Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 luglio 2016, n. 14281

Tributi - Accertamento - Studi di settore - Attività di avvocato - Comportamento antieconomico e ingiustificabile del contribuente - Notevoli e non verosimili perdite di esercizio derivanti dall'attività professionale in diverse annualità - Rideterminazione presuntiva dei compensi di lavoro autonomo

 

Svolgimento del processo

 

La CTR di Genova, con sentenza 20 aprile 2009, ha rigettato il gravame di L.C. avverso l'impugnata sentenza che aveva rigettato il suo ricorso avverso l'avviso di accertamento, emesso in rettifica del suo reddito derivante dall'attività professionale di avvocato, per l'anno d'imposta 2000.

Il contribuente aveva dedotto l'inapplicabilità degli studi di settore, avendo egli optato per il regime contabile ordinario, e la infondatezza e illegittimità dell'accertamento, basato su inammissibili presunzioni, spettando all'Ufficio di dare prova dei maggiori redditi non dichiarati.

L'Agenzia delle Entrate aveva rilevato che i redditi dichiarati erano incompatibili con le caratteristiche e le condizioni della sua attività e che gli studi di settore erano stati utilizzati solo come termine di valutazione per la determinazione dei compensi, peraltro calcolati prudenzialmente nella misura del 50% di quelli previsti dal pertinente studio di settore.

La CTR ha ritenuto legittimo l'operato dell'Ufficio, che aveva rilevato un comportamento antieconomico e ingiustificabile del contribuente, per avere rappresentato notevoli e non verosimili perdite di esercizio derivanti dall'attività professionale, in diverse annualità e, quindi, aveva rideterminato in via presuntiva i compensi di lavoro autonomo, a  norma dell'art. 39, comma 1, lett. d, dPR n. 600/1973 e 62 sexies d.l. n. 331/1993, conv. in legge n. 427/1993, con riferimento agli studi di settore, utilizzati come parametro di valutazione nella ridotta misura del 50% .

Avverso questa sentenza L.C. ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui si oppone l'Agenzia delle Entrate.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo, nel denunciare la violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 62 d.lgs. n. 546/1992, imputa alla CTR di Genova di essere incorsa in extra o ultrapetizione, poiché, pur ritenendo inapplicabili gli studi di settore al contribuente in regime di contabilità ordinaria, anziché annullare la sentenza di primo grado (che aveva erroneamente ritenuto legittima l'applicabilità degli studi di settore senza distinzione tra i contribuenti in regime di contabilità ordinaria e semplificata), l'aveva confermata, in base all'erroneo assunto della legittimità dell'accertamento.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), dPR n. 600/1973, 62 sexies d.l. n. 331/1993 e dell'art. 62 d.lgs. n. 546/1992, per avere, un lato, correttamente escluso l'applicabilità degli studi di settore (avendo optato per il regime di contabilità ordinaria) e, dall'altro, contraddittoriamente ritenuto legittimo un accertamento standardizzato basato su quegli studi, seppure nei limiti del 50% dell'ammontare attribuibile al settore di attività del contribuente.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dei medesimi parametri normativi suindicati, in relazione all'art. 3, comma, 181, lett. d, della legge n. 549/1995, per avere applicato una metodologia di accertamento, con riferimento agli standard degli studi di settore, ancorché nella ridotta misura del 50%, non consentita, avendo il ricorrente optato per il regime ordinario di contabilità e non essendo la contabilità stata esaminata.

I motivi in esame, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

II ricorso all'accertamento induttivo del maggior reddito d'impresa non è precluso dal riscontro di una contabilità (ordinaria o semplificata) formalmente regolare, allorché gravi, precisi e concordanti indizi militino nel senso dell'esistenza di maggiori ricavi, non desumibili dalla contabilità stessa (Cass. nn. 26130/2007, 8643/2007, 5977/2007, 26919/2006). Tale orientamento giurisprudenziale trova conferma nella disposizione del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito con modificazioni nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, per cui l'accertamento condotto ai sensi del dPR n. 633 del 1972, art. 54, può essere fondato "anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli  fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore", contemplati dal citato dPR. Si deve pertanto riconoscere, sulla base di tale premessa, la piena legittimità dell'accertamento induttivo di un maggior reddito d'impresa, rispetto a quello dichiarato ed eventualmente risultante dall'esame della contabilità aziendale pur formalmente regolare, qualora sussistano le gravi incongruenze configurate dal citato art. 62 sexies, in relazione alle caratteristiche proprie dell'azienda soggetta ad Indagine (Cass. n. 27085/2008, 5731/2012, 7838/2015) .

Nella specie, la sentenza impugnata ha evidenziato come il comportamento del contribuente non fosse suffragato da idonea giustificazione, risultando dalla sua dichiarazione che l'attività professionale svolta non era remunerativa e, addirittura, presentava perdite rilevanti in diverse annualità, con la conseguenza che correttamente i suoi compensi sono stati rideterminati in via presuntiva. L'Ufficio non ha effettuato un accertamento basato sugli studi di settore, ma ha rilevato gravi incongruenze tra i compensi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e condizioni dì esercizio dell'attività svolta; quindi ha provveduto a rideterminare i compensi da lavoro autonomo, prendendo a riferimento gli studi di settore, utilizzati come              termine di valutazione per la determinazione dei compensi, peraltro calcolati in misura prudenziale del 50%. Né, del resto, il contribuente ha dimostrato l'esistenza di una realtà reddituale diversa da quella accertata dall'Ufficio, Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dei medesimi parametri normativi suindicati, in relazione all'art. 50 dPR n. 917/1986, per non avere tenuto conto che è normale che un professionista in alcuni periodi può subire perdite e in altri può avere guadagni e per non avere considerato le dichiarazioni riguardanti gli anni precedenti e successivi a quello ispezionato.

Il motivo è inammissibile, sollecitando il riesame del fatto la cui valutazione è riservata al giudice di merito.

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in € 4000,00, oltre SPAD.