Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10705

Dichiarazioni dei redditi - Tributi - Crediti d’imposta - Istanza di rimborso - Interessi attivi maturati sui crediti di imposta

 

Rilevato che

 

1. La F.P. s.p.a. presentava istanza di rimborso il 30-10-1987 dell'Irpef e dell'Ilor versate in relazione agli interessi attivi su crediti di imposta, inclusi dalla società nel reddito imponibile nelle dichiarazioni dei redditi per i periodi di imposta 1985 e 1986. La società aveva inserito gli interessi attivi nel reddito in via prudenziale, benché tali interessi non fossero soggetti a tassazione ai sensi del d.p.r. 597/1973, in relazione alla loro natura meramente compensativa e non reddituale.

2. La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso, avverso il silenzio - rifiuto, per l'anno 1986, mentre, in relazione all'anno 1985 accoglieva il ricorso quanto all'Irpeg e lo dichiarava inammissibile per l'Ilor stante la tardiva richiesta di rimborso.

3. Proponeva appello l'Agenzia delle entrate sostenendo la tassabilità degli interessi attivi in base alle nuove disposizioni del d.p.r. 917/1986, applicabili retroattivamente ai periodi di imposta ex art. 36 d.p.r. 42/1988.

4. La Commissione tributaria di secondo grado accoglieva gli appelli proposti dall'Ufficio, ritenendo applicabile il nuovo Tuir (d.p.r. 917/1986) e, di conseguenza, assoggettabili ad imposta gli interessi attivi ai sensi dell'art. 56 d.p.r. 917/1986.

5. La Commissione tributaria centrale rigettava il gravame della società, in quanto l'art. 36 d.p.r. 42/1988 prevedeva la retroattività delle disposizioni del nuovo tuir, con la conseguente tassabilità degli interessi attivi, nel caso in cui le dichiarazioni dei redditi relativi al periodo precedente all'entrata in vigore del d.p.r. 917/1986 (primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987), fossero risultate "conformi" alle nuove norme. Né poteva sostenersi che la presentazione della istanza di rimborso avesse provocato tale "non conformità" del comportamento della società rispetto alle disposizioni del nuovo Tuir. Tale istanza, in quanto dichiarazione di volontà, non poteva far venire meno la conformità del comportamento della contribuente alle nuove norme.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, presentando successivamente memoria scritta.

7. L'Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 36 d.p.r. 42/1988, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.", in quanto non si è verificato il presupposto per l'applicazione dell'art. 36 d.p.r. 42/1988, ossia la presentazione di dichiarazioni conformi alle disposizioni del nuovo tuir, con la conseguenza che la tassabilità degli interessi attivi sui crediti di imposta doveva essere decisa sulla base delle disposizioni del precedente tuir (d.p.r. 597/1973), applicabile in relazione ai periodi di imposta chiusi entro il 31-12-1987. Infatti, la società ha presentato istanza di rimborso il 30-10-1987, quindi prima dell'entrata in vigore dell'art. 36 del d.p.r. 42/1988 (1° marzo 1988). Con la richiesta di rimborso, e con la modifica delle dichiarazioni dei redditi già presentate, le stesse non risultavano più conformi alle disposizioni del nuovo Tuir. La dichiarazione è, quindi, emendabile mediante presentazione di una istanza di rimborso, e tale istanza rende non più conformi le precedenti dichiarazioni dei redditi alle nuove disposizioni del "nuovo Tuir" (d.p.r. 917/1986).

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione dell'art. 44 e dell'art. 41 d.p.r. 597/1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c." in quanto le disposizioni richiamate escludono il concorso degli interessi su crediti di imposta dalla formazione del reddito di impresa, non avendo tali interessi natura remunerativa, ma solo compensativa del versamento da parte del contribuente di una somma in realtà non dovuta. Non rientrano, quindi, né tra i redditi di capitale né tra quelli di impresa.

2.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

2.2. Invero, la questione dirimente attiene alla possibilità o meno di applicazione retroattiva dell'art. 56 d.p.r. 917/1986 (in vigore per i periodi di imposta successivi al 31-12-1987) agli interessi per crediti di imposta relativi agli anni 1985 e 1986, disciplinati dagli artt. 41 e 44 d.p.r. 597/1973.

Sul punto è intervenuto l'art. 36 d.p.r. 42/1988, in vigore dal 1 marzo 1988, per il quale "le disposizioni del testo unico non considerate nei precedenti articoli di questo capo hanno effetto anche per i periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987, se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi. Restano fermi gli accertamenti e le liquidazioni di imposta divenuti definitivi".

Per questa Corte, ai fini dell'applicabilità retroattiva delle disposizioni del nuovo Tuir (d.p.r. 1986/917), ai periodi di imposta antecedenti al 31-12-1987, deve considerarsi se l'istanza di rimborso, che rende "non conformi" le precedenti dichiarazioni dei redditi alle nuove disposizioni del Tuir (d.p.r. 917/1986), sia stata presentata prima o dopo il 1 marzo 1988. Se l'istanza di rimborso è stata presentata dopo il 1 marzo 1988 si applicheranno le norme del nuovo Tuir, e nella specie l'art. 56, in quanto la dichiarazione dei redditi è "conforme" alla nuova norma; se, invece, l'istanza di rimborso, come nella specie, è presentata prima del 1 marzo 1988, trovano applicazione le norme del vecchio Tuir, in quanto la dichiarazione dei redditi "non è conforme", essendo stata nelle more rettificata, alle disposizioni del nuovo Tuir.

Inoltre, l'art. 56 comma 3 d.p.r. 917/1986, all'epoca vigente, prevede la tassabilità degli interessi attivi maturati sui crediti di imposta ("gli interessi, anche se diversi da quelli indicati alle lettere A) e B) del comma 1 dell'articolo 41, concorrono a formare il reddito per l'ammontare maturato nell'esercizio").

Al contrario, ai sensi dell'art. 41 d.p.r. 597/1973 solo talune categorie di interessi espressamente menzionate costituivano reddito di capitale (art. 41) o reddito di impresa (art. 44).

Per l'art. 41 d.p.r. 597/1973 "costituiscono reddito di capitale:... B) gli interessi e altri redditi derivanti da depositi e conti correnti...D) interessi, premi e altri redditi derivanti da obbligazioni e titoli similari ed altri titoli diversi dalle azioni; E) interessi moratori, anche se compresi in somme spettanti a titolo di risarcimento di danni o di penale per inadempienza contrattuale...; I) gli altri interessi non aventi natura compensativa e ogni altra rendita o provvedimento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale".

Ai sensi dell'articolo 44 ("interessi e proventi computati nei redditi d'impresa"), poi, " non costituiscono reddito di capitale, in quanto componenti del reddito d'impresa, gli interessi e gli altri proventi di cui all'articolo 41, non soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello Stato o mediante stabili organizzazioni nel territorio stesso, compresi quelli conseguiti da società in nome collettivo e in accomandita semplice").

Gli interessi sui crediti di imposta sono, però, interessi di natura compensativa, sicché non sono assoggettabili a tassazione ai sensi del d.p.r. 597/1973, in quanto non sono qualificabili né come reddito di capitale, né come reddito di impresa (Cass., 12 febbraio 2010, n. 3399; Cass., 9852/2016; Cass., 18864/2004; Cass., 3574/1995).

Infatti, costituisce principio consolidato di questa Corte, cui si intende prestare adesione, quello per cui, in tema di emendabilità della dichiarazione dei redditi e con riguardo all'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, il quale ha reso retroattivamente applicabili le disposizioni del TUIR del 1986 - qualora le dichiarazioni validamente presentate risultino ad esse conformi -, anche ove abbiano introdotto un regime di assoggettamento a tassazione non previsto dal previgente d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, al fine di stabilire se al contribuente, il quale abbia già tradotto nei fatti, in sede di dichiarazione, i contenuti della nuova normativa (erroneamente anticipandoli), sia, o meno, consentito procedere alla rettifica della dichiarazione medesima, occorre accertare il momento in cui la rettifica - sotto forma di istanza di rimborso - è stata operata. In particolare, è necessario verificare se l'istanza di rimborso delle somme, indebitamente pagate secondo la vecchia normativa, è stata formulata prima o dopo l'entrata in vigore del citato d.P.R. n. 42 del 1988, in quanto solo nel primo caso la rettifica deve ritenersi efficace (con conseguente accoglimento della domanda di rimborso), avendo tempestivamente reso la originaria dichiarazione non conforme alle nuove disposizioni, laddove, nel secondo caso, la rettifica stessa non ha impedito che la conformità della dichiarazione alle norme sopravvenute (con conseguente automatica applicabilità di queste ultime) si consolidasse definitivamente (Cass., 30 maggio 2003, n. 8725; Cass., 5 luglio 2013, n. 16904 e Cass., 30 marzo 2004, n. 6311, entrambe in materia di regime fiscale applicabile agli interessi attivi sui crediti di imposta, non tassabili secondo il previgente regime d.p.r. 597/1973, ed assoggettabili a tassazione ai sensi dell'art. 56 d.p.r. 917/1986; Cass., sez. V, 8951/2018; Cass., 7287/2019; Cass., 29879/2017; Cass., 8945/2018; Cass.,12405/2004; anche Corte Cost., n. 38 del 1994).

Del resto, l'emenda della dichiarazione era consentita, trattandosi di mera dichiarazione di scienza e non di manifestazione di volontà, secondo gli insegnamenti delle sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez.Un., 2016/13378).

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., può essere decisa nel merito con l'accoglimento della domanda di rimborso originaria della contribuente.

4. Le spese dei giudizi dei gradi di merito vanno compensate interamente tra le parti per la peculiarità della controversia. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei giudizi dei gradi di merito.

Condanna l'Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della contribuente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi € 7.300,00, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15 %, oltre accessori di legge.