Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 20 giugno 2016, n. 12688

Lavoro - Cessione del ramo d'azienda - Trattamento integrativo a carico del Fondo aziendale - Pensionati

 

Svolgimento del processo

 

La Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Treviso di accoglimento della domanda di B.F. ed altri, già dipendenti del C.R. poi divenuto R. incorporata da C.I. ed a seguito di cessione del ramo d'azienda ora U. spa, pensionati con diritto ad un trattamento integrativo a carico di un Fondo aziendale, volta a percepire la perequazione automatica della pensione integrativa goduta.

La Corte ha affermato, con riferimento all'applicabilità del blocco totale della perequazione ai sensi dell'art. 59, commi 13 e 14, L. n. 449/1997 eccepito dalla Banca, che la norma citata non era applicabile alla pensione integrativa a carico del Fondo aziendale avente natura retributiva e non previdenziale.

La Corte ha poi ritenuto infondata la tesi sostenuta dalla Banca secondo cui nell'anno 1998 si era verificata una sovrapposizione di meccanismi perequativi e cioè sia quello costituito dalla cosiddetta clausola oro applicabile fino al 31/12/1997 e sia quello introdotto dall'art. 11 del d.lgs n. 503/1992. Infine la Corte ha rigettato anche la tesi della Banca secondo cui a decorrere dall’1/1/1999 era comunque applicabile il blocco totale della perequazione sulle pensioni integrative in base all'art. 34, comma 1, L. n. 448/1998. Secondo la Corte la norma citata prevedeva che l'aumento della rivalutazione automatica venisse attribuito su ciascun trattamento in modo proporzionale, disciplinando, pertanto, il riparto di tali aumenti senza incidere sulla spettanza o meno della perequazione.

Avverso la sentenza ricorre U. spa formulando due motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cpc. Le altre parti sono rimaste intimate.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 59 L. n. 449/1997; art. 12 preleggi; art. 1 e 18 d.lgs n. 124/1993. Censura l'affermata inapplicabilità dell'art. 59 citato e del blocco della perequazione alle pensioni integrative. Osserva che la pensione complementare ha natura previdenziale e non retributiva in quanto parte integrante dell'ordinamento previdenziale rispondendo agli interessi generali di cui all'art. 38 Cost che costituisce il referente costituzionale non soltanto ai fondi pensione istituiti in epoca successiva all'entrata in vigore della L. n. 421/1992, ma anche dei fondi già istituiti. Afferma che non sussiste alcuna diversità ontologica tra i trattamenti pensionistici obbligatori e quelli integrativi e che recenti sentenze della Cassazione avevano affermato la natura previdenziale dei versamenti dei datori di lavoro nei fondi di previdenza complementare e pertanto non rientranti nel calcolo delle indennità di fine rapporto. Rileva che i richiami alla pensione integrativa contenuti nell'art. 59 L. n. 449/1997 nei commi 2 e 3 (in base al quale il trattamento integrativo si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina dell'AGO) e quello al d.lgs n. 124/1993 di cui al comma 4 dell'art. 59 citato (secondo cui a decorrere dal 1/1/1998 per l'adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova applicazione esclusivamente l'art. 11 d.lgs n. 503/1992 con esclusione di forme diverse ove ancora previste, di adeguamento collegato all'evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio), avrebbero accelerato e concluso il processo di armonizzazione dei trattamenti pensionistici corrisposti dai fondi esclusivi, esonerativi ed integrativi dell'AGO con i trattamenti erogati dall'AGO.

Conclude, pertanto, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile alle pensioni integrative il comma 13 della norma sopra richiamata, quando, in realtà, con il comma 4 il legislatore aveva manifestato la volontà di operare una totale equiparazione, ai fini della perequazione automatica, dei trattamenti pensionistici di fonte privata alle forme di previdenza obbligatoria.

Il motivo è infondato.

Il comma 4 dell'art. 59 della legge n. 449/1997 stabilisce che "a decorrere dal 1° gennaio 1998, per l’adeguamento delle prestazioni pensionistiche a carico delle forme pensionistiche di cui ai commi 1, 2 e 3 trova applicazione esclusivamente l’articolo 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio. Con effetto sui trattamenti liquidati a decorrere dal 1 gennaio 1998 alle medesime forme pensionistiche si applicano le disposizioni in materia di cumulo tra prestazioni pensionistiche e redditi da lavoro dipendente o autonomo previste dalla disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria." Il comma 13 della norma citata prevede che "sui trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS dovuti dall'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dalle forme di essa sostitutive od esclusive non spetta la perequazione automatica al costo della vita prevista per l'anno 1998".

Questa Corte, già con le sentenze nn. 24777/2006 e 15769/2007, ha chiarito che il legislatore, nel dettare la disciplina sopra trascritta, da un lato ha voluto stabilire, con riguardo a tutte le forme pensionistiche e con decorrenza dal 1° gennaio 1998, un unico criterio di adeguamento al mutato costo della vita, ossia quello di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11, meno favorevole dei meccanismi precedenti ed in particolare di quelli colleganti l’evoluzione delle pensioni alle retribuzioni del personale in servizio; dall'altro ha previsto, a fini di contenimento della spesa pubblica, una restrizione temporanea del diritto alla perequazione, limitandolo con esclusivo riferimento ai trattamenti pensionistici dovuti dalla assicurazione obbligatoria e dalle forme sostitutive od esclusive. E’ stato evidenziato che l'art. 59 della legge n. 449/1997 costituisce "un corpus normativo che in ciascuna delle diverse disposizioni reca la precisa individuazione delle forme pensionistiche oggetto di regolamentazione", con la conseguenza che la disciplina dettata dal comma 13, anche per la sua natura eccezionale, oltre che temporanea, non può essere estesa a regimi pensionistici diversi da quelli espressamente contemplati nella disposizione. Detti principi sono stati ribaditi, poi, dalle più recenti sentenze nn. 13573/2011, 10556/2013 e 1311/2014, nelle quali si è dato conto della diversa interpretazione accolta da Cass. n. 12344/2010, ritenendola non condivisibile, sia perché era stata trascurata la natura eccezionale dell'intero comma 13, sia in quanto la pronuncia aveva valorizzato la ampia locuzione ("indice di perequazione delle pensioni") contenuta nell'ultima parte del comma in commento, senza considerare la stretta connessione, logica e temporale, di questa con il dettato dell'intero comma, che esordisce riferendosi espressamente ai soli trattamenti "dovuti dall'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dalle forme di essa sostitutive od esclusive".

Le ragioni che hanno indotto la Corte a disattendere l'unico precedente favorevole alla tesi qui sostenuta dall’istituto di credito ricorrente, sono condivise dal Collegio, che intende dare continuità all'orientamento prevalente e ribadire la tesi della natura non solo temporanea ma anche eccezionale della sospensione prevista dal comma 13, come tale non applicabile a trattamenti pensionistici diversi da quelli espressamente richiamati nella disposizione (cfr in tal senso da ultimo Cass n. 6179/2016).

Non vale richiamare la recente pronuncia delle Sezioni Unite sulla natura previdenziale e non retributiva dei versamenti effettuati dal datore di lavoro in favore dei fondi di previdenza complementare, atteso che le ragioni per le quali il comma 13 risulta applicabile alle sole prestazioni richiamate nel testo normativo vanno individuate, come già detto, nella natura eccezionale della previsione e nel tenore inequivocabile della stessa.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 34, comma 1, L. n. 448/1998. Censura l'interpretazione data dalla Corte alla norma citata secondo cui riguarderebbe solo il riparto degli aumenti della rivalutazione automatica e non anche la spettanza o meno della perequazione. La norma, invece, aveva unificato a decorrere dall'1/1/1999 la disciplina della perequazione automatica.

Il motivo è fondato e va accolto.

L'art. 34 della legge n. 448/1998 ai comma 1 stabilisce che "Con effetto dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui all’articolo 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'aumento della rivalutazione automatica dovuto in applicazione del presente comma viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo.

"I commi successivi disciplinano, poi, gli adempimenti necessari per la quantificazione della rivalutazione automatica e della quota gravante sul singolo trattamento e stabiliscono un obbligo di comunicazione al Casellario centrale delle pensioni il quale, sulla base dei dati trasmessi dagli enti interessati, comunica agli stessi "l'importo del trattamento complessivo del soggetto su cui attribuire gli incrementi". Il tenore letterale della disposizione è chiaro nel riferimento al "meccanismo di rivalutazione", del quale prevede la unicità, pur nella diversità dei trattamenti pensionistici goduti, stabilendo, a tal fine, l’obbligo di considerare l'importo complessivo di tutte le erogazioni effettuate in favore del beneficiario. E’, quindi, pertanto condivisibile quanto affermato dalla ricorrente secondo cui il legislatore con la legge in commento ha portato a conclusione il processo di armonizzazione già da tempo in atto, imponendo un unico meccanismo di perequazione, da applicare sul trattamento pensionistico complessivamente considerato. Proprio la unicità del meccanismo induce a ritenere la giuridica impossibilità di subordinare la spettanza del diritto a requisiti diversi, atteso che tutta la disciplina finalizzata a stabilire le modalità di calcolo della rivalutazione complessiva e la ripartizione della stessa fra le diverse gestioni pensionistiche, esclude in radice che possa riconoscersi la perequazione, pacificamente non spettante secondo il regime generale, solo per il trattamento integrativo.

A dette conclusioni questa Corte è già pervenuta con la recente sentenza n. 6179/2016. In precedenti sentenza di questa Corte, sia pure incidentalmente,si era già osservato (cfr Cass nn. 10556/2013 e 13573/2011) che non "giova alla tesi della ricorrente (banca) la formulazione della sopravvenuta L. 23 dicembre 1998, n. 448, che (art. 34) nel dettare la disciplina del meccanismo di rivalutazione delle pensioni con effetto dal 1 gennaio 1999, comprende esplicitamente nel trattamento complessivo le erogazioni a carico dei fondi integrativi e aggiuntivi" (disponendo che l'aumento della rivalutazione automatica dovuto "viene attribuito su ciascun trattamento in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo"), in quanto ciò non significa affatto che le dette erogazioni siano state soggette alla disciplina di cui alla precedente L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 13".

Per le considerazioni che precedono in accoglimento del secondo motivo del ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all'art. 13,comma 1 quater, dpr n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.