Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 maggio 2017, n. 20878

Tributi - IVA - Beni importati - Dichiarazione fraudolenta

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 20/09/2016, il Tribunale del riesame di Napoli rigettava il ricorso, ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., proposto da C.E. e, per l'effetto, confermava il provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Benevento in data 26/08/2016, con il quale era stata disposta, nei confronti del predetto, la misura cautelare degli arresti domiciliari. A, C.E., come da imputazione cautelare, sono contestati il reato di cui all'art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, relative agli anni di imposta 2013 e 2014 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) e di cui all'art. 476 cod. pen, in ordine ai quali il Collegio ravvisava i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari del pericolo di recidiva.

2. Propone ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del proprio difensore, e chiede l'annullamento dell'ordinanza deducendo i seguenti motivi:

2.1 Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria nei confronti del C. per il reato di dichiarazioni fraudolenta mediante artifici e falso materiale. Il Tribunale sarebbe pervenuto con motivazione illogica, anche con travisamento del fatto, alla configurazione della gravità indiziaria dei reati contestati. In particolare il Tribunale del riesame, anche in contrasto con quanto ritenuto nell'ordinanza cautelare, avrebbe immotivatamente ritenuto che il C. avesse prodotto documentazione falsa (libretto di circolazione dell'autovettura importata da operatori comunitari e fatture di vendite attestanti l'assolvimento del pagamento dell'Iva nel paese comunitario, con relativa traduzione in italiano con attestazione di conformità) all'Agenzia delle entrate per ottenere il c.d. sblocco del telaio ai fini dell'immatricolazione dell'auto in Italia, e ciò in mancanza di una verifica di autenticità della documentazione proveniente dall'operatore estero e senza l'acquisizione della documentazione stessa con rogatoria.

Secondo il ricorrente l'ordinanza impugnata non avrebbe argomentato sulla base di quali elementi aveva ritenuto la falsità della documentazione prodotta dal C. all'Agenzia delle Entrate, e ciò anche svalutando la circostanza che il predetto aveva allegato di aver subito una truffa in Germania, circostanza che avvalorava l'autenticità della documentazione prodotta dal medesimo. In conclusione l'ordinanza impugnata avrebbe, con motivazione illogica e contraddittoria, argomentato che la documentazione vera era quella proveniente dagli operatori stranieri e falsa quella prodotta dal ricorrente all'Agenzia delle entrate. In assenza di prova della falsità della documentazione prodotta discenderebbe anche l'assenza della gravità indiziaria del reato di dichiarazione fraudolenta mediante artifici al fine di evadere l'Iva.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza dell'esigenza cautelare del concreto e attuale pericolo di recidiva. Il Tribunale sarebbe pervenuto con motivazione apodittica, senza apparato logico argomentativo, e dunque con motivazione carente sull'affermazione dell'attualità del pericolo di recidiva fondata su un'opinione dell'Agenzia delle entrate che segnalava l'utilizzo da parte del C. di una sede secondaria in Roma per lo svolgimento dell'attività illecita. Alcuna motivazione avrebbe, poi, speso il Tribunale a fronte della contestazione di insussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. a) cod.proc.pen., ritenuta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Benevento, integrando, tale omissione argomentativa, il vizio di motivazione denunciato.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso è infondato.

4. Va preliminarmente ricordato che costituisce principio consolidato e più volte affermato dalla Corte di cassazione, quello per cui, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal Giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 dell'8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997). Quando, poi, sia denunciato un vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il Giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza dell'argomento riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (per tutte, Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Tiana, Rv. 255460).

5. Ciò premesso, ritiene il Collegio che il Tribunale del riesame abbia fatto  corretta applicazione di questo principio, confermando l'ordinanza genetica della misura con una motivazione oltremodo adeguata, ispirata ad oggettive emergenze investigative e connotata da evidente logicità.

5.1. Con riguardo alla sussistenza del quadro indiziario grave, il provvedimento impugnato evidenzia, con motivazione adeguata, puntuale e ancorata al dato probatorio, che il C., legale rappresentate della Italia C.S. srl, impresa operante nel settore dell'importazione parallela dall'estero di autoveicoli usati, con la complicità di altre persone incaricate della materiale alterazione della documentazione originale concernente l'importazione di autovetture da Francia e Germania, si da far ritenere assolto il versamento dell'Iva nel paese comunitario e di avvalersi, così, del regime vantaggioso della c.d. «Iva del margine» di cui alla legge 427 del 1993, confezionava documentazione falsa da presentare per l'immatricolazione, di guisa da far ritenere assolto l'obbligo di pagamento dell'Iva intracomunitaria, e così induceva in errore l'Agenzia delle Entrate che, sulla base della falsa documentazione ricevuta, autorizzava la motorizzazione civile di Benevento all'immatricolazione e, quanto al reato fiscale contestato, attraverso l'indicazione nelle dichiarazioni delle false fatture che esponevano la c.d Iva «del margine», che prevede che, nel caso di scambio intracomunitario di beni usati da un privato ad un operatore di altro stato comunitario, la possibilità di pagare l'imposta nella sola differenza tra valore di acquisito del bene e valore della nuova commercializzazione (ovviamente sul presupposto che l'imposta sia già stata assolta dal venditore estero al momento dell'acquisto del bene nuovo), consentiva al predetto di eludere l'obbligo di pagamento dell'Iva nella misura corretta.

5.2. In particolare, per quanto qui di rilievo in ragione del motivo di ricorso, l'ordinanza impugnava evidenziava, a chiare lettere, come non vi fossero dubbi sull'alterazione delle fatture e ciò in quanto dalla documentazione acquisita dalla Agenzia delle entrate (che verificato l'assolvimento dell'Iva nel paese comunitario doveva autorizzare il c.d. sblocco dei telaio per la successiva immatricolazione da parte della Motorizzazione civile), risultava che il C. aveva prodotto una copia alterata della fattura, con traduzione giurata, diversa da quelle presentata alla Motorizzazione civile, nelle quali ( quelle prodotte all'Agenzia delle entrate) era stato modificato il codice par.6 (che attestava l'operazione commerciale avvenuta tra soggetti a normale regime dell'Iva) in quello par.25 che attestava l'avvenuto assolvimento dell'Iva nel paese comunitario del venditore, così da poter usufruire del c.d. regime dell'Iva del margine. Ma ancora, circostanza questa idonea a smentire la tesi difensiva, evidenzia il Tribunale che le fatture originali (contenenti il codice §6) erano state sequestrate presso altra società del C. e presso l'abitazione della compagna, mentre quelle trasmesse all'Agenzia delle Entrate riportavano il codice par.25, sicchè alcun dubbio residuava sulla alterazione delle fatture prodotte all'Agenzia delle entrate e indicate nelle dichiarazioni fiscali.

5.3. Contrariamente all'assunto difensivo, l'ordinanza impugnata ha pienamente e condivisibilmente argomentato sulla base di quali elementi aveva ritenuto la falsità della documentazione prodotta dal C. all'Agenzia delle Entrate e utilizzata nelle dichiarazioni fiscali, avendo trovato gli originali delle fatture in possesso del C., sicchè false dovevano ritenersi quelli allegate che esponevano l'Iva in misura ridotta. Infine, alla luce delle emergenze processuali la circostanza che il predetto aveva allegato di aver subito un truffa in Germania è priva di rilievo in presenza del rinvenimento degli originali delle fatture.

5.4. In conclusione, correttamente l'ordinanza impugnata ha ravvisato il quadro indiziario grave con riguardo ai reati di cui all'art. 3 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, avendo accertato la falsità delle fatture che attestavano i presupposti per l'applicazione del regime più vantaggioso dell'Iva del margine, consentendo al C. di eludere il versamento dell'imposta nella misura corretta.

6. Quanto al secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura il provvedimento del Tribunale che sarebbe pervenuto con motivazione apodittica, senza apparato logico argomentativo, e dunque con motivazione apparente sull'affermazione dell'attualità del pericolo di recidiva, esso è parimenti infondato.

6.1. Sulla nozione di motivazione apparente, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che essa è ravvisabile "soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente". (così di recente Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, P.G. in proc. Vassallo, Rv. 263100; idem 19.5.2010 n. 24862, Mastrogiovanni, Rv. 247682). Rientra, quindi, nei poteri del giudice di legittimità, come affermato dal condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la verifica che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" in quanto realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata (v. tra le tante Sez. 1, del 10/07/2007 n. 34974).

6.2. Ciò posto, il Tribunale ha adeguatamente e puntualmente motivato, in aderenza alle risultanze probatorie, la sussistenza del pericolo attuale di recidiva e ciò sul rilievo che l'attività illecita si era protratta senza soluzione di continuità ed era proseguita incessantemente sino all'intervento della Polizia Giudiziaria, in data 18 agosto 2016.

Poi era stato accertato che, a quella data, il C. aveva depositato presso l'Agenzia delle Entrate ben n. 163 pratiche concernenti l'immatricolazione delle autovetture con le modalità sopra evidenziate e dunque fino ad agosto erano state accertate le condotte illecite di falsificazione prodromiche alla commissione del reato fiscale e, ancorché non scaduti i termini per la presentazione della dichiarazione Iva per l'anno 2015 e, a fortiori, per l'anno 2016 (sicché il reato di cui all'art. 3 del d.lgs n. 74 del 2000 non era ancora perfezionato), la Polizia Giudiziaria aveva comunque accertato una evasione di Iva di oltre 2,5 milioni di euro per il 2015 e € 437.000 per il 2016.

A ciò si aggiunga la sistematicità delle condotte, la loro reiterazione in un arco temporale rilevante e la cessazione delle stesse grazie all'intervento della Polizia Giudiziaria, sicchè deve ritenersi pienamente integrato sia il requisito della attualità che quello della concretezza del pericolo di recidiva (Sez. 6, n. 44605 del 01/10/2015, P.M. in proc. De Lucia, Rv. 265350 Sez. 5, n. 43083 del 24/09/2015, Maio, Rv. 264902).

6.3. Infine, con riferimento al dedotto profilo di carenza motivazionale in relazione all'esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. a) cod.proc.pen. rileva, il Collegio, che la sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. c) cod.proc.pen. giustifica il mantenimento della misura cautelare in atto applicata degli arresti domiciliari, di cui il ricorrente non r5e contesta l'adeguatezza, sicché, in tale contesto, deve ritenersi che difetti in capo al ricorrente l'interesse a far valere il vizio di motivazione in relazione all'esigenza cautelare dell'inquinamento probatorio.

Ed infatti, in tema di misure cautelari personali, le tre esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato non devono necessariamente concorrere, bastando anche l'esistenza di una sola di esse per fondare la misura, (Sez. 3, n. 35973 del 03/03/2015, Quinang, Rv. 264811; Sez. 6, n. 4829 del 12/12/1995, Rv. 203610; Sez. 3, n. 937 del 21/04/1993, Rv. 194729).

La motivazione sul pericolo di reiterazione del reato è pertanto già da sola sufficiente a giustificare la misura e, dunque, non sussiste il denunciato vizio di motivazione.

7. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.