Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 maggio 2017, n. 10971

Imposte dirette - IRPEF - Accertamento - Affitto azienda - Doppia imposizione

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 15 maggio 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l'appello proposto da M.M. avverso la sentenza n. 1724/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che ne aveva respinto il ricorso contro l'avviso di accertamento IRPEF 2008. La CTR osservava in particolare che non poteva considerarsi sussistente lo "stato di necessità" allegato a giustificazione dell'affitto di azienda (vendita di generi di monopolio) a soggetto terzo, in violazione del relativo divieto di legge e che comunque mancava la prova che nei redditi dichiarati dall'affittuaria fossero ricompresi gli aggi percepiti dalla contribuente, sicché doveva escludersi alcuna duplicazione di imposta in suo danno.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la M. deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. - la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La censura è inammissibile.

La ricorrente infatti non tiene conto della novella legislativa della previsione codicistica evocata e quindi denuncia ragioni di cassazione che non sono più previste dalla legge.

In ogni caso il mezzo non è proponibile vertendosi in un caso evidente di "doppia conforme" ai sensi dell'art. 348 ter, quinto e quarto comma, cod. proc. civ.

Con il secondo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - la ricorrente si duole della violazione delle disposizioni legislative e costituzionali che prevedono i principi di personalità dell'imposta, di capacità contributiva e di divieto di doppia imposizione.

La censura è infondata.

Risulta invero che la CTR abbia correttamente fatto applicazione delle evocate previsioni normative, accertando in fatto, con giudizio di merito che non è sindacabile in questa sede, che non vi è prova che l'imposta richiesta con l'atto impositivo impugnato sia stata assolta dalla affittuaria dell'azienda di proprietà della M., la quale pertanto proprio in virtù di dette diposizioni legislative e costituzionali deve assolvere l'imposta medesima.

Va comunque notato che nel caso di specie si tratterebbe al più di una doppia imposizione "economica", non "giuridica", essendo diversi i soggetti incisi dal tributo ed il relativo presupposto, sicché non è applicabile l'art. 67, d.P.R. 600/1973, richiamato dall'art. 163, TUIR (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 1168 del 21/01/2008, Rv. 601546 - 01).

Con il terzo motivo - ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - la ricorrente denuncia violazione di legge in quanto la CTR avrebbe affermato il principio del solve et repete, non più esistente nell'ordinamento tributario.

La censura è inammissibile.

Non vi è infatti in alcuna parte della motivazione della sentenza impugnata alcun passaggio argomentativo nel quale detto principio sia evocato né in concreto lo stesso risulta applicato dalla CTR.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.