Giurisprudenza - CORTE DEI CONTI - Ordinanza 17 marzo 2016

Previdenza - Pubblici dipendenti - Trattamento di quiescenza - Maggiorazione del 18% della quota parte di stipendio di importo pari all'ex voce retributiva indennità integrativa speciale - Esclusione - DPR 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), art. 220, come modificato dall'art. 22 della legge 29 aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza).

 

 Fatto

 

Con il ricorso all'esame, il ricorrente - ex dirigente di T. S.p.a. cessato dal servizio il 25 febbraio 2011 con diritto a trattamento pensionistico erogato dalla specifica gestione - censurava che nel prospetto di calcolo della propria pensione erroneamente l'Istituto previdenziale aveva: scorporato dall'ultimo stipendio percepito l'importo relativo alla soppressa voce retributiva "indennità integrativa speciale" (nel prosieguo: i.i.s.), per poi applicare la maggiorazione del 18% ex art. 22 della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua;  del pari, scorporato dall'"Assegno personale pensionabile - ex Premio di Esercizio" - o 14ª mensilità - l'importo relativo alla soppressa voce retributiva "Superminimo individuale" (pari a euro 1.139,71), per poi applicare la maggiorazione del 18% ex art. 22 della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua.

 Risultava dagli atti che:

 con raccomandata del 29 ottobre 2012 l'interessato domandava all'INPS di Teramo di rettificare il proprio trattamento pensionistico con la determinazione della base pensionabile mediante maggiorazione dell'intero Trattamento retributivo individuale ("TEI) ivi incluso l'importo equivalente a quello dell'ex voce "i.i.s." e dell'intero importo dell'"Assegno personale pensionabile - Ex premio di esercizio" comprensivo dell'ammontare relativo alla ex voce retributiva "superminimo individuale";

 in mancanza di risposta alla predetta richiesta, l'interessato proponeva in data 4 giugno 2013 ricorso al Comitato amministratore del Fondo dipendenti delle F.d.S. (asserito senza risposta e, pertanto, tacitamente rigettato).

 Nella sede giurisdizionale, in particolare, il pensionato sosteneva che:

 l'art. 22 della legge n. 177 del 1976 esprimeva un principio di tassatività per quanto concernente l'incrementabilità del 18% ai fini pensionistici degli emolumenti diversi dallo stipendio (rif.: "assegni e indennità") percepiti dal personale ferroviario già iscritto al Fondo pensioni, ma "ovviamente" la norma salvaguardava l'integrale applicabilità della maggiorazione del 18% allo stipendio o stipendio tabellare in godimento al momento della cessazione del servizio, rispetto al quale non poneva limitazione alcuna;

il "T.E.I.", del quale il ricorrente era in godimento alla data di cessazione del servizio, aveva natura sicuramente stipendiale e costituiva - al di là della denominazione meramente formale - lo "stipendio tabellare" ovvero "stipendio" riguardato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, ove si fosse considerato che lo stesso rappresentava il solo e unico corrispettivo sinallagmatico pertanto fondamentale ed esclusivo previsto dal C.C.N.L. di categoria per la prestazione dedotta nel rapporto di lavoro;

 detta retribuzione fissa, continuativa, predeterminata, ordinaria e periodica integrava quindi gli estremi della fattispecie dello "stipendio" in senso stretto, di cui all'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato da ultimo dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976;

lo stesso INPS, in sede di determinazione della base pensionabile, aveva considerato il "T.E.I." in godimento alla data di cessazione del servizio come l'"ultimo stipendio" come evidenziato nei prospetti allegati al ricorso stesso;

 illegittimamente, dunque, l'Istituto aveva sottratto dallo "stipendio tabellare" (vale a dire il "T.E.I") l'importo mensile di euro 745,76 pari alla voce retributiva soppressa dell'ex "i.i.s." (del quale il ricorrente era in godimento prima dell'applicazione del CCNL dei dirigenti industriali del 30 ottobre 1998), per poi effettuare la rivalutazione del 18% sulla parte residua;

dall'avvenuto conglobamento dell'i.i.s. nello stipendio tabellare, di cui l'indennità era divenuta parte integrante, sostanziale e inscindibile, non poteva che conseguire anche la relativa maggiorazione del 18% nell'ambito della base pensionabile;

 da quanto esposto non poteva che derivare la perdita di qualsiasi rilevanza ed efficacia giuridica di norme pregresse in ordine alla preclusione della maggiorazione del 18% della i.i.s. (art. 15, legge n. 724 del 1994), in quanto fondate sul presupposto dell'autonomia di una voce retributiva cancellata dall'ordinamento e il cui importo era divenuto a tutti gli effetti parte integrante dello "stipendio"; tanto più, si affermava, che T. aveva applicato le trattenute previdenziali sull'intero importo del "T.E.I." maggiorato del 18% comprensivo, dunque, della quota parte di esso afferente alla ex "i.i.s.";

 con la domanda di ricorso, pertanto, non si chiedeva la maggiorazione del 18% dell'i.i.s., bensì l'esatta determinazione dello stipendio tabellare ("T.E.I.") da assoggettare alle modalità di computo previste dall'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;

 la soluzione prospettata nel gravame risultava in linea con la plurima giurisprudenza della Corte dei conti (rif.: Sezione di controllo sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, n. 2 del 24 marzo 2004; Sezioni giurisdizionali Puglia, sentenza n. 454 del 2014; Marche, sentenze n. 66 del 2012 e n. 380 del 2008;

Sezioni riunite Sicilia, sentenza n. 46 del 2010; Liguria, sentenza n. 771 del 2007; Emilia Romagna, sentenza n. 946 del 2007);

 la predetta soluzione trovava ulteriore conferma nella "Nota a verbale" riportata in calce all'art. 63 del CCNL delle Attività ferroviarie del 16 aprile 2003, vigente al momento della cessazione del ricorrente e applicabile a tutto il personale con qualifica diversa da quella di dirigente di T. S.p.a., a mente della quale: "Le parti confermano che le voci retributive di cui al punto 1.1. e al p. 6 del presente articolo (n.d.r.: i cc.dd. "Minimi contrattuali" comprensivi dell'ex indennità di contingenza ovvero dell'indennità integrativa speciale ex legge n. 324 del 1959 e successive modificazioni nonché dell'E.D.R. di cui al Protocollo interconfederale del 31 luglio 1992) sono elemento dello "stipendio" ai sensi di quanto previsto dall'art. 220 del T.U. n. 1092 del 1973, come sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976 e successive modifiche e integrazioni; tale contenuto dispositivo si affermava applicabile ai dirigenti per l'effetto dell'ellittico rinvio operato dall'art. 27 del CCNL dirigenti d'azienda;

 le voci retributive precedentemente godute dal personale poi conglobate nello stipendio, tra cui l'i.i.s., avevano generato una eccedenza di retribuzione che le parti stipulanti avevano ritenuto di salvaguardare come "Assegno personale pensionabile" (A.P.P.) non riassorbibile denominato "Elemento retributivo individuale" (E.R.I.) (rif.. art. 63 del CCNL del 16 aprile 2003 e art. 28 del Contratto aziendale del Gruppo SF e Accordo di confluenza al CCNL delle attività Ferroviarie del 16 aprile 2003);

 considerazioni analoghe a quelle svolte per l'ex "i.i.s." valevano per lo scomputo della somma corrispondente alla voce retributiva soppressa "Superminimo individuale" (anch'essa non più riportata nei cedolini stipendiali identicamente alla ex per effetto della modifica apportata dalle parti stipulanti alle clausole della contrattazione collettiva con decorrenza 1° gennaio 2005, la voce "Superminimo", che non concorreva alla determinazione dell' "Assegno pensionabile - ex premio di esercizio" ex accordo del 30 ottobre 1998 era stata soppressa e il relativo importo era stato conglobato in quello dello stipendio tabellare ("T.E.I.") il quale, come già il "Minimo contrattuale base", concorreva e - ora come "T.E.I." - continuava a concorrere alla determinazione di detto "Assegno pensionabile - ex premio di esercizio", con esso anzi identificandosi e coincidendo in tutto e per tutti i relativi effetti; tale disposizione rimaneva immutata a seguito del rinnovo del C.C.N.L. dei dirigenti d'azienda del 25 novembre 2009, ex art. 3, comma 6, dello stesso C.C.N.L., vigente al momento della cessazione del servizio del ricorrente; ("Assegno personale pensionabile - ex premio di esercizio" o 14^ mensilità, pertanto, era pari al "T.E.I." maggiorato del 20% ex accordo del 30 ottobre 1998, a sua volta da incrementare del 18% ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del 1976.

 Nel gravame si concludeva:

 per la dichiarazione del diritto alla determinazione della base pensionabile con maggiorazione del 18% ex art. 22 della legge n. 177 del 1976 dello stipendio tabellare ("T.E.I."), senza scorporo dell'importo afferente la soppressa "i.i.s.";

 per la dichiarazione del diritto al computo dell' "Assegno personale pensionabile - ex premio di esercizio" o quattordicesima mensilità (pari al "T.E.I." maggiorato del 20%), da maggiorarsi del 18% in base pensionabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del 1976, senza scorporo dell'importo afferente la soppressa voce retributiva "Superminimo individuale";

 per la condanna dell'INPS alla corresponsione della pensione come sopra rideterminata e adeguata, con pagamento degli arretrati pari alla differenza tra il dovuto e il corrisposto, oltre a interessi e rivalutazione monetaria come per legge, sino all'effettivo soddisfo.

 Con memoria depositata il 6 ottobre 2015 si costituiva l'Istituto previdenziale eccependo ovvero rappresentando quanto segue:

la componente retributiva denominata "Assegno personale pensionabile" veniva regolarmente inclusa nelle competenze assoggettate all'incremento del 18%;

 quanto all'"i.i.s." la posizione del ricorrente in nulla differiva da quella degli altri dipendenti delle F.d.S.

(dirigenti e non);

per i dirigenti di F.d.S. S.p.a. dal 1° gennaio 2005 ai sensi del C.C.N.L. 2004/2008 la base imponibile ai fini previdenziali risultava costituita dal T.E.I. ("Trattamento economico individuale") del tutto assimilabile alla voce "stipendio" indicata dall'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;

 l'"i.i.s." amministrativamente andava scorporata dalla voce "stipendio" ai fini dell'aumento del 18% e aggiunta, poi, senza tale aumento al prodotto ottenuto nella formazione della base imponibile con modalità indicate nella direttiva INPS n. 29763 del 7 novembre 2006 e nella disposizione n. 0060034 del 13 marzo 2009;

il ricorrente erroneamente riteneva che le parti private potevano disporre di risorse pubbliche determinando la misura delle prestazioni previdenziali, diversamente innescandosi illegittimi costi indiretti; in proposito si affermava necessaria una specifica previsione normativa per l'inclusione d'una componente retributiva nella base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%;

ai sensi dell'art. 63 del C.C.N.L. del 1° agosto 2003, cessava - a far data 1° settembre 2003 - d'essere erogata come distinta componente retributiva;

la domanda giurisdizionale e la relativa prospettazione ponevano la questione della determinazione dell'imponibile contributivo ai fini della misura della prestazione;

con numerose pronunce la Sezione seconda centrale della Corte dei conti aveva chiarito quali componenti retributive, pur essendo computabili in pensione, non fossero tuttavia soggette alla maggiorazione del 18% (rif.: sentenze nn. 314, 315 e 317 del 18 novembre 2003 e n. 336 del 25 novembre 2003); analogamente si sosteneva avessero chiarito le sentenze n. 189 del 2011 e n. 114 del 2012 di questa Sezione giurisdizionale; pertanto, la maggiorazione del 18% poteva ritenersi applicabile ai casi tipizzati dal legislatore negli articoli 15 e 22 della legge n. 177 del 1976; per il personale ferroviario analogamente disponeva l'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;

insuperabile risultava il precetto di cui all'art. 15, commi 1 e 3, della legge n. 724 del 1994; se, dunque, l'art. 63 del C.C.N.L. e il C.C.N.L. dirigenti personale ferroviario avevano conglobato l'i.i.s. nel minimo contrattuale, con la stessa implicazione sul piano del sinallagma che dalle date della loro efficacia l'indennità cessava di costituire componente distinta, non per questo ai fini pensionistici l'importo relativo non diveniva enucleabile per la individuazione di quelli cui si applicava l'incremento del 18%, posto che le disposizioni previdenziali non si configuravano suscettibili di condizionamento su accordo delle parti.

Nella memoria, l'Istituto previdenziale concludeva:

per il rigetto comunque del ricorso perché infondato in fatto e in diritto o, per quanto di ragione occorrendo previa C.T.U. contabile.

Con sentenza non definitiva n. 8 del 23 febbraio 2016 di questa Sezione giurisdizionale veniva accolta, nel merito, la domanda di valorizzazione, ai fini della maggiorazione del 18% prevista dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, della ex voce retributiva "Superminimo individuale" (percepita nell'importo di euro 1.139,71) nella misura in cui effettivamente confluita nell'"Assegno personale pensionabile - ex premio di esercizio".

Relativamente all'ulteriore domanda di ricorso, vale a dire la richiesta concernente la maggiorazione ex art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 dell'intero "stipendio", comprensivo quindi della ex voce retributiva "i.i.s.", nella decisione precitata si rinviava a separata ordinanza per la sospensione del giudizio e per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale con riferimento a questioni di legittimità costituzionale, d'ufficio sollevate, dell'art. 220, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, per ipotizzata violazione degli articoli 3, 36 e 38 Cost.

 

Diritto

 

1. Il giudizio introdotto col ricorso all'esame, per la parte non ancora definita a seguito della sentenza n. 8 del 23 febbraio 2016 di questa Sezione giurisdizionale, ha fondamentalmente a oggetto l'esatta commisurazione della pensione del ricorrente - ex dirigente di T. S.p.a. collocato in quiescenza il 26 febbraio 2011 con diritto a trattamento pensionistico, erogato nell'ambito della specifica gestione previdenziale, da determinarsi col sistema retributivo ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo n. 503 del 1992 - in relazione all'applicabilità, o meno, della maggiorazione del 18% ex art. 220 (base pensionabile) del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 alla ex voce retributiva "indennità integrativa speciale" confluita nel trattamento stipendiale.

Dispone la predetta normativa, a seguito delle modifiche recate dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976: "Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza degli iscritti al Fondo pensioni, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento:

a) indennità di funzione per i dirigenti superiori e per i primi dirigenti prevista dall'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;

b) indennità pensionabile prevista dalla legge 16 febbraio 1974, n. 57;

c) assegno personale pensionabile.

Per gli effetti del precedente comma si considerano soltanto gli assegni o indennità previsti come utili ai fini della determinazione della base pensionabile, da disposizioni di legge.

Degli assegni personali di cui al comma precedente non concorre a determinare la misura della base pensionabile il «compenso combattenti». Detto compenso è liquidato in valore capitale, da determinare moltiplicando per quindici l'importo annuo del compenso stesso per le cessazioni dal servizio decorrenti dal 1° luglio 1973 e per dieci nei casi di cessazione dal servizio anteriori a tale data.".

In sostanza, con riferimento alla disposizione all'esame, siccome costantemente e univocamente interpretata dalla giurisprudenza delle Sezioni d'appello della Corte dei conti (cfr. infra, capo 3), il ricorrente non avrebbe diritto alla maggiorazione del 18% dell'intero e ultimo stipendio percepito (al 25 febbraio 2011) nell'ambito del relativo rapporto di lavoro (ai fini della determinazione della c.d. quota A di pensione, ai sensi dell'art. 13, lettera a) del decreto legislativo n. 503 del 1993), bensì unicamente dell'incremento della parte di stipendio al netto dell'importo dell'ex indennità integrativa speciale, confluita nello stipendio medesimo a far data 1° gennaio 2003 (rif.: art. 63 del C.C.N.L. per i lavoratori addetti al settore delle attività ferroviarie e servizi connessi sottoscritto il 16 aprile 2003); per l'effetto detta ex voce retributiva riverberando sulla determinazione del trattamento pensionistico, nonostante ormai soppressa per espressa volontà delle parti contraenti stabilenti la disciplina, anche economica, dello specifico rapporto di lavoro.

Recita in proposito l'articolo art. 63 (Retribuzione) del C.C.N.L. del 16 aprile 2003:

"1. Elementi della retribuzione.

1.1. Sono elementi della retribuzione:

a) minimo contrattuale, di cui al punto 4 del presente articolo;

b) aumenti periodici di anzianità;

c) assegni ad personam pensionabili di cui al punto 5 del presente articolo.

1.2. Sono elementi ulteriori della retribuzione:

a) tredicesima mensilità;

b) quattordicesima mensilità;

(...).

4. Minimi contrattuali.

In relazione a quanto previsto dall'art. 21 (classificazione professionale) del presente CCNL, i valori minimi contrattuali mensili, con le rispettive decorrenze, sono i seguenti:

4.1. A decorrere dal 1° gennaio 2003: (...);

4.2. A decorrere dal 1° settembre 2003: (...);

4.3. A decorrere dal 1° luglio 2004: (...).

4.4. Gli importi dei minimi contrattuali di cui sopra sono comprensivi dell'ex indennità di contingenza (ovvero dell'indennità integrativa speciale ex legge n. 324/1959 e successive modifiche ed integrazioni), nonché dell'E.D.R. di cui al Protocollo interconfederale del 31 luglio 1992.

(...).".

Ha quindi previsto il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti delle Aziende industriali per il periodo dal 1° gennaio 2004 al 31 dicembre 2008 (applicato ai dirigenti delle F.d.S. a seguito della privatizzazione del relativo rapporto di lavoro), al punto 6. dell'art. 3 (Trattamento minimo complessivo di garanzia):

"Il trattamento economico annuo lordo complessivamente spettante al dirigente, continuerà ad essere erogato in tredici mensilità ovvero nel maggior numero di mensilità aziendalmente previsto.

A far data dal 1° gennaio 2005, le voci che compongono la retribuzione continueranno ad avere le attuali descrizioni tranne quelle riferite a:

minimo contrattuale comprensivo del meccanismo di variazione automatica;

ex elemento di maggiorazione;

aumenti di anzianità;

superminimi e/o sovraminimi e/o assegni "ad personam";

che saranno riunite in un'unica voce denominata "trattamento economico individuale (T.E.I.).

(...).".

Ordunque, sulla base di quanto appena esposto consegue che il "minimo contrattuale" - nel quale, nell'anno 2003, è indistintamente confluito l'importo della "ex" "indennità integrativa speciale" - è a sua volta confluito, nell'anno 2005 e sempre indistintamente, nel "Trattamento economico individuale", costituente la normale retribuzione ovverosia lo "stipendio" del dirigente delle F.d.S.

Sul piano applicativo, quanto sopra rappresentato trova riscontro nell'ambito dei cedolini stipendiali del ricorrente (allegati nn. 7, 8 e 9 al ricorso giurisdizionale, nei quali non risulta alcuna evidenziazione dell'ex voce retributiva "indennità integrativa speciale"):

"Stipendio di novembre 2004" (data valuta 25 novembre 2004): retribuzione mensile pari a euro 6.051,17 così composta (minimo contrattuale base pari a euro 3.436,54 + aumenti anzianità pari a euro 516,45 + diff. 24mi maturati pari a euro 34,66 + E.D.R. pari a euro 923,81 + superminimo individuale pari a euro 1.139,71);

"Stipendio di gennaio 2011" (data valuta 27 gennaio 2011):

trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50;

"Stipendio di febbraio 2011" (data valuta 25 febbraio 2011):

trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50.

2. Va precisato che la pensione in argomento è stata determinata in base al sistema "retributivo" (quota A e quota B) sulla base di anni 9, mesi 9 (aliquota di pensione massima, pari all'80%) a far data febbraio 2011; nei casi di specie, i trattamenti pensionistici sono liquidati a mente dell'art. 1, comma 13, della legge n. 335 d 1995 riguardante coloro che, come il ricorrente, alla data del gennaio 1995 possedevano un'anzianità contributiva non inferiore ai diciotto anni (nel caso: anni 24 mesi 8).

Come è noto, ai fini del predetto calcolo va considerato l'art. 13 del decreto legislativo n. 503 del 1992 statuente quanto segue:

"1. Per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle fon sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate dall'INPS, l'importo della pensione è determinato dalla somma:

a) della quota di pensione corrispondente all'importo relativo a anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993 calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile;

b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al presente decreto.".

La quota A viene calcolata con riferimento alla retribuzione spettante all'atto del collocamento a riposo ed all'anzianità maturata al 31 dicembre 1992 e viene determinata applicando l'aliquota corrispondente all'anzianità maturata a quella data (articoli 43 e 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, relativamente all'ex personale dipendente dell'Amministrazione dello Stato; articoli 220, 221 e 222 per l'ex personale della Azienda autonoma» delle F.d.S.) alla retribuzione goduta dal dipendente alla cessazione (maggiorata del 18% ai sensi dell'art. 15 della legge n. 177 del 1976, per l'ex personale dipendente,dall'Amministrazione dello Stato, ovvero ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del 1976 per l'ex personale della "Azienda autonoma" delle F.d.S.).

La quota B è determinata sulla base della media retributiva dei restanti anni di servizio, alla quale viene applicata la differenza tra l'aliquota corrispondente all'anzianità totale e quella utilizzata per il calcolo della quota A.

La c.d. quota A di pensione, nel caso all'esame, è disciplinata dall'articolo 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976 (cfr. il testo riportato supra).

In proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte dei conti ha sempre distinto, in punto di applicazione della maggiorazione di che trattasi, tra "trattamento stipendiale", come tale assoggettabile all'incremento del 18%, e le "ulteriori voci retributive" non computabili a fini di maggiorazione se non nei casi espressamente preveduti dalla legge (ancorché concernenti voci pensionabili, pertanto valutabili ai fini pensionistici nella c.d. quota A di pensione).

Sulla base del carattere di specialità degli ordinamenti pensionistici, è stata quindi costantemente sostenuta l'infondatezza della tesi individuante nella fonte contrattuale disciplinante il rapporto di pubblico impiego - e non nella normativa pensionistica - il parametro sulla cui base classificare ai fini previdenziali un dato emolumento retributivo (recte: elemento retributivo non stipendiale).

A detto criterio chiarisce questo Giudice di doversi attenere, ciò nonostante pervenendo alla formulazione dei dubbi di legittimità costituzionale di successiva motivazione.

3. Afferma sostanzialmente l'univoca giurisprudenza di appello della Corte dei conti - con riferimento sia all'art. 43 sia all'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 - quanto segue:

"(...) Nella fattispecie in giudizio, relativa alla determinazione della prima delle due suddette quote, va rappresentato che la "quota A" di pensione va determinata in applicazione della normativa previgente al 1° gennaio 1993 e dunque dagli articoli 43 e 220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973, nel testo sostituito dall'art. 15 della legge n. 177/1976. In particolare, per le pensioni dei ferrovieri - quale quella all'esame - l'art. 220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 recita espressamente: (...) Il surriportato articolo indica, con enumerazione tassativa, gli elementi costituenti la base pensionabile, disponendo altresì che nessun altro assegno o indennità può essere considerato a tali fini, in difetto di una disposizione di legge che ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile.

Tanto premesso, anzitutto, esula del tutto da tale elenco tassativo l'indennità integrativa speciale che, dunque, non può essere maggiorata del 18%, come pretenderebbe l'appellato; né rileva l'avvenuta commistione dell'indennità integrativa speciale nel minimo contrattuale, per effetto dell'art. 63 CCNL del 2003. In primo luogo va detto che l'eventuale valorizzazione a fini pensionistici di una indennità postula una espressa previsione di legge, giusta l'ultima parte del 2° comma dell'art. 220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973; ne consegue che la clausola del contratto collettivo nazionale di lavoro non può determinare l'inserimento dell'IIS nella base pensionabile, essendo dirimente la sussistenza di una vera e propria riserva di legge, sancita dal ripetuto art. 220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973; occorre peraltro considerare che la disposizione contrattuale che ha determinato il conglobamento nella retribuzione non può avere mutato la natura giuridica della predetta indennità e la sua valutabilità a fini previdenziali. In altri termini, le disposizioni stabilite dalla normativa previdenziale, ispirate dalla necessità di salvaguardare l'equilibrio del sistema pensionistico non possono essere derogate o eluse, a seguito di riclassificazioni, ovvero di mutamenti di denominazione di determinate voci od emolumenti, operate dalla contrattazione collettiva. Va aggiunto altresì, che la normativa di settore distingue lo stipendio dalla base pensionabile; sono infatti aumentati del 18% solo lo stipendio con altri assegni pensionabili, ma non l'IIS - anche se pensionabile (cfr., ad esempio, giurisprudenza conforme, Corte dei conti, Sez. I, n. 305/2013).

L'IIS, pur rientrando nella più ampia nozione di retribuzione e pur essendo ricompresa nella base pensionabile non è suscettibile della valorizzazione di che trattasi, che resta limitata alle sole voci espressamente indicate dalla legge con elencazione tassativa; né, lo si ripete, all'IIS può essere riconosciuta natura stipendiale: al contrario, l'art. 15, comma 1, della legge n. 724/1994 esclude espressamente detta voce dall'elenco di quelle assoggettate alla maggiorazione, ai fini della ritenuta in conto entrate del Ministero del tesoro.

E' appena il caso di sottolineare che a norma dell'art. 1372, 2° comma, c.c., il contratto produce effetti solo tra le parti contraenti e non può vincolare l'Istituto pagatore delle pensioni, odierno appellante, terzo rispetto al contratto collettivo di lavoro, con cui le parti hanno inteso negozialmente di inserire voci stipendiali o indennità nella base pensionabile da aumentare figurativamente.

Conclusivamente, questo Collegio dispone che la c.d. "quota A" della pensione del sig. (...), odierno appellato, debba essere calcolata secondo i criteri di cui agli articoli 43 e 220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973, con la conseguenza che essa non è suscettibile dell'incremento del 18% ancorché inglobata nello stipendio in virtù della previsione di cui all'art. 63 CCNL 2003/2004. (...)".

In detti termini - sintomaticamente accomunanti l'art. 43 e l'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (poiché di ratio identica) - si è espressa la sentenza n. 605 dell'11 dicembre 2015 della Sezione prima d'appello della Corte dei conti; in termini del tutto analoghi si sono sempre pronunciate le decisioni delle Sezioni d'appello della Corte dei conti concernenti le precitate disposizioni (cfr., Sezione 1 d'appello n. 1274 del 2 dicembre 2014; n. 82 del 28 gennaio 2015; n. 1273 del 2 dicembre 2014; n. 1077 del 15 settembre 2014; n. 1075 del 12 settembre 2014; n. 323 del 14 maggio 2015; Sezione III d'appello nn. 485, 486 e 488 dell'11 settembre 2014; n. 81 del 28 gennaio 2011; n. 37 del 16 gennaio 2013 e n. 80 del 31 gennaio 2013).

Con riferimento a detta giurisprudenza di secondo grado, è appena il caso di richiamare che:

le Sezioni di appello pronunciano nella materia pensionistica unicamente su questioni di "diritto", oltretutto con limitazioni ulteriori rispetto allo stesso giudizio di terzo grado della Cassazione; al riguardo le Sezioni riunite della Corte, interpellate in punto di questione di massima, hanno sostenuto che al di là del nomen iuris usato, con la limitazione dell'impugnazione della sentenza di primo grado ai soli motivi di diritto il legislatore non ha "inteso dare ingresso, nella materia pensionistica, ad un vero e proprio giudizio d'appello, ma ad un giudizio dai contenuti più limitati", assimilabile piuttosto a quello davanti alla Corte di Cassazione (SS.RR. n. 10/QM/1998); ulteriormente le Sezioni riunite hanno precisato il non poter trovare ingresso, nell'appello pensionistico, il vizio denunciabile innanzi alla Suprema Corte ex art. 360, n. 5, del codice di procedura civile, implicante l'accertamento e la valutazione dei "fatti" rilevanti ai fini della decisione della controversia, dovendo il Giudice d'appello limitarsi alla verifica "della sufficienza della motivazione medesima con le risultanze probatorie" (SS.RR. n. 10/QM/2000);

la costante giurisprudenza delle Sezioni di appello, sopra richiamata, inibisce al Giudice di primo grado di portare qualsivoglia questione interpretativa dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 alle Sezioni riunite della Corte dei conti (ai sensi dell'art. 1, comma 7, decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come successivamente modificato) atteso che, a fini di ammissibilità dello specifico giudizio, è richiesta la sussistenza di un "contrasto" di giudicati d'appello (c.d. contrasto orizzontale;

cfr., tra le altre, le sentenze n. 5/QM/2004 del 31 marzo 2004, n. 6/QM/2004 del 27 aprile 2004 e 5/QM/2005 del 3 ottobre 2005 delle medesime Sezioni riunite della Corte dei conti).

A tutto ciò conseguendo, ad avviso di questo Giudice rimettente, il carattere di "norma vivente" dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 - nei termini siccome interpretati dalla precitata giurisprudenza di appello della Corte dei conti - che anche ove diversamente applicato in questo giudizio di primo grado, del tutto realisticamente incorrerebbe nella differente interpretazione, ormai consolidata, presso il Giudice d'appello.

4. Tanto premesso, questo Giudice dubita della legittimità costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 nella parte cui esclude dall'importo dello stipendio, per il quale è prevista la maggiorazione del 18% ai fini pensionistici, la quota parte d'ammontare pari alla ex voce retributiva "indennità integrativa speciale"; segnatamente configurandosi al riguardo non manifestamente infondate le seguenti prospettazioni della lesione dei parametri 36, 38 Cost.

Deve in proposito fondamentalmente osservarsi che:

a. sulla base del carattere di specialità degli ordinamenti pensionistici, va sostenuta l'infondatezza della tesi individuante nella fonte contrattuale disciplinante il rapporto di impiego - e non nella normativa pensionistica - il parametro sulla cui base classificare ai fini previdenziali un dato emolumento retributivo;

b. sotto il profilo pensionistico, l'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (norma omologa all'art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973) trova applicazione con riferimento allo stipendio tabellare previsto dai Contratti collettivi, considerato che non può sussistere possibilità alcuna di sovrapposizione delle due discipline (lavoristica e pensionistica), rimanendo del tutto distinte le relative sfere d'incidenza e trovando, le medesime, loro unica correlazione e contatto con la determinazione della retribuzione (rectius: stipendio, per quanto qui in rilievo) spettante al dipendente al momento della cessazione del servizio;

c. a conferma di quanto esposto alla lettera che precede, va altresì qui richiamato che:

indubitabile risulta, nella materia lavoristica, la legittimazione di valenza primaria - devoluta alle specifiche parti contraenti - a stabilire la struttura delle retribuzioni nell'ambito del rapporto di lavoro;

l'assetto normativo previdenziale non può prescindere dalla definizione di retribuzione convenzionalmente determinata dalle specifiche parti contraenti, anche sotto il profilo della determinazione del c.d. "imponibile previdenziale" (cfr., tra le altre, Cassazione Sezione lavoro 7 dicembre 2004, n. 22921; detto aspetto, qui si osserva, risulta del tutto disatteso dalle sentenze d'appello dal negativo orientamento);

d. giusta domanda formulata col ricorso, deve prendersi atto che non si vede in tema di maggiorazione dell'I.I.S. (come ritenuto nella giurisprudenza delle Sezioni d'appello), ma di esatta determinazione dello "stipendio" da assoggettare alle modalità di computo previste dall'art. 220, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;

e. nel caso all'esame, pertanto, solo dalla trasformazione dell'intera I.I.S. in "stipendio", eventualmente stabilita nell'ambito contrattuale, può discendere - per lo specifico personale interessato dall'accordo - l'irrilevanza della normativa pensionistica espressamente disciplinante l'I.I.S. quale emolumento retributivo autonomo a sé stante.

Ciò premesso rileva eminentemente, per lo specifico personale in questa sede all'esame, che le parti contraenti, inequivocabilmente, hanno inteso sopprimere l'i.i.s. a decorrere dal 1° gennaio 2003 - con l'art. 63 del C.C.N.L. delle Attività ferroviarie del 16 aprile 2003, stabilente che gli "importi minimi contrattuali" sono comprensivi della i.i.s. nonché dell'E.D.R. di cui al Procotollo interconfederale del 31 luglio 1992 - come del resto comprovato dall'espressa nota a verbale riportata in calce al medesimo articolo, secondo cui: "Le parti confermano che le voci retribuitive di cui al punto 1.1. (n.d.r.: tra cui i minimi contrattuali comprensivi altresì dell'ex i.i.s.) ed al punto 6 del presente articolo sono elementi dello "stipendio" ai sensi di quanto previsto dall'art. 220 del T.U. 1092/73 come sostituito dall'art. 22 della legge 177/76 e successive modificazioni ed integrazioni.

Nel merito, questo Giudice ha già avuto modo di precisare che:

"I. Non può attribuirsi "valenza pensionistica" alla stessa "riserva" attuata nelle diverse sedi negoziali (secondo cui il conglobamento nello stipendio tabellare dell'indennità integrativa speciale non modifica le modalità di determinazione della base di calcolo in atto del trattamento pensionistico), anche per quanto dall'INPDAP sostenuto in questo giudizio (vale a dire la specificità e la priorità dell'ordinamento legislativo, nella determinazione dei trattamenti pensionistici), dovendosi conseguentemente escludere la possibilità per le parti contraenti d'innovare la materia pensionistica, ditalché anche la precitata "riserva" va necessariamente interpretata entro i limiti della materia lavoristica." (rif.: Corte dei conti, Sezione Marche, sentenza n. 249 del 2009).

Con i limiti pertanto chiariti, la nota a verbale in argomento - relativa all'art. 63 del CCNL delle attività ferroviarie - se, da un lato, non può disciplinare vicenda pensionistica alcuna, dall'altro, assume comunque valore nell'ambito della sfera del rapporto lavoristico, risultando in detto ambito inequivocabilmente confermata e/o esplicata la volontà delle parti di sopprimere l'i.i.s. poiché confluita, questa, nei cc.dd. minimi contrattuali che, per il personale destinatario dello specifico contratto, altro non rappresentano che elementi dello "stipendio" di cui agli articoli 43 e 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973.

Conseguentemente:

f. ai fini delle determinazioni pensionistiche, nessun rilievo giuridico assume - per la specifica tipologia di personale - il dato della provenienza delle somme poi comprese nello stipendio tabellare (per quanto all'esame: i minimi contrattuali ex art. 63, comma 4, del CCNL in argomento), non potendosi ammettere la sostanziale disapplicazione di normative lavoristiche del tutto vincolanti sul piano degli effetti; sul punto si consideri peraltro che, secondo il Giudice d'appello, a strettissimo rigore, le parti contrattuali neppure potrebbero riconoscere ai lavoratori una maggiore retribuzione in quanto ciò, inevitabilmente, comporterebbe alla cessazione del servizio una maggiore spesa pensionistica;

g. per contro il ritenere, nei termini rivendicati dal ricorrente, maggiorabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del 1976 l'intero ultimo stipendio percepito dal lavoratore, comporterebbe un computo della pensione (rectius: della quota A della pensione) correttamente ricollegato alla dinamica stipendiale, attesa l'intervenuta soppressione dell'I.I.S. (conseguenza della rilevanza delle pattuizioni negoziali). Trovando quindi l'applicazione della normativa pensionistica imprescindibile riferimento nel trattamento economico del rapporto di lavoro siccome risultante dalla disciplina relativa (legislativa prima, contrattuale oggi).

Su detto specifico profilo, la pregressa giurisprudenza del Giudice delle leggi ha precisato che ciò che ha contraddistinto il ricorso all'art. 36 Cost. - a mente del quale "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa" - è l'applicabilità dei contratti collettivi stipulati per le varie categorie i quali, pur non avendo la natura di fonti normative efficaci erga omnes, acquistano una sorta di "ultrattività" in forza dell'art. 36, primo comma, Cost., per cui spetta al Giudice far corrispondere la retribuzione "a due fondamentali e diverse esigenze", la prima delle quali "si ricollega al rapporto di scambio tra prestatori d'opera e datori di lavoro, considerando la prestazione di lavoro nella sua consistenza quantitativa e qualitativa" (rif.: sentenze n. 129 del 13 luglio 1963 e n. 156 del 6 luglio del 1971).

Sotto tale aspetto, pertanto, costituzionalmente rilevante si appalesa anche il riconoscimento - da parte del datore di lavoro - d'una determinata retribuzione "minima" direttamente e ordinariamente correlata alla normale prestazione lavorativa del lavoratore dipendente.

Quanto al principio in base al quale "I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi necessari adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria", deve quindi constatarsi che versandosi in tema di pensione ordinaria - vale a dire di "retribuzione differita" nei termini definitivamente riconosciuti dalla Corte costituzionale (rif., tra le altre, le sentenze n. 116 del 5 giugno 2013 e n. 70 del 30 aprile 2015), applicandosi pertanto anche al trattamento pensionistico i criteri di proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato - il peculiare "stralcio" di un importo stipendiale dalla sua "naturale" valorizzazione ai fini pensionistici (nell'ambito della determinazione della base pensionabile, ex art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973), in funzione di una supposta classificabilità dell'importo medesimo quale "indennità" (peraltro non più esistente nella retribuzione), fondamentalmente determinerebbe un'irrazionale compressione della pensione (sulla base del meno favorevole computo del trattamento pensionistico), in ragione di uno scostamento non giustificato tra lo stipendio e la pensione stessa, pertanto pregiudizievole della posizione del lavoratore all'atto del suo collocamento a riposo; ciò, segnatamente considerando che l'incremento del 18% all'esame trova giustificazione nella valorizzazione forfetaria, così attuata, degli emolumenti accessori non direttamente valutabili ai fini di pensione sulla base del pregresso ordinamento pensionistico.

Con riferimento a tutto quanto sopra esposto, peraltro, non rilevando le esigenze di contenimento della spesa pensionistica poiché già salvaguardate nei casi di che trattasi dalle previsioni normative del decreto legislativo n. 503 del 1992. Per tutto quanto sopra esposto e motivato, dubita questo Giudice unico delle pensioni della legittimità costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, nella parte in cui escludente dal beneficio della maggiorazione del 18% la quota parte di stipendio d'importo pari alla ex voce retributiva "indennità integrativa speciale", per il prospettato contrasto della disposizione stessa con i principi sanciti dagli articoli 36 e 38 Cost.

5. Ritiene quindi questo Giudicante di doversi astenere dalla sollevazione dell'ulteriore questione di legittimità costituzionale indicata nella sentenza non definitiva n. 8 del 2016 di questa Sezione giurisdizionale - vale a dire quella concernente l'ipotesi di contrasto, con l'art. 3 Cost., dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, nella parte in cui sempre escludente dallo stipendio assoggettato alla maggiorazione del 18% ai fini pensionistici, l'importo della ex voce retributiva "indennità integrativa speciale" - considerato che, a seguito di più approfondita disamina della materia, il tertium comparationis al riguardo individuato (la normativa relativa al personale ex dirigente Ministeriale di seconda fascia, per il quale l'adeguamento dello stipendio "tabellare" avveniva con provenienza delle somme da risorse diverse dall'indennità integrativa speciale; rif.: C.C.N.L. Dirigenza del comparto dei Ministeri - c.d. Area I - quadriennio 1998-2001 e primo biennio economico 1998-1999) si appalesa costituire una disciplina derogatoria rispetto a una regola generale (quella concernente l'assorbimento dell'indennità integrativa speciale nell'ambito dello stipendio tabellare dei Dirigenti "pubblici").

6. In definitiva, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, depongono i profili normativi, soggettivi, oggettivi e temporali sopra indicati segnatamente riferiti:

all'applicabilità al concreto trattamento pensionistico, a far data 26 febbraio 2011, nel senso prospettato, dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976;

 al possesso, da parte del ricorrente, alla data della relativa cessazione del servizio, dei requisiti previsti per l'ottenimento della pensione di che trattasi.

Con riferimento alla normativa precitata giustificandosi, in punto di rilevanza:

la necessaria applicazione della disciplina legislativa preindicata al trattamento pensionistico del ricorrente;

la costante giurisprudenza delle Sezioni d'appello, sopra indicata, concernente interpretazione data sia all'art. 220 sia all'omologo art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, escludente ogni possibilità di sottoposizione di qualsivoglia questione interpretativa delle stesse al competente organo di nomofilachia di questa Corte dei conti (le Sezioni riunite).

In ordine alla non manifesta infondatezza delle qq.ll.cc. che in questa sede si sollevano, deporrebbero le argomentazioni svolte al capo 4. che precede.

 

P.Q.M.

 

Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale n. 1 del 1984 e 23 della legge n. 87 del 1953;

Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate - per contrasto con gli articoli 36 e 38 Cost. - le sopra prospettate questioni di legittimità costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976;

Ordina:

la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con la prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 (ai sensi degli articoli 1 e 2 del regolamento della Corte costituzionale 7 ottobre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 novembre 2008, n. 261);

che, a cura della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;

la conseguente sospensione del giudizio.

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. del 15 giugno 2016, n. 24