Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2018, n. 8956

Licenziamento disciplinare - Documento relativo alla convocazione del lavoratore - Prova sulla ricezione - Privo di apposita firma di riscontro del dipendente - Ricorso inammissibilie - Denunciato di "error in procedendo" - Onere di specificare il contenuto della critica mossa, indicando anche i fatti processuali alla base dell'errore - Specificazione da indicare nel ricorso per cassazione - Principio di autosufficienza

 

Fatti di causa

 

La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 165/2016, aveva accolto l'appello proposto da O.C. avverso la sentenza del Tribunale locale (n. 23186/2012) per la parziale riforma di quest'ultima nella parte in cui aveva rigettato la domanda di annullamento del licenziamento intimato.

La Corte aveva dichiarato illegittimo il licenziamento ed ordinato la reintegrazione del lavoratore con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del recesso a quella della reintegrazione, ed aveva altresì confermato la decisione del primo giudice in ordine alla declaratoria di illegittimità delle sanzioni conservative.

Con riferimento a queste ultime Il Giudice del gravame aveva ritenuto che per la valutazione delle sanzioni disciplinari conservative, occorra in primo luogo distinguere tra comportamenti percepibili dal lavoratore come illegittimi perché contrari al minimo etico o a norme penali e comportamenti contrari a norme contrattuali o regolamentari, individuando solo per queste ultime la necessità di preventiva affissione del codice disciplinare. Nel concreto, la Corte aveva ritenuto i fatti contestati tutti afferenti a regole interne organizzative e tecniche e dunque estranee all'ambito del "minimo etico" e non in contrasto con norme penali, e dunque necessitanti di specifica indicazione e pubblicizzazione nel codice disciplinare, la cui affissione non era stata dimostrata.

Con riguardo al licenziamento il Collegio aveva ritenuto infondate la prima contestazione in quanto non dimostrata da parte della società , la comunicazione all'O. della data dell'incontro di collaudo del 28.3.2009, cui lo stesso non aveva potuto partecipare. Altresì infondata la seconda contestazione relativa alla inerzia del dipendente nell'ordinare il gruppo elettrogeno alla ditta produttrice, perché tardiva , essendo intervenuta a distanza di circa 4 mesi dalla conoscenza da parte della società della circostanza inerente il guasto del macchinario poi ordinato a seguito di trattativa economica e tecnica ed interlocuzione su possibili sostituzioni di pezzi. Sulla terza contestazione, inerente un errore nel conteggio delle placchette e dei supporti, la Corte territoriale aveva valutato inesistente la responsabilità dell'O., sia perché non direttamente preposto al conteggio delle placchette, che per la mancata affissione di detta circostanza nel codice disciplinare. Peraltro il fatto contestato non poteva costituire giusta causa di licenziamento, perché non di elevato rilievo, e neppure giustificato motivo soggettivo in assenza di un connotato di grave inadempimento contrattuale.

La società S. spa ha proposto ricorso affidandolo a sei motivi ed a successiva memoria.

O.C. ha resistito con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1) Con il primo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 434, 1 comma , c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte di appello, ritenuto specifici e puntuali, i motivi di censura contenuti nell'atto di appello.

Premesso che la violazione denunciata ha riguardo all'errata valutazione da parte del Giudice di un atto di causa ed attiene quindi ad un error in procedendo valutabile secondo i canoni di cui all'art. 360, 1 co,n. 4 cpc, deve richiamarsi quanto già espresso in più occasioni da questa Corte secondo cui l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un "error in procedendo", presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso.

Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di ammissibilità circa gli asseriti difetti di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di specificare, a sua volta, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e insufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve indicarne gli aspetti di insufficienza nella misura necessaria ad evidenziare in vizio denunciato (In tal senso anche Cass. n. 22880/2017). Nel caso in esame alcuna indicazione specifica è contenuta nel ricorso, essendosi, la società ricorrente, limitata a riportare integralmente il ricorso di appello senza evidenziare i punti di insufficienza e le carenze denunciate.

Peraltro come già si è avuto modo di chiarire "gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (Cass. n. 27199/2017).

Non può dunque ritenersi viziato l'atto di appello se, come nel caso di specie è avvenuto, sia possibile evincere le questioni assoggettate a critica, i punti della decisione censurati e gli argomenti posti a sostegno delle proprie domande di revisione. Il motivo deve quindi essere rigettato.

2) Con il secondo motivo viene denunciato l'omesso esame di un fatto storico principale, quale l'affissione e pubblicità del codice disciplinare, che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti ed era risultato decisivo per la risoluzione della controversia , ai sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c..

La società ha dedotto che sulla circostanza la sentenza impugnata aveva omesso ogni considerazione, pur essendo stata richiamata anche dai testi escussi. A riguardo la Corte territoriale aveva ritenuto corretta la mancata ammissione della prova da parte del Tribunale in punto di affissione e pubblicità del codice disciplinare, in quanto non contenuto, il relativo capitolo, tra quelli (82) indicati in memoria difensiva. Tale valutazione risulta quindi contrastare l'attuale motivo dedotto in questa sede, in quanto la Corte territoriale ha valutato la circostanza ed escluso l'ammissione di una prova ad essa relativa. Si tratta di valutazione di merito rispetto alla quale alcuna diversa determinazione può essere chiesta in sede di legittimità. Il motivo risulta inammissibile, così come la ritenuta inutilizzabilità delle dichiarazioni a riguardo rese eventualmente dai testi escussi, trattandosi, anche in questo caso, di valutazione di merito, non più esperibili in questa sede. Giova peraltro ribadire che la valutazione degli elementi probatori è lasciata al giudice del merito che tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, è libero di attingere il proprio convincimento da quegli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; ( tra le altre Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 16056/2016).

3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, della legge n. 300/70, dell'art. 416 comma 3 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., poiché la Corte si sarebbe limitata a fondare la propria decisione sulla illegittimità delle sanzioni conservative, ed in particolare sulla affissione del codice disciplinare, solo sulle prove articolate dal lavoratore ed ammesse, e non sulle circostanze dedotte in sede di memoria difensiva.

Anche questo motivo, (peraltro erratamente veicolato attraverso il richiamo alla violazione di legge) fa riferimento a valutazioni rimesse al giudice del merito il cui potere di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell'art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio ( tra le altre Cass. n. 1754/2012). Nel caso in esame la Corte di appello napoletana ha chiarito che la prova sulla pubblicità del codice disciplinare non era stata ammessa in quanto non specificata essendo, il relativo argomento, inserito in un discorso più ampio, privo di indicazioni precise sul luogo della affissione e sulle circostanze di fatto necessarie a rendere l'assunto un capitolo su cui poter ammettere la prova per testi. Il motivo è da rigettare.

4) Il quarto motivo riguarda l'omesso esame di un fatto decisivo ( ex art. 360, n. 5) quale il documento relativo alla convocazione dell'O. all'incontro del 28.3.2009. La sentenza impugnata, a dire della ricorrente società, avrebbe considerato tardiva e non ammissibile la documentazione allegata già in sede di costituzione in giudizio. In realtà la Corte napoletana ha fondato la propria valutazione sulla carenza di prova circa la effettiva ricezione, da parte dell'O., della comunicazione di convocazione, e dunque il documento cui la società si riferisce, ritenuto comunque tardivo dal Giudice di merito, non fornendo comunque la prova sulla ricezione, in quanto privo di apposita firma di riscontro del dipendente, risulta irrilevante rispetto al decisum del Giudice. Il relativo motivo è dunque inammissibile.

5) Il motivo censura le valutazioni della Corte di appello, sotto il profilo dell'omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c., della prova della avvenuta comunicazione della riunione per il collaudo del 28.3.2009, della posizione professionale dell'O. all'interno della società, tale da rendere necessaria la sua presenza alla predetta riunione e della valutazione di non gravità dell'errore di conteggio delle placchette. Il motivo risulta infondato poiché sulle circostanze enucleate relativamente alla comunicazione ed alla prova della ricezione, e sulla gravità dell'eventuale errore nel calcolo delle placchette, la Corte territoriale ha fornito una argomentazione in sentenza e dunque alcuna omissione è sostenibile a riguardo. Quanto poi all'esame della posizione di responsabile tecnico operativo rivestita dall'O. che, sembrerebbe costituire, nell'argomentare della società, motivo di necessitata presenza alla riunione di collaudo, sì da portare ad escludere la necessità di qualsivoglia comunicazione, deve rilevarsi che manca nel ricorso ogni riferimento a come e dove tale motivo di doglianza sia stato inserito dalla società negli atti di causa. Deve a riguardo ribadirsi che " In seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass. n. 23940/2017). Nel caso di specie manca del tutto l'indicazione su come e dove la circostanza sia stata oggetto di discussione tra le parti e di come la stessa abbia i connotati della decisività. Il motivo è inammissibile.

6) Con l'ultimo motivo la società denuncia la violazione dell'art. 25, lettera A primo comma e punto h) del CCNL Industria Metalmeccanica Privata e Installazione di Impianti, dell'art. 2118 c.c. e 2104 e 2106 in relazione all'art. 1362 c.c. e 360 n. 3 c.p.c., poiché la Corte di appello non avrebbe considerato la gravità delle infrazioni commesse dal dipendente sotto il profilo soggettivo e oggettivo e in ragione della futura affidabilità dello stesso.

Infondata risulta anche tale censura, poiché la sentenza impugnata contiene analisi ed argomentazioni sulle singole contestazioni e sui fatti addebitati, nonché sulla proporzionalità (esclusa) del licenziamento rispetto all'addebito al fine residuato all'esito delle valutazioni effettuate da quel Giudice. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 5.000,00 per compensi professionali ed E. 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%e accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.