Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8820

Licenziamento - Art. 18, L. n. 300/1970 - Reiterata richiesta di rimborsi spese di ristorazione - Dichiarazioni non veritiere - Prova

Fatti di causa

 

La Corte d'Appello di Bari, con sentenza resa pubblica il 17/9/2014 confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede con cui era stata accolta la domanda proposta da L.P.G. nei confronti della P.I. s.r.l. intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 28/6/2005 con gli effetti reintegratori e risarcitoli sanciti dall'art. 18 l. 300/70.

A fondamento del decisum la Corte territoriale argomentava, in estrema sintesi, che il quadro probatorio delineato in prime cure non consentiva di ritenere comprovati gli addebiti posti a fondamento del provvedimento espulsivo irrogato, e consistiti nella reiterata richiesta di rimborsi spese di ristorazione, contrastanti con contestuali domande di rimborso presentate da altri dipendenti che il ricorrente aveva indicato come partecipanti ai pranzi ai quali si riferivano le istanze di pagamento.

La cassazione di tal pronuncia è domandata dalla società sulla base di due motivi illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso la parte intimata.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 5 l. 604/1966 e dell'art. 2967 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si deduce che secondo i generali principi in materia di ripartizione dell'onere probatorio, e diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, sarebbe spettato al ricorrente dimostrare la effettiva partecipazione ai pasti dei colleghi per i quali aveva avanzato la richiesta di rimborso spese. Si argomenta altresì che i dati documentali e testimoniali acquisiti in giudizio, consentivano di ritenere dimostrato che tali dipendenti avevano negato di avere consumato con il ricorrente i pranzi e le cene aziendali di cui si discute, presentando a propria volta analoghe richieste di rimborso.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 7 l. 300/1970 e dell'art. 2119 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si deduce che l'oggetto delle contestazioni concerneva non tanto la presentazione di ricevute ritenute false, come argomentato dalla Corte di merito, quanto nella reiterata presentazione di richieste di rimborso contenenti dichiarazioni non veritiere, allo scopo di ricevere rimborsi spese non dovuti.

La gravità del comportamento doveva ritenersi idonea a vulnerare il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, in tal senso palesandosi l'erroneità degli approdi ai quali era pervenuta la Corte distrettuale laddove aveva accertato la violazione del criterio di proporzionalità fra sanzione espulsiva e mancanze ascritte, in violazione dei dettami di cui all'art. 2119 c.c.

3. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di pregio.

Occorre premettere che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte (vedi Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698), da ribadirsi in questa sede, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione.

4. Nello specifico, non può tralasciarsi di considerare che i motivi tendono a conseguire una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, che si palesa inammissibile in questa sede di legittimità anche alla luce dell'art.360 comma primo n.5 c.p.c. nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n. 134.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art.12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053), la disposizione va letta in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne, quindi, l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un'inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un'interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità. Lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa soluzione della controversia ovvero una manifesta illogicità nell'attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità . razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, sia pure anche per il tramite del vizio di violazione di legge. Tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi rilevanti ai sensi del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.

5. Va al riguardo rimarcato che lo specifico iter motivazionale seguito dai giudici dell'impugnazione non risponde ai requisiti dell'assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di legittimità.

La fattispecie concreta è stata, infatti, oggetto di approfondita disamina da parte della Corte territoriale che - come riferito nello storico di lite - facendo leva sul presupposto che oggetto della contestazione non era stato l'incasso di rimborsi a fronte di spese non sostenute, bensì la richiesta di rimborso spese per pranzi relativi a soggetti che avevano a propria volta richiesto i medesimi rimborsi, ha proceduto alla disamina della articolata attività istruttoria espletata in prime cure, argomentando in ordine alla carenza probatoria sulla circostanza, posta a fondamento dell'atto di incolpazione, che la falsità della istanza di rimborso riguardasse il L.P. piuttosto che gli altri dipendenti i quali avevano presentato analoghe istanze di rimborso.

Si tratta di apprezzamento, congruo e completo per quanto sinora detto, che non resta scalfito dalle doglianze formulate con le quali, mediante la denuncia di vizi attinenti alla violazione di legge, si censura il profilo motivazionale della decisione con approccio non consentito in questa sede di legittimità.

6. I descritti approdi ai quali è pervenuta la Corte distrettuale, oltre che rispondenti ai requisiti del minimo costituzionale prescritti in relazione al profilo motivazionale della decisione, appaiono conformi a diritto laddove è stata rimarcata la carenza di prova della falsità della partecipazione di terzi al pranzo rimborsato al ricorrente, e, di conseguenza, è stata confermata la declaratoria di illegittimità del licenziamento per mancanza di prova degli addebiti formulati; tanto in coerenza con i principi affermati in tema da questa Corte, secondo cui l'onere della prova della giusta causa del licenziamento spetta inderogabilmente al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 (vedi ex plurimis, Cass. 16/8/2016 n. 17108) e deve riguardare la sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare di quello fiduciario, con riferimento agli aspetti concreti di esso, afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nella organizzazione dell'impresa, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità del fatto volitivo (vedi ex aliis, Cass. 14/7/2001 n. 9590).

6. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è rigettato.

li governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata, con distrazione in favore degli avv.ti A.F., E.V., C.L.

Occorre, infine, dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge da distrarsi in favore degli avv.ti F. V. e L.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.