Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 maggio 2018, n. 11423

Pensione di anzianità - Anzianità contributive - Inpdai - Retribuzione previdenziale imponibile

 

Fatti di causa

 

Con sentenza n. 443/2012 la Corte d'Appello di Bologna confermava la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto a C.A. il diritto a vedersi determinare l'importo della pensione di anzianità, anche ai fini del calcolo della quota corrispondente alle anzianità contributive acquisite fino al 31 dicembre 2002, presso la gestione Inpdai, mediante valutazione della retribuzione previdenziale imponibile relativa agli ultimi cinque anni (in riferimento alla anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 1992) o dieci anni (in riferimento alla anzianità contributiva dal 1 gennaio 1993 al 31 dicembre 2002) antecedenti la decorrenza della pensione, e condannando l'Inps a ricalcolare la prestazione pensionistica in conformità ed a pagare i ratei con gli accessori.

A fondamento della decisione la Corte rilevava che l'articolo 42 della legge 289 del 2002 e la circolare Inps numero 117 del 23/6/2003 non consentivano di applicare invece il criterio del pro rata applicato dall'Istituto nell'individuazione della retribuzione imponibile fino al 31 dicembre 2002 data di vigenza della gestione Inpdai.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'INPS con un motivo illustrato da memoria, resiste con controricorso C.A.

 

Ragioni della decisione

 

1. - Con l'unico motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 42 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché dell'articolo 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (in relazione all'articolo 360 n. 3 c.p.c.) in base ai quali la liquidazione del trattamento pensionistico del C. sarebbe dovuta avvenire in applicazione del principio del pro rata; e dunque calcolando una quota di pensione determinata sulla base delle anzianità contributive Inpdai ed un'altra sulla base delle anzianità contributive Inps; e pertanto le retribuzioni prese a riferimento avrebbero dovuto essere, relativamente alla quota Inpdai, quelle degli ultimi 5 e 10 anni di lavoro svolto in costanza di assicurazione Inpdai; laddove la Corte d'Appello aveva affermato invece che, poiché alla data di soppressione dell'Inpdai, 1° gennaio 2003, il Carpi era assicurato all'Ago dell'Inps, egli avrebbe avuto diritto a vedersi calcolare la pensione con applicazione integrale delle regole dell'Ago, considerando i due segmenti di contribuzione Inpdai ed Inps come se fossero un'unica provvista contributiva accreditata presso l'Inps.

2. - Il motivo è fondato. Questa Corte ha avuto occasione di pronunciarsi recentemente sulla stessa questione di diritto - tutta incentrata sull'esatta interpretazione dell'art. 42, legge 27 dicembre 2002, n. 289 - ed ha statuito con indirizzo costante (sentenze nn. 4897/2017, 18841/2017, 19036/2017) che in tema di confluenza dell'INPDAI nell'INPS, il trasferimento dei contributi presso quest'ultimo istituto è avvenuto, per effetto della I. n. 289 del 2002, attraverso l'iscrizione "con evidenza contabile separata", e, quindi, in carenza di un'unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal d.P.R. n. 58 del 1976, sicché l'art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, laddove dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1° gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31 dicembre 2002.

Pertanto ai fini della liquidazione della pensione spettante ad un dirigente di imprese industriali, già iscritto presso I' INPDAI, confluito nell'INPS in forza della I. n. 289 del 2002, le retribuzioni di riferimento sono quelle che sarebbero state utili nel caso di un'ipotetica liquidazione da parte dell' INPDAI, e non anche le retribuzioni degli ultimi cinque e dieci anni a decorrere a ritroso dalla data del pensionamento, in quanto il rinvio dell'art. 42 della I. n. 289 del 2002 all'art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 181 del 1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell'art. 42 cit., sono espressione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, per la diversità dei sistemi di calcolo adottati, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo specifici criteri.

3. Si tratta di un orientamento che secondo il Collegio risponde meglio dell'altro, accolto invece dalla Corte territoriale, alla portata letterale e logica dell'impianto normativo di riferimento e che deve essere quindi posto anche a base della odierna pronuncia.

4. - Ne consegue che il ricorso va accolto, la sentenza cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda proposta da C.A. deve essere decisa nel merito con il rigetto della medesima.

5. Le spese devono essere compensate in ragione dell'obiettiva controvertibilità del quadro normativo di riferimento (contraddistinto anche dalla presenza di una circolare INPS di tenore favorevole all'assicurato) e dalla formazione dell'orientamento di legittimità posto alla base della decisione in un momento successivo alla proposizione del ricorso.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo rigetta la domanda. Compensa le spese dell'intero processo.