Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 maggio 2017, n. 13817

Notificazione di pignoramenti - Opposizione - Inammissibili - Tardività - Ricorso presentato oltre il termine prescritto

 

Fatti di causa

 

Con sentenza 21 ottobre 2011, il Tribunale di Parma rigettava le domande proposte da V. N. F. di opposizione al precetto e al pignoramento presso terzi, rispettivamente intimatogli e notificatogli dal creditore M. F., siccome inammissibili per tardività, in quanto introdotte con ricorso depositato oltre il termine perentorio di venti giorni prescritto dagli artt. 617 e 618 bis c.p.c.e la domanda risarcitoria per abuso di diritto nella notificazione di pignoramenti presso banche "a pioggia", siccome infondata nell'insussistenza dei suoi presupposti.

Con atto notificato il 18 gennaio 2012, V. N. F. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste M. F. con controricorso e memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 615 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea qualificazione della propria opposizione al precetto alla stregua di opposizione alla "regolarità formale del precetto" (ai sensi dell'art. 617, primo comma c.p.c.), anziché all'esecuzione (e pertanto proponibile senza termini perentori da rispettare, a norma dell’art. 615 c.p.c.), avendo ad oggetto la contestazione del diritto ad agire in via esecutiva per importo superiore a quello spettante (in quanto non dovute le voci di diritti quali: "esame titolo esecutivo", "consultazioni con il cliente" e "corrispondenza informativa con il cliente").

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 617, primo comma c.p.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea pronuncia di inammissibilità dell'opposizione al pignoramento presso terzi, in quanto tardiva rispetto al termine perentorio di venti giorni stabilito dalla norma denunciata, fatto erroneamente decorrere dalla notificazione del suddetto atto esecutivo dalla data in cui avvenuta agli istituti di credito terzi pignorati (il 2 aprile 2010), anziché al debitore esecutato (nei cui confronti mai avvenuta).

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 1227 c.c. ed erronea pronuncia (rectius: motivazione) su un punto decisivo controverso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per l'esclusione, in base a ragioni incongrue, dell'abuso del diritto nelle modalità di esercizio da Ferrarmi del proprio diritto di creditore (in realtà neppure tale, in quanto tenuto nei propri confronti per somme maggiori di quella intimata in pagamento con precetto ed oggetto di pignoramento), avendo egli agito in modo non proporzionato alla modestia del credito con l'intenzione di arrecargli discredito commerciale e d'immagine.

4. In via preliminare, deve essere dichiarata l'ammissibilità del ricorso, disattendendo la deduzione di M. F. in memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. di sua inammissibilità, qualora qualificata l'opposizione proposta da V. N. F., non già agli atti esecutivi come ritenuto dal Tribunale, bensì all'esecuzione come assunto dal medesimo con il primo motivo di ricorso.

Non si tratta, infatti, di applicare il regime processuale vigente ratione temporis, ossia di appellabilità di una sentenza (come appunto quella del Tribunale di Parma) pubblicata in data successiva al 4 luglio 2009 (per il ripristino del regime di impugnabilità, a norma dell'art. 616 c.p.c., come novellato dagli artt. 49, secondo comma e 58, secondo comma I. 69/2009), che sia stata resa in esito ad un giudizio qualificato di opposizione all'esecuzione (Cass. 17 agosto 2011, n. 17321, con principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, n. 1 c.p.c.; Cass. 24 giugno 2014, n. 14332).

Nel caso di specie, una tale qualificazione, peraltro corretta (avendo il giudizio ad oggetto la contestazione della spettanza di voci di spese legali del precetto, quali "esame titolo esecutivo", "consultazioni con il cliente" e "corrispondenza informativa con il cliente": così ponendo in discussione il diritto del creditore ad agire in via esecutiva, sia pure limitatamente a taluno dei crediti in esso esposti; sicché la relativa azione deve essere qualificata come opposizione all'esecuzione: Cass. 3 maggio 2011, n. 9698; Cass. 12 marzo 2013), non è stata tuttavia operata dal giudice a quo, ma dal ricorrente quale ragione di doglianza della qualificazione del giudizio alla stregua di opposizione agli atti esecutivi.

Ed è noto come l'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale debba essere operata con riferimento esclusivo alla qualificazione giuridica dell'azione data dal giudice nello stesso provvedimento, a prescindere dalla sua esattezza o dalle indicazioni della parte, fermo il potere del giudice ad quem di operare un'autonoma qualificazione non solo ai fini del merito, ma anche di ammissibilità stessa dell'impugnazione (Cass. 2 marzo 2012, n. 3338; Cass. 22 ottobre 2015, n. 21520; Cass. 22 giugno 2016, n. 12872).

5. Ebbene, tanto premesso in ordine alla corretta esperibilità dell'odierno ricorso, il collegio rileva, anche su segnalazione del controricorrente (a pg. 16 del controricorso, ribadita a pg. 5 della memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.), come la procedura esecutiva sia stata estinta, per rinuncia del creditore procedente, già in data 19 aprile 2010 (doc. 23 del fascicolo di primo grado di F.) e quindi addirittura prima dell'introduzione del giudizio di opposizione esecutiva (con ricorso depositato il 3 maggio 2010): senza peraltro che tale circostanza risulti essere stata esplicitamente rappresentata al primo giudice.

Ben si comprende come un tale dato, ritualmente acquisito agli atti di causa, ridondi su un'evidente carenza originaria di interesse ad agire, per estinzione della procedura avverso la quale è stata proposta opposizione. E la carenza di un tale interesse, richiesto dall'art. 100 c.p.c., è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poiché costituisce un requisito per la trattazione nel merito della domanda (Cass. 7 marzo 2002, n. 3330; Cass. 30 giugno 2006, n. 15084; Cass. 29 settembre 2016, n. 19268).

6. Al riguardo, è principio consolidato in materia che, ove siano state proposte opposizioni esecutive, l'estinzione del processo esecutivo comporti la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo solamente rispetto alle opposizioni agli atti esecutivi; permanendo invece l'interesse alla decisione per le opposizioni aventi per oggetto il diritto a procedere ad esecuzione forzata, in rapporto all'esistenza del titolo esecutivo o del credito (Cass. 16 novembre 2005, n. 23084; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4498; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1353; Cass. 10 luglio 2014, n. 15761).

E ciò si comprende per l'autonomia dell'accertamento in ordine all'esistenza del titolo esecutivo e del credito rispetto alla vicenda della singola procedura esecutiva, che non esaurisce la "spendibilità" del titolo né, tanto meno, del credito.

Diversa è invece l'ipotesi, come appunto quella di specie, di un'opposizione all'esecuzione esclusivamente incentrata su voci ("esame titolo esecutivo", "consultazioni con il cliente" e "corrispondenza informativa con il cliente") di spese dell'atto di precetto, che, con l'estinzione della procedura e quindi del pignoramento, perde la propria efficacia (art. 481 c.p.c.). E ciò comporta la carenza di interesse alla prosecuzione del giudizio, proprio come per le opposizioni agli atti esecutivi e, del tutto analogamente, all'opposizione ad esecuzione riguardante la pignorabilità dei beni (art. 615, secondo comma c.p.c.), in cui parimenti cessa l'interesse quando il pignoramento sia caduto su somme di danaro o di altre cose fungibili, perché il vincolo imposto dal pignoramento su questo genere di cose (consistente nell'inefficacia dei successivi atti di disposizione per una somma equivalente) si esaurisce con la sopravvenuta inefficacia del pignoramento (Cass. 16 novembre 2005, n. 23084; Cass. 12 settembre 2014, n. 19270).

7. E allora, l'accertata carenza di interesse di V. N. F., per le ragioni esposte, all'opposizione all'esecuzione al(le voci di spesa del) precetto, non già sopravvenuta, ma addirittura originaria, come sopra rilevato, comporta, in assorbimento di ogni altra questione dedotta con i motivi formulati, la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio, a norma dell'art. 382, ult. comma, ult. parte c.p.c., perché la causa non poteva essere promossa, sulla base del seguente principio di diritto:

"L'estinzione dell'esecuzione per rinuncia, anteriore alla proposizione di un'opposizione avverso di essa in riferimento esclusivo alle spese di precetto (che esaurisce i propri effetti nella procedura estinta), ne comporta la carenza di interesse originaria, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado, in quanto requisito per la trattazione nel merito della domanda: con la conseguenza che, ove un tale rilievo sia compiuto nel giudizio di legittimità, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, perché la causa non poteva essere promossa".

8. I comportamenti, anche extraprocessuali, tenuti da entrambe le parti e consistiti nella proposizione di un giudizio di opposizione avverso esecuzione estinta e nella mancata tempestiva prospettazione della circostanza al giudice di merito, costituiscono gravi ed eccezionali ragioni, a norma dell'art. 92, secondo comma c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 13 luglio 2015, n. 14546; Cass. 31 maggio 2016, n. 11217; Cass. 14 luglio 2016, n. 14411), che giustificano la compensazione delle spese dell'intero procedimento tra le parti medesime.

 

P.Q.M.

 

Provvedendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata senza rinvio, ai sensi dell'art. 382, ult. comma, ult. parte c.p.c., perché la causa non poteva essere promossa. Dichiara compensate tra le parti le spese dell'intero procedimento.