Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 febbraio 2017, n. 3986

Tributi - Accertamento induttivo di reddito d’impresa - Compravendita di immobili - Presunzioni - Rilevante discordanza tra importo dei mutui e i prezzi dichiarati negli atti di cessione - Dichiarazioni di terzi acquisite in fase di accertamento

 

Fatti di causa

 

La "C.C." s.r.l. impugnò, innanzi alla CTP di Arezzo, un avviso d'accertamento, fondato su un p.c.v. redatto dalla G.d.F., afferente alla determinazione del maggior reddito d'impresa e a maggiori ricavi, in ordine all'attività di vendita di immobili, per l'anno 2006, elaborata sulla base delle dichiarazioni degli acquirenti circa i maggior prezzi corrisposti, e tenuto conto dell'importo dei mutui, superiore ai prezzi indicati nei contratti di compravendita immobiliare.

La CTP respinse il ricorso, con sentenza appellata dalla suddetta società.

La CTR accolse il ricorso, argomentando che: l'importo dei mutui, superiore ai prezzi dichiarati, riguardava solo tre immobili ceduti; in ogni caso, tale discordanza non era significativa, in quanto la differenza avrebbe potuto essere stata utilizzata per adempiere altre obbligazioni connesse ai medesimi acquisti immobiliari; le dichiarazioni degli acquirenti, non allegate agli atti, né acquisite al p.v.c., erano solo tre su trentatre immobili venduti, mentre per i restanti beni la g.d.f. aveva ritenuto la congruità dei prezzi.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.

Con il primo, l'agenzia ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 1° comma, lett. d), del d.p.r. n. 600/73, art. 54, 2° comma, del d.p.r. n. 633/73, nonché degli artt. 2727 e 2729, c.c. in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., in ordine alla ritenuta insussistenza di presunzioni legittimanti l'accertamento dei maggiori ricavi ascritti all'imprenditore.

Con il secondo motivo, è stata invece censurato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla medesima questione dell'insussistenza di valide presunzioni legittimanti l'accertamento analitico-induttivo.

Resiste la società, con deposito del controricorso, eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza dei motivi del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Preliminarmente, il collegio delibera di redigere la sentenza in forma semplificata.

I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, data la connessione da cui sono avvinti.

Anzitutto, va respinta l'eccezione d'inammissibilità dei motivi, in quanto essi sono formulati in maniera chiara e muniti del requisito dell'autosufficienza.

II ricorso è fondato.

Anzitutto, va richiamato il principio per cui in tema d'accertamento induttivo del reddito d'impresa, con l'abrogazione dell'ultimo periodo della lett. d) del primo comma dell'art. 39 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, che ha effetto retroattivo in considerazione della sua finalità di adeguare l'ordinamento interno a quello comunitario, è stato ripristinato il quadro normativo anteriore, sicché la prova dell'esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili (o costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sugli stessi) può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass., 26.9.2014, n. 20429).

Nel caso concreto, la CTR ha ritenuto insufficiente la prova dedotta dall'ufficio in ordine ai maggiori ricavi afferenti alle cessioni immobiliari stipulate dalla C.C. s.r.l., in quanto: l'importo dei mutui superiore al prezzo di vendita dichiarato riguardava solo tre immobili; non vi era certezza che l'importo dei mutui fosse stato utilizzato totalmente per il pagamento del prezzo delle cessioni immobiliari; le dichiarazioni di alcuni acquirenti circa i prezzi corrisposti in misura superiore a quella dichiarata riguardavano solo alcuni appartamenti e non erano state allegate agli atti o acquisite al p.v.c.

La decisione della CTR non è conforme alla costante interpretazione del suddetto art. 39, 1° comma, in quanto i vari elementi indiziari addotti dall'agenzia delle entrate non sono stati esaminati nel loro complesso, mentre una valutazione unitaria avrebbe consentito di ritenere che essi costituissero presunzioni gravi, precisi e concordanti in ordine ai maggiori ricavi contestati al contribuente.

In particolare, dagli atti si evince che almeno per tre cessioni immobiliari vi fosse una rilevante discordanza tra importo dei mutui e i prezzi dichiarati negli atti di cessione; per le altre, si registra comunque una certa divergenza, anche se non rilevante nell'ammontare.

Inoltre, le dichiarazioni rese da alcuni degli acquirenti costituiscono indizi valutabili, desumendosi esse dal contenuto degli accertamenti compiuti.

Al riguardo, tali dichiarazioni sono state recepite nel p.v.c. con espresso riferimento ad apposito allegato.

Sul punto, occorre richiamare il consolidato orientamento della Corte secondo cui, nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, acquisite dalla Guardia di finanza e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall'avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, anche se non rese in contraddittorio col contribuente (Cass., 5.12.2012, n. 21812; 8.4.2015, n. 6946).

Il contribuente può contestare la veridicità delle dichiarazioni in questione e introdurre, a sua volta, nel giudizio di merito altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale (Corte cost., sent. n. 18 del 2000);

Va altresì soggiunto che, nel processo tributario, le dichiarazioni di terzi acquisite in fase di accertamento hanno normalmente valore indiziario, e pur tuttavia, per il loro contenuto intrinseco ovvero per l'attendibilità dei riscontri offerti, possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c. e, cioè, di prova presuntiva idonea a fondare e motivare l'atto di accertamento (Cass., 9.8.2016, n. 16711)).

Per quanto esposto, i fatti posti a sostegno dell'accertamento analitico- induttivo, costituiscono presunzioni gravi, precise e concordanti in ordine ai maggiori ricavi conseguiti dal contribuente.

Ne consegue che il giudice d'appello ha del tutto disatteso i suddetti principi interpretativi, da un lato non attribuendo il corretto valore indiziario alle dichiarazioni di terzi, e dall'altro immotivatamente svalutando la rilevanza probatoria della discordanza tra importo dei mutui e prezzi dichiarati negli atti di cessione, omettendo dunque di valutare nella loro complessità i vari indizi addotti dall'ufficio.

Peraltro, l'asserita utilizzazione dell'eccedenza dei mutui, rispetto all'importo dei prezzi dichiarati negli atti di cessione, per adempimenti diversi dal pagamento del prezzo avrebbe dovuto costituire oggetto dell'onere probatorio a carico del contribuente, in conformità del richiamato orientamento interpretativo dell'art. 39.

Pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese.