Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 luglio 2016, n. 13809

Tributi - INVIM - Condono ex art. 53, L. 413/1991 - Manata spedizione della ricevuta di versamento - Revoca

 

In fatto

 

F.F., in proprio e quale erede di l.S., I.G., l.S., I.P., l.A. e l.E., tutte quali eredi di l.S., propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria n. 2033/01/2014, depositata in data 28/10/2014, con la quale - in controversia concernente l’impugnazione, da parte dei contribuenti l.S. e F.F., di un avviso di mora per INVIM dovuta in relazione alla compravendita, nell’anno 1987, di un immobile - e stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso dei contribuenti, stante la mancata spedizione della ricevuta di versamento attestante l’allegata definizione della lite per condono ai sensi dell’art. 53 L. 413/1991.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dei contribuenti (anche gli eredi di l.S., deceduto nelle more del giudizio), hanno sostenuto che non vi era in effetti prova dell’ "effettivo deposito" della ricevuta del versamento correlato al condono né prova del versamento in altro modo era stata fornita dal contribuente (ed anzi la dichiarazione relativa all’avvenuta richiesta di definizione per condono non riportava "alcuna sottoscrizione del funzionario preposto").

A seguita di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

 

In diritto

 

1. Le ricorrenti lamentano, con il primo motivo, l’omesso, insufficiente esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., non avendo la C.T.R. sufficientemente motivato sulla contestazione inerente l’avvenuto deposito, presso la Commissione Tributaria Provinciale, della ricevuta di versamento allegata alla richiesta di condono, essendosi i giudici d’appello limitati a "ripetere quanto già affermato dal primo giudice". Con il secondo motivo, le stesse ricorrenti denunciano sia un vizio di omesso, insufficiente esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., sia un vizio di violazione ed "omessa" applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., avendo la C.T.R. totalmente omesso di pronunciarsi sull’eccezione, sollevata con l’atto di appello, di avvenuta prescrizione della pretesa impositiva.

2. Le due censure involgenti vizi motivazionali sono inammissibili. Invero, premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053-8054/2014) hanno di recente affermato che "la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del dl. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo /anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze  processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico" nella "motivazione apparente" nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (cfr. ord. 21257/2014).

Ora, in ordine alla prova dell’effettivo versamento del quantum dovuto correlato alla richiesta di definizione per condono, la C.T.R., valutato il complesso del materiale prodotto (di cui ha dato conto nella parte in fatto della sentenza), ha motivato nel senso sopra riportato, richiamando quanto già statuito in primo grado.

A fronte di tali affermazioni, il motivo dedotto dal ricorrente è inammissibile, in quanto, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (nella sentenza n. 8053/2014) "l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio  di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in consideratone dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultante probatorie".

3. Il secondo motivo, nella parte implicante un vizio di violazione di norma di diritto, avuto riguardo all'implicito rigetto, da parte della C.T.R., dell’eccezione, sollevata con specifico motivi; di appello, di prescrizione della pretesa impositiva,  infondato.

Invero, a prescindere da quanto eccepito dalla controricorrente in ordine all’avvenuta allegazione, nel merito, di atti interruttivi del termine di prescrizione, la relativa eccezione risulta essere stata pacificamente sollevata dagli appellanti con il gravame, per la prima volta.

Costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo il quale non si può dedurre per la prima volta in appello la prescrizione o la decadenza della pretesa impositiva, ovvero far valere per la prima volta autonome circostanze fattuali a sostegno di tale eccezione, concretando detta deduzione una domanda nuova, cui osta il divieto espresso contenuto nel ridetto art. 57 laddove si fissa il precetto che "non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d'ufficio" (Cass. 14028/2011; Cass. 15740/2012; Cass. ord. 171/2015: "il termine di decadenza stabilito, a carico dell'ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l'esercizio del potere impositivo, ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti in quanto tale decadenza non concerne diritti disponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicché è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d'ufficio, né proponibile per la prima volta in grado d'appello").

Peraltro, nel processo Tributario, caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell'atto tributano per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi €. 1.500,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pan a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.