Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 luglio 2016, n. 15690

Attività ispettiva - Verbale - Fatti addebitati - Sanzione - Opposizione

 

Svolgimento del processo

 

1 - La Corte di Appello di Napoli ha parzialmente accolto l'opposizione proposta da F. M., in proprio e quale legale rappresentante della s.n.c. F. di M. F. & C., avverso la ordinanza ingiunzione n. 2658 dell'8 settembre 2005 e, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha ridotto la sanzione determinandola in complessivi € 62.037,90.

2 - La Corte territoriale ha premesso che agli opponenti era stata contestata la violazione dell'art. 9 bis della legge n. 608 del 1996 - per la omessa comunicazione alla Sezione Circoscrizionale per l'Impiego di 120 assunzioni e per la omessa consegna ai lavoratori della dichiarazione contenente i dati della registrazione sul libro matricola - nonché dell’art. 21 della legge n. 264 del 1949, per la omessa comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro intercorso con P. A..

3 - In punto di diritto la Corte ha osservato che:

a) solo in grado di appello gli opponenti avevano contestato che le assunzioni fossero state 120 ed avevano asserito che, in realtà, le contestazioni si riferivano a 6 lavoratori, ai quali la prestazione era stata richiesta con carattere di intermittenza;

b) il motivo formulato al riguardo era da ritenere inammissibile, per essere fondato su un tema nuovo, non allegato in primo grado;

c) la Direzione Provinciale aveva assolto all'onere della prova sulla stessa gravante, sia perché le conclusioni del verbale di accertamento del 20 dicembre 2001 presupponevano specifici controlli documentali svolti dagli ispettori, sia perché la M. non aveva mai affermato di avere provveduto all'invio delle relative comunicazioni;

d) il termine previsto dall'art. 14 della legge n. 689 del 1981 era stato rispettato perché il dies a quo decorre, non dalla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile, bensì dalla piena conoscenza della condotta illecita, sicché non va computato il tempo necessario per gli accertamenti;

e) non rilevava la avvenuta abrogazione dell'illecito amministrativo perché i principi di legalità e di irretroattività sanciti dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981 comportano l'assoggettamento della condotta alla legge vigente al momento del suo verificarsi;

f) non sussistevano i presupposti per l'applicazione dell'art. 8 della legge sopra richiamata ma poteva farsi luogo alla riduzione della sanzione ai sensi dell'art. 23, apparendo congruo per ciascun illecito l'importo minimo di £. 500.000.

4 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F. M., in proprio e quale legale rappresentante della s.n.c., sulla base di cinque motivi. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1.1 - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano "violazione dell'art. 345 c.p.c. e nullità della sentenza o del procedimento per omissione di pronuncia in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 9 bis L. 608/96 ed omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". Deducono che erroneamente la Corte partenopea aveva omesso di pronunciare sul primo motivo di appello, ritenuto inammissibile. Ribadiscono che non poteva essere contestata la omessa comunicazione in relazione a 120 assunzioni, poiché con ognuno dei sette lavoratori era intercorso un unico contratto, avente ad oggetto una prestazione lavorativa discontinua. Rilevano che detta circostanza, posta alla base del motivo di appello, integra una mera difesa volta a contestare, sia pure con ulteriori argomentazioni, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria.

1.2 - Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2697 c.c., 9 bis, commi 1, 2 e 3, L. 608/96, 23, comma 12, L. 689/81; omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio". Evidenziano i ricorrenti che l'opposizione ad ordinanza ingiunzione dà vita ad un giudizio ordinario sul fondamento della pretesa dell'amministrazione che, quindi, assume le vesti sostanziali di attore ed è tenuta a fornire la prova dell'illecito contestato. Nel caso di specie, contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, l'onere della prova non era stato assolto, non essendo sufficiente a dimostrare le asserite assunzioni il verbale redatto all'esito della attività ispettiva. Assumono, inoltre, i ricorrenti che il giudice di appello aveva errato anche nel ritenere che i fatti addebitati non fossero stati contestati, poiché, al contrario, la contestazione era stata tempestivamente effettuata, già nel corso del procedimento amministrativo.

1.3 - La medesima rubrica i ricorrenti antepongono al terzo motivo con il quale, richiamato il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1786/2010, sostengono che il giudice di appello avrebbe dovuto verificare se i rapporti in relazione ai quali la sanzione era stata inflitta presentassero i caratteri del lavoro subordinato.

1.4 - Il quarto motivo denuncia "omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" in relazione al capo della sentenza con il quale era stato respinto il motivo di appello relativo alla eccepita tardività della ordinanza. Evidenziano i ricorrenti che non poteva essere ritenuto congruo l'arco temporale compreso fra la data dell'accertamento del fatto e la emissione del provvedimento, giacché la Direzione Provinciale del Lavoro aveva lasciato trascorrere più di due anni e non aveva giustificato in alcun modo il ritardo.

1.5 - Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono della "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2697 c.c., 9 bis, commi 1, 2 e 3 L. 608/96, 23, comma 12, L. 689/81" perché la Corte di appello non avrebbe tenuto conto nella determinazione del quantum del disposto dell’art. 51 del d.lgs n. 213 del 24 giugno 1998 che, nel disciplinare le modalità di conversione delle sanzioni pecuniarie amministrative o penali dalla lira all'euro, ha stabilito che ove l'operazione produca "un risultato espresso anche con decimali, la cifra è arrotondata eliminando i decimali". L'importo complessivo doveva, pertanto, essere quantificato in € 61.982,00 e non in € 62.037,90.

2-1 primi tre motivi, che per la loro stretta connessione logico giuridica devono essere trattati unitariamente, sono infondati.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento, disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del processo ordinario di cognizione e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa di parte, nonché ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. A ciò consegue che il giudice, salve le ipotesi di inesistenza, non ha il potere di rilevare ragioni di invalidità del provvedimento opposto o del procedimento che l'ha preceduto non dedotte nell'atto di opposizione, nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del provvedimento stesso, e che l’opponente,

se ha facoltà di modificare l'originaria domanda, non può introdurre in corso di causa domande nuove, ossia motivi di opposizione diversi da quelli originariamente dedotti (Cass. 16.2.2016 n. 2962; Cass. 16.4.2010 n. 9178; Cass. 5.8.2010 n. 18288).

A detto principio di diritto si è correttamente attenuta la Corte partenopea nell'affermare la inammissibilità del motivo di appello con il quale era stato dedotto, solo in sede di gravame, che nella specie non potevano essere ravvisate 120 assunzioni, trattandosi, in realtà, di "chiamate", tutte riferibili a sette contratti di lavoro intermittente.

La questione, che non attiene alla sola qualificazione giuridica, comportando l'accertamento, in fatto, della ricorrenza dei requisiti formali e sostanziali richiesti dagli artt. 33 e seguenti del d.lgs n. 276 del 2003 (nel testo vigente ratione temporis), non era stata prospettata nell'originario atto introduttivo, del quale questa Corte può valutare il contenuto, essendo stato denunciato un error in procedendo.

L’opposizione, infatti, era stata fondata esclusivamente sui motivi riassunti a pag. 2 della sentenza impugnata, che non riguardavano né la qualificazione dei contratti né la natura delle prestazioni di volta in volta richieste ai lavoratori indicati nella ordinanza.

2.1 - Non si può sostenere che il ricorso introduttivo dovesse essere integrato, quanto ai motivi di opposizione, dagli scritti difensivi presentati nel corso del procedimento amministrativo, perché richiamati nel ricorso.

Le ragioni di fatto e di diritto sui quali la domanda si fonda devono essere dedotte nell'atto introduttivo del giudizio e non possono essere integrate attraverso la produzione documentale, che ha solo finalità probatorie, ed il cui contenuto non può certo concorrere a delimitare il thema decidendum del giudizio.

Ne discende che correttamente la Corte partenopea, una volta esclusa la ammissibilità del motivo, non ha pronunciato sulle questioni dedotte solo in sede di gravame che, in quanto non prospettate nell'originario atto introduttivo, sono inammissibili anche in questa sede.

2.2 - Non sussiste, poi, la violazione dell'art. 2697 c.c. denunciata nei motivi di ricorso, ed in particolare nel secondo motivo con il quale si sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere non assolto l’onere della prova gravante sulla amministrazione, non essendo a tal fine sufficiente la produzione del verbale di accertamento.

La violazione di legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360 1° comma, n. 3 c.p.c. e 2697 c.c., può essere utilmente denunciata nei casi in cui il giudice di merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo. Solo in tal caso l'errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli della incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto.

Detta evenienza non si verifica allorquando il giudice, all'esito della valutazione delle risultanze di cause, pervenga ai convincimento che i fatti allegati dall'attore ( in senso sostanziale) siano provati.

In tal caso la doglianza sulla valutazione espressa, in quanto estranea alla interpretazione della norma, va ricondotta al vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. e, quindi, può essere apprezzata solo nei limiti che la disposizione, nel testo applicabile ratione temporis, pone.

La norma citata, infatti, non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, poiché il controllo di logicità del giudizio di fatto "non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità" ( fra le più recenti Cass. 9.1.2014 n. 91 e Cass. 28.11.2014 n. 25332).

Questa Corte ha, poi, costantemente affermato che II giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ( Cass. 7.1.2009 n. 42 e fra le più recenti Cass. 23.5.2014 n. 11511).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente valorizzato, da un lato, il contenuto del verbale ispettivo, sottolineando che le omissioni, di carattere formale, erano state accertate mediante specifici controlli documentali; dall'altro il tenore degli scritti difensivi presentati nel corso del procedimento

amministrativo, evidenziando che il mancato invio della comunicazione di assunzione al centro per l'impiego e la mancata consegna della lettera di assunzione ai lavoratori, ossia i fatti contestati con la ordinanza ingiunzione, non erano mai stati negati dalla M..

La motivazione della sentenza impugnata è conforme a diritto per quanto attiene al valore probatorio del verbale di accertamento che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte ( si rimanda a Cass. 19.4.2010 n. 9251 ed a Cass. 6.9.2012 n. 14965), fa piena prova dei fatti che il funzionario attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, quali sono i riscontri di carattere documentale, posti nella fattispecie a fondamento della contestazione.

Per il resto il motivo di ricorso si limita a prospettare una diversa ed alternativa valutazione delle risultanze di cause, non consentita in sede di legittimità.

3 - Analoghe considerazioni inducono a ritenere infondato il quarto motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti hanno riproposto la questione della tardività della ordinanza ingiunzione, in quanto emessa in violazione del termine di cui all'art. 14 della legge n. 689 del 1981.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell'infrazione, il termine di novanta giorni, previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, per la notifica degli estremi della violazione, decorre dal compimento dell'attività di verifica di tutti gli elementi dell'illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all'amministrazione per valutare e ponderare gli elementi acquisiti ( in tal senso fra le più recenti Cass. 28.10.2014 n. 22837).

E' stato evidenziato, infatti, che il procedimento di accertamento della violazione è finalizzato a consentire all'amministrazione di avere piena contezza degli estremi, oggettivi e soggettivi, della condotta realizzata. La correttezza e completezza dell’accertamento rispondono, quindi, sia all'interesse pubblico connaturato alla funzione pubblica svolta dall'ente accertatore, sia all'interesse dello stesso autore della condotta al fine di un'adeguata ponderazione della sua eventuale responsabilità.

A tale esigenza si contrappone, peraltro, quella dell'ipotizzato autore della condotta di vedere concluso l'accertamento in tempi brevi, sia per definire la propria posizione incerta sia per poter eventualmente apprestare una pronta ed adeguata difesa.

Nel contemperamento di tali esigenze, occorre effettuare una valutazione di ragionevolezza dei tempi impiegati per l'accertamento, al fine di ritenerne la complessiva congruità rispetto alla duplice esigenza sopra individuata.

In tale ambito assumono rilievo tutte le complesse attività finalizzate all'accertamento, tra cui rientrano non solo gli atti di indagine effettuati, ma anche il tempo necessario all'amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi già acquisiti, onde ritenerne l'incidenza e la sufficienza ai fini della completa disamina di tutti gli aspetti della fattispecie ( così in motivazione Cass. 2.4.2014 n. 7681).

3.1. - A detti principi di diritto si è correttamente attenuta la sentenza impugnata che, con articolata motivazione, ha innanzitutto escluso che il dies a quo potesse coincidere con la mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile, essendo, invece, necessario anche acquisire ulteriori informazioni ed ha poi ritenuto che la complessità degli accertamenti, comunque relativi a 120 assunzioni, giustificasse il tempo trascorso.

I ricorrenti, pur denunciando formalmente la violazione dell'art. 14 della legge n. 689 del 1981, in sostanza censurano l'accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, e finiscono per sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito, non consentita a questa Corte.

4 - E' fondato il quinto motivo di ricorso perché la Corte territoriale, nel convertire in euro la sanzione pecuniaria espressa in lire, non ha considerato che ai sensi del terzo comma dell'art. 51 del d.lgs 24.6.1998 n. 213 "se l'operazione di conversione prevista dal comma 2 produce un risultato espresso anche con decimali, la cifra è arrotondata eliminando i decimali".

La sanzione di £ 500.000 deve essere convertita in € 258,00 e non in € 258,23.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata limitatamente alla quantificazione della sanzione complessiva, che questa Corte, decidendo nel merito, quantifica in € 61.982,00, anziché in € 62.037,90.

5 - La fondatezza, sia pure in minima parte, del ricorso giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità limitatamente ad un quinto. La quota residua deve essere posta a carico dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo.

Quanti ai gradi del giudizio di merito nulla è dovuto alla amministrazione per il primo grado, poiché la Direzione Provinciale si è avvalsa della difesa di un funzionario. Va confermata la integrale compensazione delle spese del giudizio di appello.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito determina la sanzione dovuta in € 61.982,00. Compensa le spese del giudizio di legittimità limitatamente ad un quinto e condanna i ricorrenti al pagamento della quota residua liquidata in € 4.000,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Compensa integralmente le spese del grado di appello. Nulla per le spese del giudizio di primo grado.