Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 settembre 2017, n. 22535

Tributi - TARSU / TIA - Illegittimità di una delibera tariffaria - Applicazione della tariffa vigente in precedenza

 

Ritenuto

 

che la CTR della Sicilia, con la sentenza n. 382/34/12, depositata il 19/11/2012, ha respinto l'appello proposto da S.A. s.p.a., avverso la decisione della CTP di Catania, che aveva accolto il ricorso proposto da E. s.r.l., avverso l'atto di contestazione con il quale veniva richiesto il pagamento, per l'anno 2004, della complessiva somma di Euro 242.356,00, a titolo di tariffa per la gestione dei rifiuti (TIA), ed accessori, relativamente ad area sita nel territorio del Comune di Misterbianco;

che il giudice di appello ha motivato la propria decisione nel senso che, ai sensi dell'art. 49, D.Lgs. n. 22 del 1997, debba essere l'ente impositore, nella specie il Comune di Misterbianco, ad individuare la tariffa ritenuta sufficiente per la gestione del servizio da affidare a terzi, e che neppure a seguito dell'entrata in vigore, il 29/4/2006, del D.Lgs. n. 152 del 2006, che ha abrogato l'art. 49 del c.d. decreto Ronchi, è consentito alla società d'ambito territoriale S. Ambiente s.p.a., fintanto che non sia stato emanato il regolamento ministeriale di cui al comma 6 dell'art. 238, D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), di determinare la tariffa, ma soltanto di gestire il servizio, sulla base delle tariffe già determinate dal Comune; che la S.Ambiente s.p.a. ha interposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria, mentre l'intimata resiste con controricorso e memoria;

 

Considerato

 

che con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, L. n. 225 del 1992, 22 e 49, L. n. 22 del 1997, 1 ter, D.Lgs. n. 546 del 1992, giacché la CTR ha erroneamente ritenuto l'illegittimità della tariffa applicata, in quanto adottata dal Consiglio di Amministrazione della S.Ambiente s.p.a., invece che dal Consiglio Comunale di Misterbianco, senza considerare che il trasferimento del potere di determinazione della tariffa, dall'ente locale alla società d'ambito territoriale, va necessariamente inquadrato nel complesso degli interventi del Commissario regionale per l'emergenza rifiuti, e ricondotto all'orientamento, sicuramente all'epoca prevalente, in quanto superato soltanto dalla sentenza n. 238/2009 della Corte Costituzionale, circa la natura non tributaria della TIA;

che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 e n. 4, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, L. n. 2248/1865, all. E, 49, D.Lgs. n. 546 del 1992, 112 c.p.c., 69, comma 1, D.Lgs. n. 507 del 1993, 1, comma 169, L. 296 del 2006, giacché la CTR non si è pronunciata sull'an e sul quantum della pretesa tributaria, considerato che il potere di disapplicazione riconosciuto dall'art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 546 del 1992, non esime il giudice tributario dal procedere ad una decisione di merito sulla base della diversa disciplina che sia tenuto ad applicare, e che la società S.Ambiente, allora appellante, aveva a tale scopo prodotto in giudizio l'ultima delibera di approvazione delle aliquote Tarsu per l'anno 2003 del Comune di Misterbianco (deliberazione n. 66/2003), per cui il giudice di appello avrebbe dovuto riconoscere la debenza della tassa quantomeno nei predetti limiti, non potendosi ritenere la contribuente liberata da ogni obbligazione tributaria; che la questione posta dal primo motivo di ricorso può essere agevolmente risolta alla luce della sentenza n. 8313/2010 delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui <<L'affidamento da parte dell'ente locale della gestione dei rifiuti urbani ad un gestore esterno, ai sensi dell'art. 23 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non comporta, né consente, il trasferimento del potere di determinare la tariffa prevista dal successivo art. 49, sia perché deve essere l'ente impositore, assumendosene la responsabilità politica, ad individuare il gettito ritenuto sufficiente per la gestione del servizio da affidare a terzi, sia perché, altrimenti, operando il gestore in regime di monopolio, la tariffa sarebbe determinata al di fuori di ogni tipo di controllo, sia quello privato della concorrenza, sia quello politico.>>;

che, nella richiamata decisione, è stato evidenziato, proprio con riferimento al richiamato tema dell'emergenza ambientale nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Sicilia, che <<il potere di determinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, prevista dall'art. 49 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non si è trasferito dall'ente locale alle società di ambito per la gestione integrata del servizio, costituite ai sensi dell'art. 2-bis, comma 2, dell'ordinanza Min. Int. 31 maggio 1999, n. 2983, introdotto con ordinanza Min. Int. 22 marzo 2002, n. 3190, sia perché le predette ordinanze - pur essendo state emanate ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e potendo, quindi, disporre in deroga ad ogni disposizione vigente - devono, comunque, operare nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, tra i quali rientra quello della riserva di legge in materia di esercizio del potere impositivo (art. 23 Cost.) che non può essere delegato ad enti non direttamente investiti, "ex lege", della "potestas impositionis", sia perché l'attribuzione di un potere straordinario di imposizione fiscale è possibile solo se espressamente contenuto nei limiti cronologici dell'emergenza, mentre la tariffa opera per tutti i periodi successivi di imposta, anche quando l'emergenza stessa sia superata. Né detto trasferimento può ritenersi incluso nella sanatoria dei provvedimenti emergenziali - tra i quali le predette ordinanze - prevista dall'art. 1-ter del D.L. 7 febbraio 2003, n. 15, convertito, con modificazioni, nella Legge 8 aprile 2003, n. 62, non potendosi, in base ai principi generali dell'ordinamento giuridico, da rispettare anche nell'emergenza, ritenere una società di diritto privato investita "a posteriori" di un potere impositivo che nemmeno "ex ante" poteva essere trasferito.>>;

che la CTR ha puntualmente ricostruito il quadro normativo nazionale e regionale di riferimento, nel cui ambito va doverosamente inserito il passaggio dalla Tarsu (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, alla TIA (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall'art. 49, D.Lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), e poi alla TIA (tariffa integrata ambientale), prevista dall'art. 238, D.Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), e quindi richiamato il ricordato art. 238 (che ha istituito la nuova "tariffa" sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire la TIA 1 di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997), il quale, al comma 1, dispone:

"La tariffa di cui all'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall'entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.", il quale recita: "Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.";

che, tuttavia, il regolamento ministeriale di cui sopra non è stato adottato (entro il più volte prorogato termine del 30 giugno 2010), per cui sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori, sia la TARSU che la TIA, quella appunto prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, essendo invece preclusa ai Comuni, sino alla adozione del predetto regolamento, la possibilità di passare alla tariffa del c.d. Decreto Ronchi, destinata a sopravvivere, sino alla disciplina di attuazione del Codice dell'Ambiente, soltanto per chi l'avesse adottata;

che, in forza dell'art. 238, commi 3 ed 11, la tariffa sarebbe stata determinata dalle Autorità d'ambito entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento suddetto, mentre fino alla emanazione del regolamento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa avrebbero continuato ad applicarsi "le discipline regolamentari vigenti";

che, pertanto, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di principi e norme innanzi riportati allorché ha affermato che la società d'ambito S.Ambiente s.p.a. era priva del potere di "determinare la tariffa", e che poteva "soltanto gestire il servizio sulla base delle tariffe già determinate dal Comune di Misterbianco", non risultando intervenuta l'emanazione del previsto regolamento; che la ricorrente sostiene che la decisione del Giudice di appello non esaurisce l'intera materia controversa, in quanto il gravame non riguardava solo il profilo dell'atto impugnato dalla contribuente concernente la legittimità della richiesta il pagamento della TIA in base alla tariffa determinata dal consiglio di amministrazione della società d'ambito, e non dall'ente locale, titolare del potere impositivo, ma si contestava anche, alla società E., l'omessa dichiarazione di un cespite immobiliare di ampia metratura (mq. 100.000) ricadente in Cat. 3 ("Autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta"), per il quale la stessa contribuente aveva riferito di aver incaricato un perito per determinarne la superficie (mq. 70.649) assoggettabile a TIA, a fronte di una dichiarazione di locali (capannoni di produzione)rientranti nella cat. 7 del citato D.P.R., per una superficie ridotta, e che in ragione di ciò al giudice tributario era stato chiesto, sia pure in via subordinata, di rideterminare il dovuto sulla base della previgente tariffa TARSU; che la domanda, di cui la ricorrente lamenta l'omesso esame, è all'evidenza finalizzata alla condanna al pagamento della tassa dovuta per le superfici detenute ("area attrezzata delimitata a deposito esterno"), in relazione alle quali è stata addebitata alla società E., nell'atto di contestazione alla stessa notificato, "l'omessa presentazione della comunicazione per l'inizio occupazione o di detenzione locali", da quantificare in base all'ultima delibera di approvazione delle aliquote Tarsu, per l'anno 2003, adottata dal Comune di Misterbianco;

che, di contro, la contribuente oppone la circostanza che la S.Ambiente s.p.a. sia rimasta contumace in primo grado, e che all'accoglimento della subordinata pretesa creditoria è d'ostacolo il divieto, posto dal comma 1 dell'art. 57, D.Lgs. n. 546 del 1992, di proporre nuove domande in appello, e che in ogni caso ha versato la Tarsu nella misura effettivamente dovuta;

che l'invocato divieto va inteso nel senso che <<in appello l'Amministrazione non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell'atto di accertamento: la novità della domanda deve essere verificata in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata nell'atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l'Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall'atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi >> (Cass. n. 15026/2014; n. 9810/2014);

che, dunque, per eccepire validamente l’inammissibilità dell'appello per novità della domanda, è necessario dimostrare che gli elementi dedotti in secondo grado integrano pretese affatto diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo, e cioè sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell'atto impositivo, dimostrazione che nella specie non sembra ricorrere, considerato che le censure della contribuente non indicano elementi diversi da quelli evidenziati nell'atto di contestazione a suo tempo notificato dalla S.Ambiente s.p.a., ad eccezione - ovviamente - del regime tariffario applicabile, e quindi, che i fatti posti al fondo della pretesa tributaria sono rimasti sostanzialmente immutati;

che la decisione impugnata non tiene conto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, dal richiamato D.Lgs n. 507 del 1993, art. 69, comma 1, si ricava, <<un principio di carattere generale, secondo il quale la conseguenza della eventuale illegittimità di una delibera tariffaria ha come conseguenza non già la liberazione della contribuente da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio di raccolta rifiuti, bensì l'applicazione della tariffa vigente in precedenza >> (Cass. n. 5722/2007; S.U. n. 8278/2008; 13957/2008, n. 8870/2010, n. 8875/2010, n. 8088/2010) e, del resto, il processo tributario è a cognizione piena e deve tendere all'accertamento sostanziale del rapporto controverso, anche alla luce del principio di economia dei mezzi processuali (Cass. n. 11935/2012; n. 21446/2009); che, dunque, rilevata nel caso di specie l'illegittimità della tariffa determinata dalla società d'ambito e, quindi, dichiarato non dovuto il tributo, per l'anno 2004, nella misura richiesta da S.Ambiente s.p.a. con l'atto di contestazione impugnato, non era precluso al Giudice di appello l’esame del rapporto tributario, al fine di rideterminare la tassa, in relazione alla superfici costituenti accertato presupposto impositivo, ai sensi dell'art. 62, D.Lgs. n. 507 del 1993, ed in applicazione delle tariffe (Tarsu per l'anno 2003) validamente adottate, in epoca anteriore, dal Consiglio Comunale di Misterbianco;

che l'accoglimento del motivo di ricorso impone la cassazione della sentenza impugnata, ed il rinvio alla medesima CTR, in diversa composizione, alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata, e in relazione al motivo accolto rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), dà atto della non sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.