Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 19 aprile 2017, n. 9854

Fallimento - Accertamento - Mancata dichiarazione - Mancato versamento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione - Sanzioni

 

Svolgimento del giudizio

 

La Regione Campania propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 362/34/11 del 12 dicembre 2011 con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l'avviso di accertamento ed irrogazione di sanzioni notificato al curatore fallimentare di S.S. per mancata dichiarazione 2004 e mancato versamento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione; ciò con riguardo all'impianto di distribuzione di cui il S. era titolare in forza di concessione amministrativa.

In particolare, ha ritenuto la commissione tributaria regionale che, in base all'articolo 3 LR Campania n. 28/03, il S. non fosse soggetto passivo dell'imposta regionale in questione, poiché l'impianto di distribuzione del carburante era stato - prima del fallimento - da lui concesso ad un diverso gestore, in forza di contratto di comodato regolarmente registrato.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere dal curatore fallimentare del S..

 

Motivi della decisione

 

1. Con l'unico motivo di ricorso la Regione Campania deduce - ex art. 360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione della normativa di riferimento: artt. 3, co.13, L. 549/95; 17 d.lgs. 398/90; 3, 3^ co., LR Campania 28/03; 2, 2^ co., LR 8/04; 1, 3° co. LR 15/05.

Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, l'obbligo del pagamento dell'imposta graverebbe infatti non già sul gestore-comodatario dell'impianto, ma sul comodante S. che ne aveva la giuridica disponibilità in forza di concessione prefettizia. Né il contratto di comodato determinava alcun effetto traslativo automatico, a favore del comodatario, dell'impianto e delle relative autorizzazioni amministrative.

2. Il motivo è fondato.

L'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (c.d. IRBA) trova il proprio fondamento normativo nell'art. 17 d.lgs. 398/90, 1^ co., secondo cui: "Le regioni a statuto ordinario hanno facoltà di istituire con proprie leggi un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva, in misura non eccedente lire 30 al litro.

L'art. 18 della stessa legge stabiliva che l'imposta così eventualmente istituita fosse "dovuta dal soggetto consumatore della benzina" e "riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla Regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti daI registro di carico e scarico di cui all'art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474".

Quest'ultima previsione è però stata espressamente abrogata, a decorrere dal 1^ gennaio 1996, dall'art. 3 co. 14 l. 549/95, a seguito dell'introduzione della diversa disciplina di cui al co. 13, in base al quale: "L'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, è versata direttamente alla Regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice del suddetto impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna Regione dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano dal registro di carico e scarico di cui all'articolo 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474, e successive modificazioni La disciplina statale dell'imposta registra dunque un'evoluzione sul piano soggettivo; nel senso che, ferma restando l'incidenza economica del tributo sul consumatore finale, il soggetto passivo del rapporto tributario che viene ad instaurarsi con la Regione va individuato, non più nel ‘soggetto erogatore’ del carburante (e dunque, in ipotesi, nel gestore che non sia anche concessionario dell'impianto di distribuzione), bensì nel ‘concessionario’ dell'impianto stesso (ovvero per sua delega, ma in ipotesi qui ininfluente, nella società petrolifera unica fornitrice).

A questo assetto normativo si allinea la disciplina regionale Campania (art. 3 legge reg. n. 28/2003) la quale, dopo aver istituito, su delega statale, l'imposta in questione, ed averne determinato la misura, ha poi stabilito (3^ co.) che "L'imposta è dovuta alla Regione dal concessionario dell'impianto di distribuzione di carburante sulla base dei quantitativi erogati in ogni mese".

Va detto che ad evolversi è stata anche la stessa disciplina regionale.

L'art. 2, 2^ co., legge reg. Campania 8/04 ha infatti modificato il suddetto art. 3 della legge regionale 28/03, aggiungendo alla parola ‘concessionario’ le seguenti "e dal titolare", per poi addivenire alla formulazione del medesimo art. 3, così come risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1 co. 3 legge reg. 15/2005: "L'imposta è dovuta alla Regione dal concessionario e dal titolare dell'autorizzazione dell'impianto di distribuzione del carburante o, per loro delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell'impianto, su base mensile e sui quantitativi di cui al decreto del Ministero delle finanze 30 luglio 1996, articolo 1, comma 1, lettera d)".

Pur all'esito di tale sviluppo normativo, resta pertanto ferma l'individuazione del soggetto debitore nel concessionario prefettizio ovvero - qualora sia applicabile il regime di autorizzazione sindacale medio tempore introdotto dall'art. 1 co. 2 d.lgs. 32/98 - nel titolare dell'autorizzazione all'impianto.

Sulla base del dato normativo, non è dunque corretta l'affermazione della commissione tributaria regionale secondo cui l'obbligo tributario graverebbe, nella fattispecie, non già a carico del concessionario S., bensì del gestore-comodatario dell'impianto. Né la legittimazione passiva di quest'ultimo potrebbe derivare dal solo fatto di essere questi titolare di licenza di esercizio UTIF (come sostenuto dal curatore fallimentare nei precedenti gradi di giudizio); in quanto estranea al suddetto regime pubblicistico specificamente mirato all'autorizzazione della gestione dell'impianto di distribuzione.

Va d'altra parte considerato che la sola circostanza della stipulazione, tra il concessionario ed un terzo, di un comodato di affidamento in gestione ovvero di una ‘cessione gratuita dell'uso’ dell'impianto di distribuzione di carburante (come previsto, nell'osservanza degli accordi interprofessionali, dell'art. 1, comma 6, del d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32, e dell'art. 19, comma 4, della legge 5 marzo 2001 n. 57) non è di per sé in grado - se non, eventualmente, nella diversa distribuzione pattizia interna, cioè esclusivamente tra i contraenti, del relativo peso economico - di traslare l'obbligo tributario su un soggetto non coincidente con quello individuato dalla norma impositiva.

E ciò pur ravvisando in capo al gestore-cessionario un ruolo che non è quello del lavoratore dipendente (v. Cass. 4347/95) ma, se mai, quello dell'imprenditore (come recentemente affermato, a fini Irap, da Cass. 24000/16).

L'autonomia organizzativa ed economica effettivamente riconoscibile in capo al gestore non influisce, infatti, sulla disciplina della presente fattispecie; connotata da un duplice risvolto pubblicistico: sia nell'aspetto impositivo propriamente detto, sia in quello concessorio o autorizzativo posto a monte dell'attività imponibile.

Il ricorso va dunque accolto, con la cassazione della sentenza impugnata.

Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese del giudizio di legittimità vengono poste a carico della parte intimata, in ragione di soccombenza. Quanto alle spese del giudizio di merito, l'obiettiva delicatezza della questione interpretativa depone - unitamente alla complessa evoluzione normativa statale e regionale di cui si è dato conto - per la compensazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso;

- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

- condanna quest'ultimo al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.800,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge; compensa le spese del merito.