Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 giugno 2017, n. 14185

Licenziamento - Per giustificato motivo oggettivo di licenziamento - Sussistenza - Accertamento - Violazione dei criteri ex L. n. 223\1991

 

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 2442\14, rigettava l'impugnazione del licenziamento irrogato il 16.5.13 dalla S.T.O. ai lavoratori F.L.N., M.T.A., C.C. ed A.M.

Questi ultimi, appartenenti al bacino della cd. Emergenza Palermo, destinatario degli interventi di sostegno al reddito e delle iniziative sociali di cui all'art. 52 L.R. n. 11\2010, avevano dedotto di essere stati avviati, per il tramite della S.T., presso diversi enti utilizzatori al fine dell'inserimento nel mercato del lavoro e che nell'ambito degli interventi di sostegno realizzati con la regia delle regione Sicilia era stata prevista ed attuata la contrattualizzazione di detto personale, il quale era stato successivamente inserito nel sodalizio dell'impresa sociale e quindi assunto con contratti a tempo indeterminato dalla O. ed inquadrato secondo il c.c.n.I. delle imprese industriali esercenti servizi di pulizia.

Avevano aggiunto che l'intervento della regione Sicilia si era tradotto in una costante e concreta ingerenza nella gestione delle attività affidate alla S.T.O., tanto che la sede sociale dell'associazione era sita presso gli uffici dell'Assessorato Regionale alla famiglia ed alle politiche sociali; lo statuto sociale dell'associazione aveva riservato alla Presidenza della Regione Sicilia la scelta di un elenco di nominativi dal quale selezionare la maggioranza dei componenti del consiglio direttivo; al fine di garantire la corretta gestione del denaro pubblico, le somme destinate alle retribuzioni del personale della S.T. erano state poste direttamente a carico del bilancio regionale e liquidate dagli stessi uffici dell'Assessorato; la determinazione in ordine al licenziamento dei lavoratori era stata assunta dall'associazione sulla scorta di una nota del dirigente generale del Dipartimento Regionale della famiglia e politiche sociali del 15.5.13, che aveva perentoriamente comunicato al presidente della O. la necessità di procedere ai licenziamenti dei lavoratori coinvolti nei progetti previsti dal citato art. 52.

I ricorrenti avevano pertanto chiesto, in via principale, l'accertamento dell'inesistenza dei licenziamenti per essere i relativi rapporti intercorsi alle dipendenze della Regione Sicilia, nei cui confronti chiedevano la reintegrazione nel posto di lavoro.

In subordine lamentavano l'insussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento e la violazione dei criteri dettati dalla L. n. 223\91, con condanna delle resistenti alla reintegra nel loro posto di lavoro, o in ulteriore subordine, la condanna al pagamento di una indennità risarcitoria, commisurata nell'importo massimo.

Il Tribunale riteneva che lo scopo sociale dell'Associazione era unicamente quello dell'inserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati mediante l'affidamento di progetti di pubblica utilità ai sensi dell'art. 52 L.R.S. n. 11\2010 e che tal scopo era venuto meno in ragione della revoca dell'autorizzazione disposta dalla Regione Sicilia; che nessun obbligo di assunzione o stabilizzazione era configurabile a carico della Regione o della S.T., costituita solo per un'attività di supporto o consulenza, senza alcuna costituzione di un effettivo rapporto di lavoro con i ricorrenti.

Avverso tale sentenza proponevano appello i lavoratori; resistevano le amministrazioni regionali, mentre la T. O. restava contumace. Con sentenza depositata il 3 agosto 2015, la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava sussistente un rapporto di lavoro subordinato tra i reclamanti e la O. T. ed illegittimo il loro licenziamento, condannando quest'ultima al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, ex art. 18, comma 5, L. n. 300\70.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso F.L.N. ed A.M., affidato a tre motivi.

La Regione Sicilia, l'Assessorato regionale e la T. O. sono rimasti intimati.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamentano che la sentenza impugnata ritenne applicabile al caso di specie il paradigma del lavoratore socialmente utile (l.s.u.), inferendo che da tale rapporto di servizio non scaturiva un vero e proprio rapporto di impiego con l'ente pubblico preposto al finanziamento di pubblica utilità, senza considerare l'ubicazione della sede sociale della T. O. presso la Regione Sicilia; la posizione direttamente a carico del bilancio regionale del pagamento delle retribuzioni del personale della T. O.; la nota del dirigente generale dell'assessorato che informava quest'ultima della necessità di procedere al licenziamento di tali lavoratori.

Rilevavano che la loro assunzione da parte della O. con contratti a tempo indeterminato ed inquadramento secondo il c.c.n.I. delle imprese esercenti servizi di pulizia, escludevano la loro equiparabilità con la categoria degli l.s.u.

Evidenziano la mancanza del rapporto di sinallagmaticità tra le retribuzioni erogate e l'indiretto finanziamento dei progetti di pubblica utilità; che le retribuzioni furono loro erogate dalla O. sin dal 2010; oltre ad ulteriori circostanze, tra cui l'indebita intromissione della Regione (Assessorato) nella gestione del rapporto ed anche sulla sua cessazione.

1.1 - Il motivo presenta ampi profili di inammissibilità laddove è diretto ad una rivalutazione dei fatti di causa, e finanche alla valutazione di circostanze che risultano nuove (quali le ‘comunicazioni obbligatorie unificate’, pag. 17 ricorso, ovvero i verbali di accordi sindacali avvenuti presso i locali della Presidenza della Regione, pagg. 31 e segg.), nel regime di cui al novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c.

Per il resto è infondato posto che, per un verso la sentenza impugnata ha riconosciuto la sussistenza, in capo ai ricorrenti, di rapporti di lavoro subordinato con la O., ritenendo anche illegittimo il loro licenziamento da parte di quest'ultima; d'altro canto occorre rimarcare che, quanto alla posizione della Regione Sicilia, la legge regionale n. 11\2010 stabilisce chiaramente che: "La Regione promuove iniziative sociali volte al sostegno dei redditi nonché misure per l'inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati destinatari delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 6, della legge regionale 1° febbraio 2006, n. 4, impegnati in progetti promossi dal comune di Palermo (Emergenza Palermo), comma 1"; che "Il Dipartimento regionale della famiglia e delle politiche sociali è autorizzato ad emanare un pubblico avviso per l'affidamento di progetti triennali che prevedano l'impiego dei soggetti di cui al comma 1, anche per lo svolgimento di attività di interesse pubblico o sociale"; che "Il Dipartimento regionale della famiglia e delle politiche sociali è, altresì, onerato di erogare, nelle more della definizione delle procedure di attivazione delle misure di cui al comma 3 e fino ad un massimo di quattro mesi, un assegno di sostegno al reddito almeno pari al sussidio economico in godimento al 31 dicembre 2009, ivi compresi gli assegni per il nucleo familiare, ove spettanti" (comma 4); che ''Al fine di assicurare la necessaria assistenza tecnica, l'assistenza nella gestione del personale, le attività di controllo e monitoraggio, nonché l'assistenza alla creazione delle imprese e anche per il periodo di start-up, il Ragioniere generale della Regione provvede alla stipula di un'apposita convenzione con società a totale partecipazione regionale da individuare con decreto del Presidente della Regione previa delibera di Giunta".

In sostanza, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, lo svolgimento di attività di supporto e di sostegno all'inserimento dei soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro è direttamente prevista dalla l. r.s. n. 11\2010, sicché non può parlarsi di interposizione fittizia e di imputabilità dei rapporti lavorativi in capo alla Regione, che di fatto non ne ha comunque beneficiato; per tale ragione non può neppure sostenersi che la nota del direttore generale dell'assessorato (che peraltro non risulta prodotta), che informava la O. della necessità di procedere ai licenziamenti essendo cessata l'autorizzazione alla utilizzazione da parte degli enti utilizzatori, abbia costituito un atto di gestione del rapporto da parte della Regione, essendosi trattato di informativa diretta alla O. che poi in effetti, gestendo in concreto i relativi rapporti di lavoro, procedette ai licenziamenti.

Per tali ragioni risulta infondata anche la doglianza inerente la legittimità comunitaria della (pretesa) fraudolenta utilizzazione di rapporti di lavoro precario o flessibile da parte della pubblica amministrazione, non essendovi nella specie stato alcun rapporto di lavoro (neppure flessibile) con la Regione Sicilia.

2. - Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 36 e 97 Cost., 429 c.p.c.e 18 I. n. 300\70.

Lamentano che il principio costituzionale della giusta retribuzione imponeva di considerare i lavoratori in questione quali dipendenti della Regione, mentre il limite di cui all'art. 97 Cost. poteva essere superato in caso di ricorso fraudolento, da parte della P.A., al contratto di somministrazione, tanto più laddove vi sia stata un'assunzione vera e propria da parte della Regione.

Il motivo è infondato per le ragioni sopra esposte (insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Regione, non certo desumibile dal principio costituzionale della giusta retribuzione, che è un posterius rispetto alla sussistenza del primo). A ciò aggiungasi che, anche in base all'art. 52 l.r.s., l'utilizzazione di tali lavoratori non potrebbe mai condurre, per l'indefettibile principio dell'assunzione nella pubblica amministrazione attraverso concorso e stante l'art. 36 d.lgs n. 165\01, all'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con le Regione (cfr. C.Cost. sent. 27.3.2003 n. 89; CGUE, sentenza 26 novembre 2014, C-22/13 ss., Mascolo), non essendovi peraltro nella specie alcun elemento da cui poter desumere la sussistenza di un illegittimo contratto di somministrazione di lavoro (cui i ricorrenti accennano), essendo piuttosto evidente, in base ala citata l.r.s., art. 52, trattarsi di lavori di natura assistenziale inerenti "soggetti svantaggiati impegnati in progetti del Comune di Palermo, cd. "Emergenza Palermo".

In ogni caso, nella specie, potrebbe semmai applicarsi per analogia la disciplina in tema di lavori socialmente utili, che tuttavia (cfr. art. 1 del d.lgs. n. 468 del 1997), riferendosi alle attività inerenti la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, e non recando un'elencazione tassativa, non configura un rapporto di lavoro subordinato, neppure di fatto ex art. 2126 cod. civ., laddove la prestazione sia resa in favore di un ente pubblico (Cass. ord. 14.6.12. n. 9811, Cass. 28.3.14 n. 7387).

4. - Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano un difetto di motivazione per omessa ammissione dei mezzi di prova.

La censura, non propriamente rituale (in quanto con essa si lamenta anche la violazione dei primi tre commi dell'art. 7 I. n. 300\70), oltre ad essere inammissibile per il principio per cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito ha l'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev'essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. Sez. U., n. 28336 del 22/12/2011); anche per il principio secondo cui il ricorrente per cassazione sul punto, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare - elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto - deve allegare ed indicare la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire "ex actis" alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione (Cass. 23 aprile 2010 n. 9748).

5. - In conclusione deve affermarsi che il rapporto di lavoro, peraltro riconosciuto dalla sentenza impugnata, con la O., non presenta caratteri di fittizietà (rispetto alla presunta datrice di lavoro Regione Sicilia) per le ragioni indicate dai ricorrenti, in quanto esse corrispondono ai principi stabiliti dal detto art. 52 l.r.s. n. 11\2010.

Riconosciuto il rapporto di lavoro con la O., e sanzionato il relativo licenziamento per violazione della L. n. 223\91, con annesso risarcimento del danno, la pretesa di veder costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la regione Sicilia, oltre ad essere sfornito di elementi fattuali che effettivamente contrastino con le disposizioni contenute nel detto art. 52, incontra comunque il limite di cui all’art. 36, comma 5, del d. lgs n. 165\01.

6. - La lamentata applicabilità della tutela reale nei confronti della O., dedotta solo in conclusioni e dopo la compiuta esposizione dei motivi dell'odierno ricorso, non risulta affatto menzionata ed esaminata dal giudice del gravame, sicché la doglianza avrebbe necessitato che nell'odierno ricorso fosse specificato in quale atto, in che termini e quando la questione sia stata ritualmente devoluta al giudice d'appello.

In ogni caso occorre osservare che la sentenza impugnata ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento effettuato dalla O. T. per violazione delle norme procedimentali stabilite dalla L. n. 223\91, facendone derivare, giusta il disposto dell'art. 1, comma 46, L. n. 92\12, unicamente le conseguenze risarcitone previste dall'art. 18, comma 5, L. n. 300\70.

Tale statuizione, peraltro, non risulta censurata nell'odierno ricorso.

7. - Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Nulla per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.