle proprie insindacabili valutazioni: ne consegue che la disciplina tributaria applicabile deve necessariamente essere quella vigente al momento dell'esercizio del diritto, disciplina di cui il beneficiato potrà tenere conto nello scegliere se esercitare o meno il diritto.

2.7. Ciò chiarito in ordine regime applicabile ratione temporis, va rilevato che l'esclusione dal reddito imponibile, in via di deroga, nel caso in cui al lavoratore medesimo l’opzione sia stata riconosciuta al valore corrente delle azioni al momento dell'offerta, richiede la ricorrenza congiunta delle tre condizioni previste al comma 2-bis cit. Nel caso in esame la CTR ha escluso la ricorrenze di due condizioni (art. 51, comma 2-bis, lett. a) e lett. c), ritenendo quindi tassabili le somme acquisite.

2.8. Il ricorrente sostiene che il mancato rispetto di queste condizioni non è dipeso dalla sua volontà, ma da scelte aziendali e vicende societarie straordinarie, che lo hanno obbligato ad esercitare l'opzione prima del triennio, perché la società aveva ridotto il termine per l'esercizio del diritto e, successivamente, a cedere la tranche di azioni significativa ai fini fiscali prima del quinquennio (in data 05.04.2007) perché la società A.G. SPA aveva esercitato il diritto di squeeze out, volto a completare il controllo azionario.

2.9. Questi argomenti non possono essere condivisi: va, infatti rimarcato che l'esercizio del diritto di opzione non è un atto necessitato al quale il dipendente beneficiato non può sottrarsi, ma è il frutto di una libera scelta, di guisa che non può ipotizzarsi alcuna costrizione nel dipendente che decide di esercitare il diritto anche in assenza del termine triennale previsto dall'art. 51, comma 2-bis, lett. a) del T.U.I.R.; ne discende quindi la non pertinenza del richiamo alla risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 118 del 12.08.2005 riguardante comportamenti imposti al dipendente dal datore di lavoro (fol. 24 del ricorso), che nel caso di specie non ricorrono.

2.10. Esclusa la ricorrenza del termine triennale, consegue l'irrilevanza dell'argomento volto a giustificare la cessione delle azione prima della scadenza del termine quinquennale, non potendo comunque realizzarsi la presenza congiunta delle tre condizioni richieste ex lege.

3.1. Il vizio motivazionale articolato nel secondo motivo con riferimento a queste ultime circostanze è inammissibile perché involge questioni di diritto, già respinte, e non questioni di fatto.

4.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo;

- condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di €.8.000,00=, oltre spese prenotate a debito.