Giurisprudenza - CORTE DEI CONTI - Ordinanza 05 luglio 2017

Trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni  2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - D.L. n. 201/2011 (Disposizioni urgenti per la  crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 214/ 2011, art. 24, co. 25, lett. e), nel testo novellato dall'art. 1 del D.L. n. 65/2015 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 109/2015

 

Fatto e diritto

 

1. Con ricorso notificato all'INPS il 25 febbraio 2016, nonché depositato presso questa Sezione il 23 di quello stesso mese, L.D.R., titolare di una pensione (erogata dall'INPDAP anteriormente al 31 dicembre 2011 e dall'INPS poi) pari a 3.226,49 euro mensili, ha lamentato che per il biennio 2012-2013 l'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011) aveva introdotto un blocco alla perequazione per le pensioni superiori al triplo del trattamento minimo INPS, senza alcun recupero negli anni successivi: così modificando radicalmente la pregressa disciplina, di cui all'art. 34, comma 1 della legge n. 448/1998. Ha altresì evidenziato che, nonostante la declaratoria di illegittimità costituzionale del predetto art. 24, comma 25 pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, l'art. 1, comma 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015) aveva mantenuto l'azzeramento di qualsiasi perequazione oltre la soglia del sestuplo del trattamento minimo INPS.

Pertanto il D.R. ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, per contrasto con gli articoli 2, 3, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione.

Conclusivamente ha domandato, previa rimessione alla Corte costituzionale della suddetta questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, la condanna dell'INPS al pagamento dei maggiori ratei pensionistici per il biennio 2012-2013.

2. Con comparsa depositata il 16 maggio 2016 si è costituito l'INPS, contestando nel merito la fondatezza delle domande attoree.

All'udienza del 14 ottobre 2016 la causa è stata discussa dalle parti e, infine, questo giudice l'ha trattenuta in decisione.

3. Nel merito dal cedolino pensionistico di gennaio 2012 (allegato 2 al ricorso) si evince che all'epoca la pensione lorda mensile del D.R., ammontando a 3.226,49 euro, eccedeva il sestuplo del trattamento minimo INPS: minimo che, come ricordato dal resistente stesso (a pag. 5 della sua comparsa difensiva), in quegli anni si aggirava sui 500 euro mensili.

Oltre quel limite del sestuplo il comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011, quale novellato (all'indomani della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale) dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, continua ad escludere qualsiasi perequazione relativamente al biennio 2012-2013. Ulteriore conferma dell'assenza di qualsiasi perequazione per la pensione dell'odierno ricorrente, addirittura nel quinquennio tra il 2012 e il 2016, la si trae dalle tabelle di cui ai paragrafi 1.1, 1.2 e 1.3 del messaggio INPS n. 4993 del 27 luglio 2015 (allegato 2 alla comparsa INPS).

 Risulta perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011.

4. D'altro canto detta questione va reputata non manifestamente infondata, in riferimento sia al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3, sia agli articoli 36, primo comma e 38, secondo comma della Costituzione.

 Infatti, in argomento, il principio affermato dalla Corte costituzionale è quello secondo cui «la proporzionalità e l'adeguatezza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurati anche nel prosieguo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta» (sentenza n. 173/1986). Inoltre, anche se «l'art. 38 Cost. non esige che l'adeguamento delle prestazioni previdenziali ai mutamenti del potere di acquisto della moneta proceda mediante meccanismi automatici ...», potendo invece esso «... avvenire anche con interventi legislativi periodici ...» (sentenza n. 337/1992), in sé e per sé tale adeguamento risulta indispensabile: ossia senza eccezioni che abbiano riguardo all'entità della pensione stessa. Tanto ciò è vero che, con la sentenza n. 316/2010, il giudice delle leggi ha ribadito come anche «le pensioni ... di maggiore consistenza ...» debbano «... essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta»: valendo a minare tale difesa «... la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo ...».

5. Se dunque si va a verificare la misura di tale adeguamento delle pensioni al costo della vita, deve ricordarsi come sul piano generale l'aumento definitivo di perequazione automatica sia stato fissato:

- per il 2012, al 2,7% (decreto MEF 16 novembre 2012, nella Gazzetta Ufficiale 27 novembre 2012);

- per il 2013, al 3% (decreto MEF 20 novembre 2013, nella Gazzetta Ufficiale 29 novembre 2012);

- per il 2014, all'1,1% (decreto MEF 20 novembre 2014, nella Gazzetta Ufficiale 2 dicembre 2014);

- per il 2015, allo 0,2% (decreto MEF 19 novembre 2015, nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2015);

- per il 2016, allo 0%, in via previsionale (decreto MEF 19 novembre 2015, cit.).

 Inoltre, poiché aritmeticamente tali aumenti si compongono tra loro (anziché addizionarsi), ne scaturisce per esempio una variazione del 5,78% per il biennio 2012-2013 e del 6,94% per il triennio 2012/2014. Dopodichè la dinamica inflattiva si è pressochè azzerata nel biennio 2015/2016; ma è notorio come il tasso di inflazione che l'Unione europea considera ottimale sia pari al 2% annuo, Il che equivale a dire che, in assenza di quell'adeguamento che già da un lustro viene completamente negato al D.R. (avendogli fatto così ridurre il potere d'acquisto della sua pensione, come s'è appena visto, di quasi il 6% nel biennio 2012-2013 e di poco meno del 7% nel triennio 2012/2014) in virtù della normativa qui censurata, il non condivisibile principio ad essa sotteso ridurrebbe in misura rilevantissima il valore della sua pensione (per esempio di circa un terzo nei vent'anni successivi al 2012, ossia in un normale arco temporale di godimento del trattamento di quiescenza stesso).

 Dunque va senz'altro condiviso il già ricordato insegnamento della Corte costituzionale secondo cui la protezione dell'inflazione, in misura non simbolica (quale, nella fattispecie, neppure si riscontra), risulta necessaria quale che sia la misura della pensione. E si appalesa, invece, la totale irragionevolezza delle norme qui censurate.

6. A quest'ultimo proposito quelle medesime esigenze finanziarie, le quali benché invocate già nel decreto-legge n. 201/2011 non hanno impedito alla Corte costituzionale di reputare «... valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità ...» (sentenza n. 70/2015), ad avviso di questo giudice non hanno indotto il legislatore, a dispetto del loro nuovo richiamo nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 65/2015, ad esercitare in quest'ultimo, asseritamente attuativo della testè menzionata pronuncia costituzionale, quel «... corretto bilanciamento ...» ivi auspicato dal giudice delle leggi.

Perciò i timori di insufficiente protezione delle pensioni dall'inflazione, già palesati dall'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011, per una pensione ultra sestuplum risultano pienamente confermati dalla successiva legislazione qui censurata.

Conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015:

- che va sollevata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza, ma anche a quei medesimi parametri costituzionali (ossia il primo comma dell'art. 36 ed il secondo comma dell'art. 38) che, ad avviso della Consulta stessa, già non informavano l'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011. Invero il rispetto di tali parametri, tanto più ove dipendesse dallo specifico quantum di adeguamento alla dinamica inflattiva apprestato (per ciascuna fascia di pensioni) con il decreto-legge n. 65/2015, evidentemente compete alla Corte costituzionale stessa stabilire se in questa nuova occasione vi sia stato o meno: ciò che peraltro questo giudice esclude, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, per quanto possa rilevare rispetto al vaglio di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui delineata. 

7. E' infine appena il caso di osservare come le argomentazioni difensive dell'INPS varrebbero, a ben vedere, a dimostrare già la legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25 del decreto-legge n. 201/2011: talché oggi esse appaiono palesemente finalizzate ad ottenere un inammissibile secundum iudicium della Consulta, stavolta in riferimento al decreto-legge n. 65/2015, ancorché quest'ultimo abbia pienamente reiterato, per le pensioni altra sestuplum, un quadro normativo già dichiarato costituzionalmente illegittimo.

 

P.Q.M.

 

Non definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n. 28462, dichiara rilevante in tale giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione, nella parte in cui prevede che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, ... e) non è riconosciuta peri trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi», e per l'effetto:

 1) solleva la questione dì legittimità costituzionale del comma 25 dell'art. 24 del decreto-legge n. 201/2011 (convertito dalla legge n. 214/2011), quale novellato dall'art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 (convertito dalla legge n. 109/2015), in riferimento agli articoli 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione;

2) dispone l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale;

3) sospende il giudizio stesso sino alla comunicazione della decisione adottanda dalla Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale testè sollevata;

4) dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri;

5) dispone che la presente ordinanza sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.

 

---

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 04 ottobre 2017, n. 40.